Intervista di Michele Calella a Fabio Bonizzoni, moderatore Damien Colas
Damien Colas Penso sia il caso di dare la parola al Maestro Fabio Bonizzoni, organista e clavicembalista, fondatore dell’ensemble «La Risonanza», che si dedica ad opere sconosciute del Sei-Settecento, come la Missa di Johann Kapsberger, le Rosenkranz Sonaten di Biber, oppure ancora le Sonate per Cembalo e Organo di Bernardo Storace. Per le domande passo subito la parola a Michele Calella. Michele Calella Le mie domande sono per lo più di carattere generale, anche perché lei non era presente alla discussione di ieri e di oggi, e perciò è perfetto perché è una ‘cavia’ ideale, senza preconcetti. Le chiederò quindi in generale che rapporto ha lei con le edizioni critiche e con il testo. Lei ha studiato sia a Milano sia in Olanda, all’Aja, nella sua formazione diciamo musicologica o più che altro filologica, nel caso del rapporto con il testo musicale, c’è stato un cambiamento, passando da Milano all’Aja? Fabio Bonizzoni Sì, sicuramente. Ci sono anche una serie di fattori indipendenti dal luogo geografico: per esempio, il fatto che ho iniziato a studiare a Milano quando ero ancora bambino è significativo, in quanto poi crescendo e acquisendo la maggiore età sono cresciuto anche musicalmente, acquisendo un senso critico maggiore, non solo dovuto al luogo geografico. Calella Io mi sono reso conto qualche anno fa, quando ho iniziato a studiare cembalo (ero pianista), che il rapporto col testo è profondamente diverso: il pianista normalmente vede il testo come qualcosa di sacrosanto, ha un’idea un po’ romantica del testo, molto spesso senza mettere in questione l’edizione che ha in mano, mentre il clavicembalista tende a guardare il testo, a criticarlo e a correggerlo molto spesso, ha un atteggiamento più storico-critico nei confronti del testo. Bonizzoni Mi chiedo il perché, in realtà. Nel senso che un approccio critico al testo andrebbe un po’ diffuso anche ad altre categorie di strumentisti oltre ai cembalisti. Ovvio, in questi giorni si discute proprio del testo in questa sede, e l’approccio critico deve essere contestualizzato al tipo di testo che si ha di fronte; si può dire che, generalizzando e banalizzando un po’, le edizioni cosiddette ‘pianistiche’ spesso hanno un testo che in realtà richiederebbe un approccio ancora più critico rispetto a quelle critiche vere e proprie. In realtà, penso che quanto più il testo è acritico, tanto più l’atteggiamento dell’esecutore dovrebbe essere critico. Calella Una domanda diretta: lei usa sia edizioni critiche sia edizioni in facsimile. Qual è la differenza di atteggiamento? Bonizzoni Io cerco sempre di usare edizioni critiche, che per fortuna sono sempre più reperibili per il repertorio che affrontiamo; qualora non siano disponibili edizioni critiche, ci si deve rivolgere a delle fonti originali, per cui si è in una posizione privilegiata. Ovvio che a questo punto si aprono degli orizzonti molto ampi: io non credo che per definizione un’edizione critica sia meglio di un facsimile o viceversa. Il facsimile ha dei pregi enormi, nel senso che è il testo originale, però non è detto che sia l’unico testo originale; in realtà il lavoro di una bella edizione critica sarebbe quello, probabilmente, di fornire una sorta di media dei testi originali oppure il testo più vicino all’originale archetipico. Per cui io non ho un approccio diverso con il facsimile rispetto a quello con l’edizione critica, ho comunque un approccio con il testo che ho di fronte che cerco di modulare in funzione, appunto, al tipo di testo. Se ho in mano un autografo bachiano, ritengo che sarà una buona fonte, naturalmente, visto che Bach era solitamente molto preciso nella scrittura; se ho in mano la stampa delle Toccate di Frescobaldi che Frescobaldi stesso ha curato, io immagino che sia abbastanza vicino alla sua idea. È chiaro che gli errori gli stampa ci sono oggi come allora, e pongo sempre un po’ di attenzione alle cose che ho di fronte. Per rispondere alla domanda: no, non ho un atteggiamento diverso se ho in mano un manoscritto oppure una stampa dell’epoca o un’edizione critica: cerco di vedere sempre un po’ al di là. In questo senso gli apparati critici mi sembrano fondamentali quando sono onesti; un bell’apparato critico è una lettura che io definirei entusiasmante, e comunque estremamente importante per chiunque decida di affrontare un testo musicale. Calella Una domanda concreta che riguarda un’incisione recente: le Variazioni Goldberg; su che testo ha lavorato? E come vi ha lavorato per l’incisione? Bonizzoni Per le Variazioni Goldberg siamo molto fortunati, perché c’è la copia di Bach della stampa originale, ritrovata non tantissimo tempo fa; una copia su cui lui ha apportato delle leggere modifiche. Per cui abbiamo un’edizione del tempo e le correzioni d’autore, e ritengo che possiamo arrivare ad un testo estremamente attendibile. Calella Lei adesso ha in cantiere un progetto abbastanza ambizioso, quello delle cantate di Händel, che riguarda in maniera più specifica il repertorio oggetto di questo convegno; c’è un’edizione critica (della Hallische Händel-Ausgabe) con alcuni problemi di trascrizioni e correzioni non giustificate nell’apparato critico: in questo caso lei cosa fa? Userà la Händel-Ausgabe o userà un’edizione nuova? Farà fare un’edizione nuova, o la preparerà lei stesso? Bonizzoni Uso sicuramente come base la Händel-Ausgabe del professor Marx, leggo appassionatamente il suo apparato critico e nei casi dubbi, molto frequenti, chiedo aiuto a chi di mestiere fa il musicologo, per cui resto in stretto contatto con 2-3 musicologi che molto gentilmente mi danno ascolto e rispondono a molti miei dubbi. Sicuramente l’edizione Marx è un’edizione fantastica, ha raccolto moltissimo materiale in un apparato critico fatto bene, ma è umano che qualche cosa sfugga, quando uno si mette a fare l’edizione di 25 cantate di questa lunghezza. Quando poi uno deve stampare il proprio lavoro, inevitabilmente deve operare delle scelte, e ognuno le opera in base ad un proprio criterio personale. A me piace vedere, là dove mi sembra di poter individuare una scelta dell’editore (poniamo, delle note presenti nell’originale apparentemente fuori armonia, di cui l’editore dà una propria lettura confacente ai sensi stilistici ed armonici), se anche io avrei scelto la stessa soluzione per correggere quelle note. Sicuramente parto dall’edizione, però mi aiuto con l’apparato critico (che mi sembra molto ben fatto) e ricevo un aiuto dalle persone veramente esperte che mi stanno a fianco. Calella I musicologi che le stanno a fianco in quel momento vanno a vedere gli originali oppure si fidano anche loro dell’apparato critico? Bonizzoni Ma io ho la fortuna di avere una corrispondenza molto stretta su queste questioni con persone che sicuramente hanno accesso a tutti gli originali. Calella In questo caso abbiamo ricevuto tanti complimenti per i musicologi, quindi, cosa molto rara... Non vorrei fare l’avvocato del diavolo, ma non inveisce mai contro qualche musicologo o qualche edizione fatta male? Cosa si aspetterebbe di più da un’edizione critica? Bonizzoni Ci sono dei casi in cui l’edizione critica è francamente deludente, e c’è poco da fare, si cerca di leggere l’apparato critico, e fare il possibile. Eviterò di citare casi particolari qui al microfono, ma è un vero peccato che musica per tastiera di un grande compositore sia stata modificata così pesantemente secondo un gusto del tutto personale. Calella Grazie. Ci sono domande? Colas Allora, io vorrei cominciare le domande chiedendo maggiori informazioni su come funziona questo dialogo tra musicista/direttore e musicologo; abbiamo a che fare con amiche rivali? Lei segue necessariamente tutto ciò che dicono i musicologi? Oppure ci sono ogni tanto delle opposizioni frontali? Bonizzoni Io non seguo necessariamente e pedissequamente ciò che dicono i musicologi; voglio dire, su certi argomenti è saggio seguirli, per esempio sugli aspetti meramente testuali: secondo me, ne sanno molto più loro di noi. Secondo me lo scambio può essere più proficuo per tutti quegli aspetti che in fondo non sono così sicuri, legati alla prassi esecutiva; lì si ha il campo dove queste due amiche, anziché essere rivali, dovrebbero essere veramente amiche e unire le loro forze. Faccio un esempio, visto che si è citato l’ambizioso progetto delle cantate di Händel scritte in Italia che prevedono degli strumenti in organico: uno dei problemi che io ritengo importante affrontare riguarda la dimensione dell’organico; per quanti strumentisti vennero scritte queste cantate? Da un lato, chi se ne importa, nel senso che venivano scritte per un certo numero di strumentisti perché quel giorno lì venivano eseguite in quella sala e se noi andiamo in un luogo totalmente diverso queste variabili diventano meno importanti. Pazienza, io mi sono messo in mente di voler capire, dato che per queste opere scritte per occasioni ben specifiche abbiamo un sacco informazioni (la base di questi studi è stata fatta da Ursula Kirkendale). Dicevo, una delle questioni da affrontare è, ove possibile, ricostruire per ciascuna di queste cantate le condizioni della prima esecuzione, quindi capire quanti erano i musicisti che andavano a suonare un tutti orchestrale. Ci sono i documenti, che Kirkendale ha portato alla luce e che anche altri hanno studiato, e c’è poi l’esperienza pratica del musicista che si trova a dover suonare queste stesse musiche con il numero di musicisti che viene suggerito dai documenti. Documenti che, per quanto chiari, hanno sempre un certo margine di interpretazione; prova ne è il fatto che, per lo stesso documento, musicologi diversi danno indicazione di tre organici diversi. È lì che secondo me si può trovare uno scambio molto proficuo tra l’esperienza musicale pratica diretta e quelle che sono le informazioni storiche. Per esempio, l’anno scorso ad un certo punto ho preso una strada diversa da quella indicatami da uno dei musicologi in questione; alla fine questo stesso musicologo era al concerto e mi ha detto che le mie scelte, che lui aveva ritenuto improbabili, all’atto pratico funzionavano benissimo e forse avevo ragione io. Quindi, ecco, questo è il mio scambio con i musicologi: più che uno scontro frontale, cercare sempre di scambiare le vedute e i punti di vista. Colas Sì, una costruzione della realtà sonora a partire dal dialogo tra musicista e musicologo.
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Registrazione presso la Cancelleria del Tribunale di Pavia n. 552 del 14 luglio 2000 – ISSN elettronico 1826-9001 | Università degli Studi di Pavia | Dipartimento di Musicologia | Pavia University Press
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