Lasciando agli specialisti di Lasso il compito di una
verifica puntuale di questa corposa monografia, vorrei dare qui il
resoconto di una lettura mossa soprattutto da curiosità
metodologica. Il quesito soggiacente è in fondo legato a
riflessioni analoghe a quelle già esposte in questa stessa
rivista da Vincenzo Borghetti (si veda
«Philomusica», III, 2003-2004): come si può
scrivere oggi un «life & works» dedicato a un
grande autore del Rinascimento?
Proviamo dapprima a definire, con piglio pragmatico,
il quadro della situazione, postulando che le considerazioni
intorno al caso di Lasso siano estensibili, mutatis
mutandis, a diversi altri grandi compositori
rinascimentali.
Il primo e più ovvio problema è quello del
pubblico di riferimento: a chi si rivolge lo studio a tutto tondo
del compositore in questione? Alla comunità musicologica (ad
una o più delle sue branche), agli studiosi di altre
discipline umanistiche, ai musicofili, a un pubblico ancora
più vasto? E se la comunque risicata sostenibilità
economico-editoriale impone di soddisfare contemporaneamente
diversi destinatari, quali soluzioni salvaguardano la qualità
culturale e scientifica dell’opera? (Laddove, per altro, non
necessariamente il contenuto netto in novità assolute è
il migliore e più utile indicatore qualitativo: una nuova e
documentata sintesi, un’interpretazione innovativa di fatti
già noti può, se condotta con intelligenza, far avanzare
significativamente la conoscenza… ed è a ben vedere
proprio ciò di cui si sente la mancanza per tanti protagonisti
della musica rinascimentale!).
Un’altra questione caratteristica, scoraggiante
quando non paralizzante nell’ottica di un’esegesi
stilistica complessiva, è spesso la presenza di un catalogo
vasto (addirittura sterminato, nel caso di Lasso), ma costituito
prevalentemente da brani brevi o brevissimi – ciascuno
inserito in una delicata trama di riferimenti, convenzioni,
richieste della committenza…–, e trasmesso oltretutto
da una complessa tradizione manoscritta e a stampa, che rende arduo
il riconoscimento di un’affidabile cronologia
compositiva.
Senza voler allungare a dismisura la lista delle
problematiche più gravi, non si può omettere quella
concernente il rapporto che l’autore della monografia
instaura, più o meno coscientemente, con la vulgata storica e
musicologica. Nel nostro caso, il dilemma tipico per chi scriva
intorno a soggetti come Lasso, Palestrina, Victoria o De Monte
è vedersi provvisto, magari, di un ventaglio di fonti
storiche, testimoni, edizioni, incisioni, saggi analitici
arricchitosi e diversificatosi negli ultimi decenni, ma senza un
corrispondente aumento nella capacità e nell’interesse
per la visione sintetica. Il che rende quasi inevitabile il ricorso
al precario salvagente dei giudizi vetusti – più o meno
illuminati in sé, più o meno travisati
dagl’immediati posteri: ricorso che troppo spesso si dispiega
in pagine ingenuamente acritiche o inutilmente ipercritiche.
Venendo ora allo specifico: come governa la sua
navicella, in questo mare pieno di insidie, l’autrice del
Roland de Lassus?
La Cœurdevey dichiara nell’introduzione i
propri obiettivi principali: «apporter du désordre et de
la déviance dans une appréciation trop molle de la
réalité musicale de l’époque» e
«réunir sur l’homme Lassus une masse
d’informations dispersées, dont certaines relativement
récentes et difficilement accessibles en dehors des grandes
bibliothèques» (p. 10). E già da qui si può
intuire che il suo pubblico di riferimento è tendenzialmente
‘ampio’: cosa di per sé, apprezzabile eppure non
sempre questa prospettiva ecumenica produce risultati felici, come
vedremo in seguito.
L’organizzazione complessiva del volume è
semplice: una parte di taglio storico («Un homme, une
oeuvre»), di quasi 400 pagine, una parte analitica («Le
langage musicale»), di circa 120, gli apparati finali. Ovvero,
classicamente: 1) vita, e opere in senso storico-documentario; 2)
opere in senso analitico-sistematico. Il forte scompenso
quantitativo tra le due sezioni è determinato anche dalla
scelta dell’autrice di dar conto nella prima parte in modo
assai minuzioso della cronologia compositiva e delle vicende
editoriali: seguirla mentre districa in un’avanzata
inesorabile questo groviglio di attestazioni, edizioni, ristampe,
riedizioni, privilegi, parodie, rielaborazioni di ogni sorta
risulta a dir poco faticoso per il lettore. Ma naturalmente,
piaccia o no, è importantissimo, sia per capire le specifiche
vicende del corpus lassiano, sia per immergersi una volta di
più nella storia materiale dei testi e nella storia
dell’editoria musicale del Rinascimento, che tanto hanno
ancora da svelare. Il pubblico ‘ampio’, che non gode,
insomma, di sconti da questo punto di vista, beneficia però
nella prima parte di un uso sempre vivido delle fonti storiche. La
Cœurdevey si destreggia molto abilmente[1] con una messe di documenti che per
l’epoca è davvero eccezionale – si pensi, ad
esempio, alla notizia biografica redatta nel 1565 dal bibliotecario
di Alberto V di Baviera, Samuel Quickelberg, sulla base di colloqui
con lo stesso Lasso, da cui riceviamo tra l’altro
un’inusuale abbondanza di dettagli sull’infanzia e la
giovinezza del compositore. Da Quickelberg, dunque, ai resoconti
delle feste monacensi di Massimo Troiano, dagli excerpta di
dedicatorie, diplomi e contratti all’impressionante
epistolario, il montaggio della musicologa francese diletta, nutre
e convince. Le si potrebbe tutt’al più rimproverare
– ma è un altro dei problemi spinosissimi –
qualche eccesso di zelo nella caratterizzazione del contesto
storico: difficile, pur in un discorso che ‘tiene’ ed
è condotto con intelligenza, resistere alla tentazione di
troppe pennellate d’ambiente, della ricerca ansiosa del nome
ad effetto, del collegamento ‘illuminante’ – un
po’ sfocati, exempli gratia, i richiami
teologico-spirituali a san Filippo Neri o a Pietro Canisio –,
laddove sembrerebbe preferibile evitare continue digressioni, e
lasciare alla cultura del lettore il compito di imbastire i nessi
tra primo piano e sfondo. Meglio riusciti i paralleli con epoche
successive o con l’attualità[2] di alcuni agganci d’epoca non
pienamente governati. Del resto, è quando va dritta
all’esperienza aurale, all’ascolto e alla sua estetica
che la Cœurdevey riesce veramente brillante; ne vengono
bellissimi squarci, come l’intuizione (p. 113) circa
l’influsso stravinskiano («le Stravinsky de la
Messe ou du Canticum sacrum») sulla nostra
moderna recezione di un certo scabro sound
contrappuntistico.
La seconda parte del volume, quella dedicata al
«linguaggio musicale», è organizzata per problemi:
«La gestion du matériau polyphonique» (in cui
vengono affrontate la scrittura contrappuntistica,
l’orchestrazione vocale, la modalità), «La gestion
du temps» (dove oltre al rapporto ritmo-metro-tempo viene
discussa la forma), «Le rapport au texte». Ci si può
chiedere: è un’impostazione conveniente? Nel complesso i
temi sembrano ben scelti ed è assai apprezzabile che
l’autrice non neghi il giusto spazio ad istanze troppo spesso
(e volentieri) trascurate dai rinascimentisti, quali le questioni
armoniche e formali. Inevitabilmente, però, emerge qui la
grave problematica, cui accennavamo sopra, dell’analisi
stilistica a fronte di un’opera immensa e frastagliata come
quella di Lasso: per quanto alcuni validi contributi analitici in
letteratura offrano preziosi punti d’appoggio (più che
per altri autori coevi, fortunatamente ma si tratta pur sempre di
isolotti in un mare incognitum), si può sperare di dare
un’idea dello stile e dei nodi centrali di una simile
personalità artistica in poco più di un quinto
dell’intero studio? E non è troppo pesante la rinuncia
dell’autrice ad una pur corsiva trattazione per generi?
È soprattutto qui che il libro non risolve in
modo soddisfacente il dilemma del pubblico di riferimento: volendo
mettere a proprio agio i lettori musicalmente meno acculturati, la
Cœurdevey si costringe a continue spiegazioni generali intorno
ai grandi problemi analitici della polifonia rinascimentale. Tali
delucidazioni introduttive, pur mediamente concepite con
abilità e autentico talento didattico, non paiono consentanee
all’impianto monografico del volume: giungono, infatti, quasi
al punto di ridurre le opere di Lasso a repertorio di
esemplificazioni dei procedimenti dell’epoca, e simile
atteggiamento manualistico non aiuta il lettore ad
‘afferrare’ le caratteristiche specifiche dello stile e
a comprendere il serrato dialogo dell’individualità
compositiva con le convenzioni, le tendenze, gli influssi.
Che risposta dà, insomma, questa monografia al
quesito primario da cui siamo partiti (come si può scrivere
oggi un «life & works»)?
L’operazione di allestire – in lingua non
tedesca – una nuova biografia di Lasso ampia, documentata e
particolareggiata, nonché corredata di opportuni apparati
risulta nel complesso convincente. È un lavoro utilissimo, da
cui tuttavia proviene una scomoda conferma: finché non si
disporrà di più estese, serie e sistematiche indagini
analitiche, sarà impresa ardua tracciare in modo davvero
innovativo i profili stilistici dei grandi autori rinascimentali, e
di conseguenza mettere in discussione le letture-etichettature
vulgate. Proprio per questo la sostanziale
‘giustapposizione’ di life e works appare
qui, ancor più che altrove, discutibile: la prima sezione,
resa ipertrofica dall’abbondanza di fatti persone cose
riferimenti, e dall’irresistibile fascino del contesto,
finisce per ingenerare aspettative destinate a rimanere inevase
nella seconda (ciò è pressoché inevitabile, va
ribadito: ben difficilmente il tempo di diligente e coraggioso
lavoro in preparazione di una monografia come questa di Annie
Cœurdevey può bastare per colmare gigantesche lacune di
conoscenza analitico-interpretativa; e d’altronde una
monografia ‘di sintesi’ pone già abbastanza
problemi per non doversi necessariamente porre al contempo come
monografia ‘di ricerca’).
È del resto tutt’altro che facile additare
soluzione alternative. Forse però se l’autrice avesse
mostrato con più nitidezza come nel caso di Lasso si incrocino
in modo singolare alcuni tra i temi nevralgici della recente
ricerca musicologica – dalle vicende storicoeditoriali e
sociologiche dei privilegi di stampa
all’intertestualità, dai contrafacta alla
bibliografia testuale, dalla filologia d’autore alla storia
della recezione –, avrebbe così trovato una chiave per
scardinare con tagli trasversali l’impacciata geometria del
dittico life + works. E una riflessione aperta su
questa ricchezza di percorsi e intersezioni avrebbe lasciato
intuire più chiaramente le direttrici su cui potrà
orientarsi lo studio di Lasso nei prossimi anni, o decenni.
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