Maurizio Corbella
«Il Club Silencio». Alcuni aspetti
dell’uso del sonoro nel cinema di David Lynch
Abbreviazioni
***
In un’intervista raccolta nei materiali extra
del DVD di Strade perdute, Robert Loggia dichiara che David
Lynch dirige gli attori come un’orchestra, con la musica in
cuffia (altissima), dettando tempi e movimenti o, in altri termini,
il ritmo della narrazione.[1] Lo stesso Lynch
afferma di essere passato dalla pittura al cinema attraverso
l’orecchio. Egli partecipa attivamente alla composizione
delle musiche e alla progettazione sonora dei suoi film e ha un
intenso scambio con i compositori, come testimonia il decennale
sodalizio con Angelo Badalamenti. Quest’ultimo racconta la
nascita del tema di Mulholland Drive a seguito di una
conversazione avuta con Lynch, mentre i due erano sul set di
una produzione precedente. Il regista gli descrisse il nuovo
progetto e gli raccontò la sensazione che andava cercando,
secondo un modo di procedere già collaudato in Twin
Peaks. La breve frase ripetuta che Badalamenti improvvisò
al pianoforte rispose all’immaginario che Lynch aveva in
mente, e per questo il regista si raccomandò che non fosse
modificata nelle successive orchestrazioni. Tale frase fu usata
come base per le riprese, e finì per diventare il
leitmotiv del film.[2]
Lynch è convinto che il suono sia di estrema
importanza per veicolare il ‘senso’ (feel),
inteso come l’insieme delle categorie sensoriali che ci danno
il ‘sapore’ di una data sequenza. Dunque, tanto la voce
degli attori, i rumori d’ambiente, gli effetti sonori, quanto
la musica appositamente scritta, appartengono all’idea di
‘composizione’ lynchana.[3] Questo assunto
teorico, che potrebbe riferirsi anche ad altri registi
contemporanei, trova però in Lynch una coniugazione personale
che lo pone in una posizione di particolare interesse. Il sonoro ha
un ruolo dirompente, determinante per comprendere la poetica di
questo autore. Ciò nonostante, gli studi, che da qualche anno
hanno iniziato a interessarsi all’opera del cineasta,
sembrano non avere trovato una via soddisfacente per una
fenomenologia della componente acustica e dei suoi usi. In effetti,
l’analisi audiovisiva di un qualsiasi film di Lynch presenta
difficoltà paragonabili a quelle che si trovano con la musica
concreta, poiché il fenomeno acustico con la sua
spazialità, il suo timbro, la sua morfologia sfugge alle
capacità descrittive della parola. Avvalendosi dei metodi
dell’analisi di Chion, si può perlomeno indagare il
nesso tra suono e immagine e la problematizzazione che
l’autore vi innesta. Altre questioni – la fluidità
del confine tra colonna sonora ed effetto sonoro, tra presa diretta
e rielaborazione in studio, tra posizione nello spazio e percezione
dello spettatore – rimangono in questo breve scritto allo
stadio di problemi non risolvibili, a meno di non entrare nella
‘stanza dei bottoni’, dietro le quinte delle operazioni
di progettazione, montaggio e post-produzione sonora.
Un’indagine puntuale sulla sincronizzazione
audio-video, sull’uso dei raccordi spazio-temporali, sul
sistema di segni e segnali utilizzati, può essere utile per
fare emergere il modo in cui Lynch si pone nei confronti dello
spettatore e delle sue attese: un atteggiamento di equilibrio tra
il divertissement raffinato e la volontà di sconvolgere
i parametri linguistici del cinema hollywoodiano. Sconvolgere non
significa scardinare, ma mantenere un filo di contatto con il
pubblico generalista, il quale potrà, almeno nelle intenzioni
che attribuisco al regista, sempre ricondurre il film ad una
tipologia di genere.
Lo spezzone cinematografico su cui ho scelto di
concentrarmi – l’episodio del Club Silencio in
Mulholland Drive – è emblematico ed è forse
l’esempio più significativo di protagonismo del sonoro.
Per ragioni di funzionalità ho scelto di dividere
l’episodio in tre segmenti che non corrispondono tecnicamente
alle tre sequenze cinematografiche entro le quali esso si
snoda:
1. [1:37:45-1:39:22] Betty e Rita hanno
appena trascorso la loro prima notte d’amore e stanno ora
dormendo mano nella mano. Rita, in uno stato di sonnambulismo
pronuncia in spagnolo una serie di parole apparentemente senza
senso: «Silencio… silencio… silencio… no hay
banda… no hay banda… no hay orquesta…
silencio… silencio… silencio…».
L’intensità e l’angoscia crescenti nella sua voce
svegliano Betty che, dopo un primo tentativo di rassicurare Rita,
si lascia convincere ad accompagnarla in un posto («Go with me
somewhere», le dice Rita). Sono le due del mattino;
2. [1:39:22-1:40:35] Nel mezzo della notte di
Los Angeles le due donne prendono un taxi e attraversano la
città. Finalmente scopriamo la destinazione del loro percorso:
un night chiamato Club Silencio;
3. [1:40:35-1:48:00] All’interno il
club si rivela essere un teatrino, con una platea di poltroncine in
cui sono già seduti alcuni spettatori e un piccolo
palcoscenico con sipario rosso, nel cui centro campeggia un
microfono in stile anni ’50. A un lato del palcoscenico
c’è un uomo elegante, immobile. Non appena le donne
entrano nel locale, l’uomo (chiamato il Mago nei titoli di
coda) si rivolge al pubblico pronunciando le stesse parole dette da
Rita nel segmento precedente, in varie lingue, toccando lo
spagnolo, l’inglese e il francese e dando il via a quello che
sembra essere uno spettacolo d’illusionismo. Il Mago punta
l’attenzione sul fatto che i suoni che fanno da colonna
sonora allo spettacolo sono registrati e sotto il suo completo
controllo. Successivamente, un suonatore di tromba fa
l’ingresso sulla scena, ma nel bel mezzo di un assolo si
interrompe senza che il suono taccia. «It’s all
recorded», sintetizza il Mago. Lo spettacolo prosegue con una
serie di tuoni, seguito da un turbinare di luci e fumo blu. Il
primo tuono, in corrispondenza del quale notiamo seduta in un
palchetto una figura enigmatica (la Donna dai capelli blu), sembra
essere la causa dell’improvviso tremore incontrollabile del
corpo di Betty. Il Mago, dopo avere placato questa
‘perturbazione’ acustica ed essersi raccolto in un
ghigno satanico, svanisce nel nulla. Dopo un momento di scena
vuota, un uomo (nei titoli Emcee, interpretato dallo stesso attore
che in una precedente sequenza incarnava Cookie, il custode
dell’albergo in cui si rifugia Adam Kesher), introduce
Rebekah del Rio (una vera cantante che interpreta se stessa).
Rebekah canta a cappella Llorando (una traduzione di
Crying, successo di Roy Orbison) e provoca la commozione di
Rita e Betty. Giunta all’apice del brano la cantante sviene
ed è portata via da Emcee e da un suo aiutante, tuttavia il
sonoro della voce ancora una volta prosegue fino alla fine del
brano. A questo punto pare che Betty realizzi qualcosa, poiché
trae fuori dalla sua borsetta un cubo blu, dal cui dettaglio è
possibile notare una sorta di serratura triangolare che richiama
alla mente la chiave blu a sezione triangolare trovata nella borsa
di Rita all’inizio del film.
Chi conosce la pellicola sa che questo episodio
è totalmente irrelato nell’economia della trama. Dunque
proprio per questo assume un’importanza di rilievo.
Innanzitutto si colloca nella zona aurea del lungometraggio e,
nonostante le apparenze, risulta determinante per il successivo
svolgimento del plot, proprio grazie al ritrovamento del
cubo blu. Esso funziona insieme come anticipazione e causa di uno
sviluppo narrativo assolutamente imprevedibile che, invece di
risolversi nel finale, porta a una moltiplicazione delle
possibilità, a un riavvolgimento della trama in una dimensione
altra. Il Club Silencio è il luogo di cambio di statuto del
film. Dopo avere messo in atto una serie di strategie che
rispondono alle convenzioni di genere noir o del giallo con
risvolti qua e là paranormali, il cineasta imprime da qui in
avanti una direzione difficilmente inquadrabile, problematica,
anti-narrativa, usando come motore un teatrino illusionistico, la
cui dominante onirica ha un certo sapore felliniano (autore
esplicitamente ammirato da Lynch).
A conferma che questa sia la cesura del film
c’è il fatto che qui si interrompeva l’episodio
pilota inizialmente pensato per una nuova serie televisiva sulle
orme di Twin Peaks, ma che nessuna televisione comprò
mai. Quando il produttore Alain Sarde suggerì a Lynch
l’idea di farne un film, egli fu dunque costretto a tirare le
fila di una vicenda che si apriva potenzialmente a mille
possibilità (pensata per uno sviluppo su decine di episodi).
Si comprende dunque la scelta rischiosa e originale del regista:
non semplificare il plot, non rendere lineare il giallo, ma
portare alle conseguenze estreme la complessità e la
frammentarietà di una realtà irraccontabile con le
tecniche classiche di narrazione.
Si è già accennato all’ostentato
protagonismo del sonoro nell’episodio in questione. È il
suono a determinare i principali accadimenti narrativi: il tuono
causa il tremore di Betty e dunque fa catalizzare
l’attenzione su di lei (fino a quel momento Betty è il
personaggio su cui lo spettatore ha posto le proprie certezze,
mentre il fulcro del giallo era Rita); lo svenimento di Rebekah,
con lo svelarsi del playback causa, seppure non in una
logica determinista, il ritrovamento del cubo blu nella borsa di
Betty. D’altra parte il suono è anche narrativamente
rappresentato, si fa personaggio, interpellato dalle parole di Rita
prima e del Mago poi, configurando una situazione metalinguistica
che si sovrappone a quella del teatro nel cinema. I continui
appelli del Mago, frequentemente rivolti in macchina, portano lo
spettatore a focalizzarsi su una dimensione a cui normalmente non
fa caso mentre è immerso nella visione: il meccanismo di
produzione del suono.
Avvicinando la lente d’ingrandimento,
addentrandoci in un’analisi più approfondita, possiamo
provare a intuire cosa l’autore fa concretamente.
Tabella 1
La serie di inquadrature prese in considerazione nel
primo segmento (Tabella 1) è la coda di una sequenza iniziata
precedentemente.[4] Dal punto in cui partiamo (inq. 1)
ascoltiamo la fine del Love theme di Angelo Badalamenti, che
sfuma sul dettaglio delle mani delle due donne. In corrispondenza
della parola silencio, pronunciata da Rita, parte un effetto
sonoro la cui morfologia cambia lentamente. Il risultato è
quello di un crescendo emotivo associato alla ripetizione della
parola da parte della donna.
In questo segmento si manifestano due tra gli
elementi portanti del modo di procedere di Lynch: la colonna sonora
e gli effetti sonori. Angelo Badalamenti racconta che egli è
solito fornire al regista frammenti di materiale sonoro registrato,
amorfo dal punto di vista dell’identità musicale,
costituito ad esempio da pedali orchestrali o tappeti realizzati al
sintetizzatore. Tale materiale, chiamato dal compositore e dal
regista firewood (legna da ardere), passerà in sede di
ingegneria del suono attraverso vari processi di metamorfosi
(rallentamenti, rovesciamenti, equalizzazioni, segmentazioni ecc.).
Si tratta di una tipologia di fonte degli effetti sonori. Accanto
ad essa, in una situazione di compenetrazione reciproca difficile
da sciogliere, stanno poi le elaborazioni di suoni naturali o
tecnologici (vento, fuoco, condutture idrauliche, traffico
automobilistico ecc.).
L’effetto sonoro può essere usato come
evento isolato, per esempio per sottolineare un movimento di
macchina o uno stato d’animo del personaggio, o come bordone
(drone), rumore di fondo, a costituire la ‘sostanza
acustica’ di un’ambientazione. Il bordone ha un ruolo
determinante e presenta caratteristiche abbastanza omogenee in
tutta la filmografia lynchana:
-
ha un’identità specifica
all’interno di ogni lungometraggio, tanto da incarnarne la
qualità timbrica (in Mulholland Drive è il
traffico automobilistico, come tratto timbrico più
riconoscibile di Los Angeles);
-
è legato ad una fonte sonora intuibile
diegeticamente (le riprese dall’alto delle strade di Los
Angeles) o si può particolareggiare in un dettaglio, in tal
caso diventando diegetico a tutti gli effetti (il rumore di
un’auto singola);
-
può infine assumere caratteristiche
acustiche astratte, non più riconducibili per associazione a
oggetti reali.
Ognuna delle polarizzazioni descritte può in
realtà coesistere all’interno di una stessa
manifestazione, così come coesiste nella realtà della
percezione uditiva (di fatto il cervello umano seleziona in
condizioni diverse solo alcune informazioni sonore e grazie
all’uso di tecnologie di ripresa e riproduzione può
anche scegliere quale aspetto morfologico privilegiare). Ora, la
scelta del regista di presentare allo spettatore un determinato
tipo di conformazione acustica del bordone diventa un elemento di
comunicazione che influenza tanto il visibile quanto il
verbale.[5]
Nel caso del segmento specifico, il bordone si evolve
senza soluzione di continuità da sottofondo lontano e generico
(solo a un ascolto approfondito mi è sembrato di individuare
ancora una volta il rumore del traffico, come potrebbe essere
percepito in una camera con la finestra chiusa) a presenza sonora
in cui si riconoscono degli armonici e, gradualmente, un accordo.
Ma è impossibile dire se esso sia ottenuto mediante un
morphing di un suono naturale o l’aggiunta di
firewood. Altrove è invece più semplice fare
congetture, ma permane il profondo abisso tra i
‘segreti’ della produzione del suono e la nostra
percezione del prodotto finito.
Tabella 2
Nel secondo, breve segmento (Tabella 2) in cui la Los
Angeles notturna diventa protagonista, è proprio il bordone a
farsi determinante. In questo caso la polarizzazione è sul
particolare del rumore del taxi. È interessante seguire
l’evoluzione morfologica di tale rumore, aiutati dal fatto
che non ci sono voci attoriali a distogliere la nostra attenzione.
In un primo momento esso ha carattere mimetico (vale a dire: non
compiamo sforzi nell’operare una sincronizzazione tra
ciò che sentiamo e ciò che vediamo). Ma già nel
corso dell’inquadratura 1 succede qualcosa: la partenza del
taxi, che si avvicina progressivamente alla macchina da presa, ha
effetto sia sul versante visivo che su quello sonoro. La macchina
da presa trema, l’inquadratura si sfuoca, fino a diventare
solo macchie di luce, e il suono, da verosimile, si carica di basse
frequenze fino a cambiare fisionomia. Questa sincronizzazione di
vista e udito sfocia in una dissolvenza che porta
all’inquadratura 2.
Tale procedimento, che sarà ripreso ancora nel
giro di pochi secondi (inq. 8) ha più di una conseguenza. Dal
punto di vista visivo introduce una sorta di soggettiva irreale,
poiché lo spostamento da un versante mimetico a uno astratto
non può che causare uno straniamento. Il punto di vista, per
effetto del movimento di macchina, si rivela essere attivo. La
dinamica del thriller ci spinge in un primo momento
all’investigazione dell’identità di questo punto
di vista, ma i fatti che accadranno da qui alla fine del film ci
dimostreranno l’impossibilità di questa strada.
Tuttavia, su questo dubbio – se seguire la pista del
thriller o quella, più intellettualistica, del
metalinguaggio – è fondato a mio parere il meccanismo
creato dall’autore. Anche quando, nelle ultime scene del
film, il linguaggio cinematografico sarà scardinato da ben
più arditi procedimenti (rottura delle regole di campo e
controcampo, perdita della consequenzialità temporale)
sarà sempre vivo l’interesse per la
‘soluzione’ della narrazione (testimoniato dal fiorire
di un sito internet interamente dedicato a ingegnose congetture e
letture del film).
Le inquadrature 2-7 indicano un analogo slittamento
dei punti di vista. Nelle inquadrature 2 e 3 abbiamo ancora una
volta un rumore mimetico, il taxi che sfreccia (esterno), le donne
nel taxi (interno). Il sonoro nell’inquadratura 3, se si
eccettua un effetto di rimbombo sulle basse frequenze che fa da
pedale a tutta il segmento, è comunque ancora riconducibile a
un’ottica realistica. È ciò che ‘si
sente’ dall’interno del veicolo. Ma nelle inquadrature
4 e 5 qualcosa cambia. In quella che noi interpretiamo come la
soggettiva di una (o di entrambe) le donne, la presenza sonora si
fa differente, è pur sempre un rumore d’auto, ma
mascherato da qualcos’altro, con un effetto simile a quando
ci si tappa le orecchie. Il meccanismo associativo dello spettatore
non può far altro che attribuire a questa percezione un valore
soggettivo interno. Se non che esso è subito contraddetto
nell’inquadratura 6 quando, a una riproposizione
dell’inquadratura 3, non corrisponde un ritorno al rumore
mimetico precedente, ma prosegue quella sensazione di
‘orecchie tappate’. Una stessa inquadratura può
essere dunque interpretata come soggettiva reale o irreale grazie
al solo cambio di un suono.
L’inquadratura 8 si può leggere con la
medesima ottica. Le donne entrano nel club, ma la macchina da presa
invece di staccare dal campo lungo all’interno del club,
opera un brusco movimento in avanti e segue con ritardo le donne,
con l’ovvia sensazione di portare noi stessi dentro il
locale. Ancora una volta il movimento, insieme deciso e instabile,
è sottolineato da un aumento d’intensità del suono
fino ai limiti della sopportazione (più l’impianto di
riproduzione è fedele, più questo aspetto viene
avvalorato).
Tabella 3
Il terzo segmento, di dimensioni più ampie
rispetto ai precedenti (Tabella 3), è propriamente
l’episodio centrale. L’evidente metalinguismo del
teatro (o, meglio, dell’esibizione scenica) nel cinema
risulta tanto più denso di aspettative quanto più
constatiamo che si tratta di una situazione prediletta da Lynch per
operare i suoi cortocircuiti. A titolo di esempio ricordiamo il
teatrino nel termosifone in Eraserhead, il club in cui
Isabella Rossellini canta Blue Velvet nell’omonimo
film (dove il gioco cromatico blu-rosso è così simile a
quello qui presente), la discoteca in cui Nicolas Cage improvvisa
una performance per Laura Dern in Cuore selvaggio, il
Luna Lounge in cui Bill Pullman suona il saxofono in Strade
perdute, la gara di ballo vinta da Naomi Watts nella prima
sequenza di Mulholland Drive. Più ancora, sono
frequenti nel cinema di Lynch le situazioni in cui vi è una
messa in scena non strettamente teatrale, cioè una situazione
in cui c’è qualcuno che agisce secondo un piano
prestabilito con degli spettatori interni. Per limitarci al solo
Mulholland Drive segnalo la serie di tre audizioni
consecutive: Betty che prova con Rita la sua parte a casa di Zia
Ruth; Betty che fa il provino negli studi di Hollywood; Adam Kesher
che presiede l’audizione per il suo film, nella quale si sa
già che la raccomandata Camilla Rhodes otterrà la parte.
Ognuna di queste sequenze è presentata con approcci stilistici
differenti che, invece di essere una pura esibizione virtuosistica,
sembrano voler portare alla luce un aspetto sempre diverso della
questione linguistica.
Nel Club Silencio le sfaccettature sono molte.
All’entrata del locale la presenza del sonoro è
così configurata: al rimbombo già presente dalla sequenza
precedente si aggiunge gradualmente la partitura orchestrale. Si
noti che il brano Silencio di Badalamenti è nettamente
omogeneo con il resto della colonna sonora. In altre parole, non
abbiamo la sensazione che esso sia proveniente dall’interno
del teatro. Semmai lo percepiamo come suono off. Solo in
questa chiave si comprende lo shock che provocano le parole
del Mago. «No hay banda», con i successivi riferimenti
espliciti al clarinetto, al trombone, alla tromba, implica che la
partitura orchestrale non è off, ma semmai fuori campo,
dato che è percepita anche da chi è dentro il club ed
è addirittura controllata da uno dei personaggi. D’altra
parte il Mago, rivolgendosi in macchina, sta parlando anche con lo
spettatore del film, riferendosi non solo alla musica del club, ma
alla stessa colonna sonora. Il Mago diventa così la proiezione
del regista-demiurgo; la frase «Silencio, no hay banda, no hay
orquesta, it’s all a tape recording» diventa la
non-soluzione del film, tanto dal punto di vista narrativo –
la rivelazione che arriva nel sonno a Rita e che il Mago ripete
potrebbe significare che la vicenda stessa che stanno vivendo le
protagoniste non è altro che la registrazione (mentale?
onirica?) della vera protagonista, Diane Selwin – quanto dal
punto di vista poetico-linguistico – la registrazione crea
l’illusione di una realtà, ma non una copia di essa.
Lynch sta indagando l’essenza della finzione
scenica: l’Attrazione, la Seduzione, l’Illusione, lo
Stupore intesi nel senso della performance dal vivo, la
Rappresentazione, la Registrazione, la Mediazione intese nel senso
cinematografico. Il numero del Mago è tutto giocato
sull’esibizione di un campionario di trucchi per
impressionare il pubblico. Una retorica elementare che parte dalle
sincronizzazioni gesto-suono – il trombettista in
playback (sincronizzazione mancata), il gesto del Mago che
‘causa’ il suono di tromba e poco dopo i tuoni –
attraverso i lampeggiamenti di luci, per arrivare al trucco della
scomparsa che è poi, a voler ben vedere, da cinema degli
esordi. Teatrale è poi l’espediente
dell’illuminazione dal basso all’alto del ghigno del
Mago, che gli conferisce un valore satanico. Da una parte dunque,
il campionario di trucchi, dall’altra qualcuno che dal
palcoscenico ci rivela che è tutto falso, l’opposto del
‘non c’è trucco non c’è
inganno’.
Tuttavia questa apparente rassicurazione non suona
per nulla rassicurante. Il pubblico cinematografico è
sottoposto all’inquietudine delle protagoniste e, poiché
deve riporre in esse una certa fiducia – esse sono dopo tutto
le detentrici della verità nella vicenda – risponde al
loro turbamento con il proprio. Non può ancora sapere che
questi stessi personaggi non sono altro che entità irreali,
vuote, frutto di una mente altra. È già un brutto colpo
avvertire che la colonna sonora, da sempre relegata nella sfera
dell’emotività, è minata da evidenti incongruenze,
che prese da un punto di vista distaccato sono invece ovvietà:
è ovvio che il suono nel cinema sonoro sia registrato, che non
ci sia una vera orchestra. Tuttavia questa sequenza, invece di
diventare il luogo dell’assurdo, è stranamente
coinvolgente, con una sua climax interna (l’acuto di
Rebekah poco prima del suo svenimento) e, a tratti, commovente.
La convinzione che Lynch ‘giochi’ con
questo sottile equilibrio trova conferme nel fatto che per ogni
evento sonoro ‘tradito’ da un gesto attoriale mancato,
c’è ne sia uno che conferma l’illusione di
verosimiglianza. Da una parte il suonatore di tromba evita la
sincronizzazione, dall’altra il Mago è in perfetto
sincrono con le note di tromba che evoca a gesti; da una parte egli
scompare, dall’altra il tuono causa il tremore del corpo di
Betty; da una parte Rebekah Del Rio sviene mentre il sonoro della
sua voce prosegue, dall’altra il microfono è acceso
(avvertiamo il suo riverbero quando qualche personaggio vi si
avvicina – effetto andato perduto nel doppiaggio – e
addirittura il suo rumore quando viene urtato prima
dell’esibizione di Rebekah). C’è dunque, dopo la
scomparsa del Mago, una sensazione di presa diretta che si riflette
tanto sulle voci di Emcee e della cantante, mediate dal microfono,
quanto sul sottofondo che per la prima volta lascia percepire il
brusio degli altri spettatori convenuti nel locale (inqq. 40-41).
Accanto a ciò Lynch, proprio come il Mago, fa ampio uso del
campionario di trucchi più convenzionali della messa in scena:
la lacrima disegnata sul volto di Rebekah, denominata la
llorona (tipo di cantante ‘lacrimosa’), la sua
interpretazione intensa che sembra essere la causa stessa della
perdita dei sensi, l’uso di un lungo riverbero avvolgente
sulla voce, la scelta del brano all’interno del repertorio di
evergreen della tradizione americana, il ricorso allo
spagnolo come lingua della passione e della tristezza e, da ultimo,
l’abbondante commozione di Betty e Rita.
Scheda del film
DAVID LYNCH, Mulholland Dr. (Mulholland
Drive), Les Films Alain Sarde, 2001, 145 min.
Les Films Alain Sarde / Asymmetrical
Productions – Scritto e diretto da: David Lynch
– Musiche composte e dirette da Angelo Badalamenti
– Costumi: Amy Stofsky – Montaggio: Mary
Sweeney – Scenografie: Jack Fisk –
Fotografia: Peter Deming – Produzione esecutiva:
Pierre Edelman – Prodotto da: Mary Sweeney,
Alain Sarde, Neal Edelstein, Michael Polaire,
Tony Kravitz – Interpreti principali: Justin
Theroux, Naomi Watts, Laura Elena Harring, Ann
Miller, Robert Forster.
Altra filmografia citata
DAVID LYNCH, Eraserhead
(Eraserhead. La mente che cancella), American Film
Institute, 1977, 89 min.;
—————,
Blue Velvet (Velluto blu), De Laurentiis
Entertainment, 1986, 120 min.;
—————, Wild at
Heart (Cuore selvaggio), Polygram, 1990, 127
min.;
—————, Twin Peaks,
serie TV, 1 pilota + 29 episodi, Propaganda Films Spelling
Entertainment, 1990-1991;
—————, Lost
Highway (Strade perdute), Ciby 2000, 1996, 135 min.
Bibliografia
ENRICO CAROCCI, Tormenti ed estasi. «Strade
perdute» di David Lynch, Torino, Lindau, 2006;
MICHEL CHION, L’audiovisione. Suono e
immagine nel cinema, Torino, Lindau, 20012;
—————, David
Lynch, Torino, Lindau, 20002;
Geneviève COURCY, Mulholland Drive,
elaborato finale del corso universitario Music and the Moving
Image, tutor Philip Tagg, Université de Montréal, 2007,
consultato on-line all’indirizzo:
http://tagg.mediamusicstudies.net/students/Montreal/MusImgMvt/Mulholland
DANIELE DOTTORINI, David Lynch. Il cinema del
sentire, Genova, Le Mani, 2004;
TOMMASO IANNINI, Il ‘disegno sonoro’
nel cinema di David Lynch, tesi di laurea specialistica,
relatore Elena Dagrada, Università degli Studi di Milano,
2006;
FRED KARLIN – RAYBURN
WRIGHT, On the Track. A Guide to Contemporary Film Scoring,
New York – London, Routledge, 20042;
DAVID LYNCH, Catching the Big
Fish. Meditation, Consciousness, and Creativity, New York,
Tarcher/Penguin, 2006;
Lynch On Lynch, ed. by
Chris Rodley, NewYork, Faber and Faber,
20052;
DANIEL SCHWEIGER, The Mad Man
and His Muse, «Film Score», September 2001,
consultato on-line all’indirizzo: www.lynchnet.com/mdrive/filmscore.html
The Cinema of David Lynch.
American Dreams, Nightmare Visions, ed. by Erica Sheen and
Annette Davison, London, Wallflower Press, 2004;
DOMENICO ZAZZARRA, Cinema e
sogno in «Mulholland Drive» di David Lynch, tesi di
laurea specialistica, relatore Lorenzo Cuccu, Università degli
Studi di Pisa, 2006, consultato on-line all’indirizzo:
http://etd.adm.unipi.it/theses/available/etd-09212006-012426/
Sitografia
(giugno 2008)
Sito personale del cineasta: www.davidlynch.net;
Sito interamente dedicato al film: www.mulhollanddrive.com;
è possibile rintracciare alcune interviste di
Angelo Badalamenti di cui mi sono servito:
Intervista 1: http://www.youtube.com/watch?v=a_9D5PiOjog
Intervista 2: http://www.youtube.com/watch?v=nBjfvexsv50
Intervista 3:
http://www.youtube.com/watch?v=SwvSFOEfHJE&feature=related
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