Ricordare una figura complessa come Albert Dunning
non è facile, così come non lo è separare la figura
dello studioso e del professore da quella ‘domestica’
dell’amico e del generoso ospite dalla casa sempre aperta e
calorosamente accogliente, soprattutto per quanti, come chi scrive,
lo hanno conosciuto e frequentato in entrambe queste dimensioni. Le
righe che seguono intendono essere più un ricordo personale
che una ricostruzione puntuale della vita accademica di Albert
Dunning, anche perché appena tre anni fa è uscito il
monumentale Album amicorum a lui dedicato in occasione del
suo sessantacinquesimo compleanno,[1]
dove il lettore potrà trovare sia uno schizzo della sua
intensa carriera nella prefazione di Giacomo Fornari, sia la
bibliografia degli scritti a cura di Roberto Illiano.
Il percorso di vita di Albert Dunning, iniziato ad
Arnhem (Paesi Bassi) il 5 agosto 1936, lo ha portato ad essere
cittadino del mondo fin dall’epoca degli studi, che lo ha
visto percorrere l’Europa alla ricerca delle sedi in cui la
sua vivacità intellettuale poteva trovare i maggiori stimoli e
le migliori occasioni di confronto. Le sue ricerche per le tesi di
laurea e di dottorato si sono nutrite dell’esperienza
maturata nel lungo soggiorno viennese negli anni Sessanta; e a
Vienna e agli amici di quegli anni è sempre rimasto legato da
grande e costante affetto. L’attività di ricerca come
borsista (ricordiamo tra gli altri il prestigioso riconoscimento
della fondazione «Alexander von Humboldt») e come giovane
accademico lo condusse in seguito a toccare molte altre città
in Europa e negli Stati Uniti: Monaco di Baviera, Tubinga, Roma,
Syracuse (NY), Poitiers, Francoforte, fino al ritorno in patria a
metà degli anni Settanta, quando iniziò ad insegnare
presso la Vrije Universiteit di Amsterdam (1974-1976) per poi
assumere il ruolo di research fellow a Utrecht, presso la
Rijksuniversiteit.
In Italia Dunning si stabilì nel 1988, quando
divenne professore ordinario presso l’allora Scuola di
Paleografia e Filologia Musicale di Cremona (ora Facoltà di
Musicologia) dell’Università di Pavia. Alla sua cattedra
di Storia della musica moderna e contemporanea hanno potuto far
riferimento per quindici anni decine di studenti con gli interessi
più vari, da Le consuetudini musicali delle chiese
veneziane nel Cinquecento (tesi di Elena Quaranta) a La
«Technique de mon langage musical» nello specchio della
poetica e dell’opera di Olivier Messiaen (tesi di Piero
Padoa), trovando in lui un relatore inflessibile negli aspetti
formali (ottima lezione!), rigoroso in quelli metodologici, sempre
stimolante e disponibile a condividere la propria esperienza e
anche la propria rete di conoscenze professionali in Italia e
all’estero, per dar modo a laureandi e dottorandi di
allargare il più possibile le opportunità di apertura
intellettuale.
Dunning musicologo ha lasciato un’eredità
importante soprattutto nei due ambiti da lui esplorati con maggior
acribia: la musica rinascimentale, con la fondamentale monografia
sul mottetto di Stato (Die Staatsmotette, 1480-1555,
Oosthoek, Utrecht, 1969), e la grande tradizione strumentale del
Settecento, con l’assiduo lavoro su Pietro Antonio Locatelli,
i cui risultati maggiori furono dapprima la pubblicazione dello
studio Pietro Antonio Locatelli. Der Virtuose und seine Welt
(Frits Knuf, Buren, 1981) e in seguito la pubblicazione degli
opera omnia in seno alla Fondazione/Stichting «Pietro
Antonio Locatelli», da lui concepiti, fatti maturare e portati
a compimento con grande determinazione e stupefacente abilità
manageriale.
Alla Fondazione Locatelli Dunning ha dedicato gran
parte delle proprie energie, dal 1991 (anno della sua costituzione)
fino al forzato abbandono negli ultimi mesi di vita; era una sua
creatura, messa al mondo sì per pubblicare i summenzionati
opera omnia, ma anche per aprire uno spazio di lavoro e di
palestra-laboratorio musicologico per i giovani studiosi che, dopo
la laurea in musicologia, vi hanno trovato un’occasione di
primo impiego e soprattutto di apprendistato scientifico e tecnico
che si è rivelato spesso patrimonio prezioso per poi
proseguire il proprio percorso professionale altrove.
L’uomo Albert Dunning amava profondamente le
cose belle, l’Italia che lo ospitava e di cui apprezzava non
solo le tradizioni musicali ma anche quelle artistiche e, tratto
caratteristico, quelle enogastronomiche; anche queste passioni,
come quelle musicologiche, venivano volentieri condivise da lui con
gli amici e i collaboratori. Per rispetto verso
l’intelligenza di Dunning e la sua integrità di persona
non credo che sarebbe giusto tacerne gli aspetti sanguigni del
carattere: capace di accese polemiche e di scontri violenti,
reagiva con forza di fronte a situazioni che valutava come ingiuste
o scorrette. Ma dei lati ‘eccessivi’ della sua
personalità vorrei qui ricordare solo quello di cui ho potuto
fare più volte esperienza, vale a dire la grande
generosità con cui si interessava al cammino professionale e
anche umano dei suoi ‘ragazzi’, seguendone ed
aiutandone gli esordi musicologici, non mancando di essere vicino
nei momenti importanti dell’esistenza (sempre attento a
eventi lieti o dolorosi, ai matrimoni, alle nascite, alle tappe
della carriera) e dimostrando molto spesso autentico affetto.
Nel ricordare Albert Dunning è impossibile non
sentirsi particolarmente vicini alla sua compagna di tanti anni, la
moglie Jeanine, che oltre ad essere per tutti noi (studenti,
dottorandi, colleghi, collaboratori…) un’amica
piacevolissima, ha sempre rappresentato un modello di accoglienza,
pazienza, delicatezza e affettuosa vicinanza: a lei, in un momento
in cui il ricordo ancora troppo fresco della scomparsa di Albert
potrebbe rinnovarne il dolore, va il nostro ideale abbraccio.
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