Il Marchese Eugenio de Ligniville. Sovrintendente alla musica della Real Camera e Cappella Un inedito Gluck fiorentino e una querelle musicale con Charles Antoine Campion* |
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Fra i protagonisti del Settecento musicale oggi dimenticati, un posto d’onore spetta senz’altro, in questo poco gratificante primato, al Marchese lorenese Eugenio de Ligniville. La sua notorietà in ambito musicologico nasce e in senso più generale si limita ad una fugace apparizione nelle cronache mozartiane. Già nelle prime biografie del maestro salisburghese[1] viene ricordato come «direttore della musica della città [Firenze]» e «sapiente contrappuntista», il quale sottopose il giovane Mozart, durante un’accademia tenutasi al Poggio Imperiale per i Granduchi di Toscana, alla risoluzione di alcune difficili fughe e temi da analizzare e suonare a prima vista. Anche il padre Leopold ne riferiva in una lettera alla moglie, scritta a ridosso di quel breve soggiorno fiorentino (aprile 1770), presentandolo come «der stärkste Contrapunctist in ganzen Italien».[2] Lo stesso Mozart non dovette ritenere quella conoscenza poi così superflua se successivamente utilizzò nove dei trenta movimenti canonici del suo Stabat Mater a tre voci in canone per la composizione di un Kyrie a cinque con diversi canoni (KV 89).[3] Completando il giro dei viaggiatori-diaristi del tempo, anche l’immancabile Charles Burney, di passaggio nel capoluogo toscano pochi mesi dopo i due Mozart, ci ha lasciato di lui un ricordo.[4] Queste definizioni sintetizzano alcune specificità del Marchese lorenese, ma non ne esauriscono affatto il ruolo rivestito nelle attività musicali fiorentine della seconda metà del Settecento. In ambito bibliografico soltanto Giacomelli[5] e Rice[6] forniscono informazioni appropriate, documentandone il primo alcuni aspetti delle relazioni con il conterraneo Campion e rivelandone il secondo le implicazioni nella diffusione fiorentina della musica di Händel. Altri studiosi, invece, ne danno una notizia poco più che aforistica,[7] quando addirittura non lo ignorano.[8] Nonostante i meriti emersi in questi studi, siamo tuttavia in presenza di un corpo bibliografico che si è occupato del Ligniville soltanto marginalmente o perlomeno che lo ha sempre posto come figura satellitare rispetto all’indirizzo più generale delle indagini intraprese e non al centro di esse. Perciò, di fronte all’assenza di un suo profilo biografico e professionale compatto, la ricerca ha mosso necessariamente i suoi passi nella direzione della scoperta di fonti primarie per lo più inedite ed è dall’incrocio di carteggi, gazzette e dati amministrativi che ho potuto ricostruirne la figura rivelando la centralità che ebbe in molti aspetti della vita musicale fiorentina. Spirito libero e inquieto, appassionato ed esperto di musica, agronomia ed esperimenti scientifici, nella versatilità degli interessi è riconoscibile quel tratto enciclopedico che è la linea direttrice principale, caratterizzante gli ingegni più arguti del suo tempo. Dotato di un sarcasmo pungente e di una schiettezza di giudizi che non conosceva mediazioni, fu proprio in virtù di questo carattere che – lo vedremo oltre – Ligniville si trovò più volte in aspre polemiche con alcuni colleghi musicisti e subì, probabilmente a causa di una gestione non proprio oculata del bilancio economico, l’esilio dalla Corte fiorentina. Nato nel 1730 a Lunevylle, discendeva da una di quelle famiglie della grande aristocrazia lorenese che al momento del cambio territoriale seguirono fedelmente le sorti della Maison principale.[9] Nulla è noto dell’educazione ricevuta, anche se verosimilmente fu avviato agli studi musicali da giovane, come prevedeva la formazione di ogni nobile sin dai tempi del Cortegiano di Castiglione. Le prime notizie lo indicano nel 1757 a Mantova dove, inviato dal governo austriaco, stava svolgendo analisi sulla coltivazione dei gelsi, da cui scaturì una acuta relazione, il Mémoire sur la culture des Meuriers dans le Duché de Mantoue.[10] Proprio al periodo mantovano risalgono anche le prime informazioni relative alle sue occupazioni musicali. Ce lo rivela il carteggio con il centro di gravità della musicografia settecentesca: Padre Martini. Questo scambio epistolare, che occupò entrambi per circa un ventennio, è particolarmente utile per conoscere il rapporto intercorso fra il canonico bolognese e il Marchese e costituisce un tassello importante nella comprensione degli interessi e dei modus operandi propri dei teorici della musica nel Settecento. È illuminante sul sistema della circolazione libraria e delle raccomandazioni così come nel mostrare un’attenzione crescente per l’arte del contrappunto, disciplina particolarmente cara a Padre Martini e della quale il Ligniville si rivelò degno seguace. Alza il velo su una rete di interessi, amicizie e conoscenze, di cui Padre Martini costituiva uno snodo fondamentale, rivelando una comunità incredibilmente coesa ed organizzata e che, a dispetto delle oggettive difficoltà comunicative sofferte dalla società del tempo, non permetteva l’indifferenza reciproca, ma rendeva ciascun musicista partecipe alla sorte degli altri e pedina indispensabile per il buon funzionamento dell’intero scacchiere musicale. Il carteggio ci rende infine familiari con la personalità del Ligniville ed avvicina ai suoi molteplici interessi e funzioni: dall’ammissione all’Accademia Filarmonica di Bologna, all’attività compositiva particolarmente incline al contrappunto, sino alle implicazioni che gli venivano dall’incarico di «Sovrintendente alla musica della Real Camera e Cappella», il dipartimento musicale della Corte fiorentina. Nella prima fase della corrispondenza[11] il principale interesse del Ligniville era rivolto all’ammissione presso l’Accademia Filarmonica di Bologna, della quale il canonico era un esponente influente ed autorevole. Impossibilitato a recarsi a Bologna per sostenere una prova d’ammissione, proponeva che gli venisse inviato «per thema un canto fermo per formarvi sopra un soggetto a quattro, a otto voci, o qualunque altra cosa d’impegno che sia di suo piacere», ed in base a questo essere giudicato dal consesso accademico. Il Marchese lorenese evidentemente ignorava l’esistenza di alcune delibere accademiche che dal 1726 rendevano più agevole l’aggregazione all’Accademia Filarmonica alle persone di nobile lignaggio e «di maggiore grado» in qualità di «Accademici d’onore». Per ottenere tale privilegio questi illustri personaggi dovevano comunque essere «veri e attuali professori di musica» e grazie alle loro spiccate qualità musicali rendere lustro e decoro alla nobile istituzione. In questo regolamento, non sfuggivano certo considerazioni di carattere economico, giacché si guardava ad essi come persone facoltose in grado di dare impulso maggiore e assistenza all’Accademia per ogni eventualità.[12] La normale ammissione all’Accademia avveniva tramite un esame che stabiliva, nelle tre classi che la componevano («Compositori», «Cantanti» e «Suonatori»), se il candidato era in possesso degli standard di dottrina, sapere, giudizio, bravura e destrezza richiesti.[13] Per coloro, invece, che volevano fregiarsi del titolo di «Accademico d’onore» in qualità di «Compositore» e come Lignivillle abitavano extra locum (cioè non risiedevano in Bologna) era sufficiente produrre una dichiarazione del maestro di cappella della città dove abitualmente dimoravano, che testimoniasse le abilità del candidato, e a questa allegare una composizione scritta a loro piacimento da sottoporsi al giudizio dei censori per l’aggregazione all’Accademia.[14] Si seguì questo iter e pochi mesi dopo (il 2 agosto 1758), Ligniville inviò la propria composizione che, favorevolmente valutata all’unanimità dalla commissione giudicatrice, gli consentì l’ammissione all’Accademia nel novero dei «Compositori».[15] Nel dicembre dell’anno successivo si trasferì a Firenze,[16] dove ebbe inizio la sua stagione musicale più incisiva. L’impiego a «Generale delle Poste», cui venne nominato immediatamente dopo il suo arrivo e che mantenne sino al 1767,[17] non gli impedì di coltivare i propri interessi musicali e di contribuire già in quegli anni a vivacizzare la vita musicale fiorentina. Firenze e i fiorentini avevano molto sofferto per il cambio dinastico (1737), specialmente per la mancanza di una Corte, la cui sostituzione con una Reggenza, caratterizzata da una gestione estremamente parsimoniosa, non poteva far altro che alimentare il rimpianto per il glorioso passato mediceo.[18] La Reggenza, che fu una sorta di Corte atrofizzata, aveva ridotto le sue funzioni al minimo indispensabile, conseguentemente anche la musica conobbe un deciso ridimensionamento sia nell’organico che nelle funzioni. Ma l’assestamento del panorama politico internazionale, seguito alla pace di Aquisgrana (1748), e soprattutto la decisione di riportare, attraverso una secondogenitura, una vera Corte a Firenze condussero la Reggenza in una fase più dinamica, in cui gli esiti successivi cominciarono a configurarsi. Le infiltrazioni lorenesi, evidenti a livello di gestione amministrativa e fiscale, ebbero un loro peso anche in ambito musicale, soprattutto nel direzionare la musica verso lo sviluppo di un ricco ed originale repertorio cameristico che, nel corso degli anni del governo leopoldino, avrebbe reso il capoluogo toscano una singolare eccezione all’interno del panorama musicale italiano, profondamente immerso nel teatro d’opera. Gli anni della Reggenza, caratterizzati da un marcato favoritismo verso i lorenesi, ebbero positive ripercussioni sulla successiva trasformazione della regione in un vivace laboratorio di rinomate scuole solistiche e la diffusione della musica da camera. È il caso del flautista lorenese Nicolaus Dôthel, il quale in anni di vacche magre riuscì ad ottenere ugualmente l’impiego di «Virtuoso di Camera».[19] Di lui esiste una copiosa produzione[20] nota ed apprezzata a livello europeo ed è al contributo suo e di altri conterranei, operativi nella Banda Militare di Corte, che si deve l’introduzione nella regione della pratica, tradizionale della musica francese, del complesso di flauti. Non meno prestigiosa e benefica, nel senso qui analizzato, fu la presenza di Charles Antoine Campion,[21] il quale rappresentava insieme al Dôthel i due terzi di quella scuola di rinomati Maestri europei attiva a Firenze e celebrata dal Burney qualche anno dopo.[22] Il suo ingaggio alla corte fiorentina in qualità di «Maestro di Cappella» (febbraio 1763) seguì un percorso travagliato, benché egli fosse favorito dall’Imperatore Francesco Stefano in persona e raccomandato dal Marchese Ligniville.[23] L’ottenimento dell’incarico si legava al progetto di dotare nuovamente il capoluogo toscano di una Corte e fu soltanto con il raggiungimento di accordi matrimoniali fra gli Asburgo-Lorena e i Borbone di Spagna (dicembre 1762) che i nodi finali di questa vicenda poterono finalmente sciogliersi. Ligniville, estremamente partecipe di quel valzer di vacanze, candidature e raccomandazioni seguito alla morte del Maestro di Cappella Orlandini,[24] percorse anche altre vie per incoraggiare la musica e rendere nota la sua passione alla società fiorentina. Proseguì a scrivere musica, che promosse sia in stampa che con pubbliche esecuzioni,[25] estendendo il suo campo di interesse anche alla produzione cameristica. Nel 1762 scrisse un Salve Regina a tre voci, pubblicato grazie all’intermediazione di Padre Martini presso lo stampatore bolognese Lelio della Volpe. Un lavoro in stile contrappuntistico per il quale Ligniville ricevette il plauso e l’approvazione degli Accademici[26] e che il Campion definì «terreur de touttes les Salve».[27] Risalente allo stesso periodo è anche un «concerto di fagotto, con due violini, viole, corni», che il Ligniville intendeva dedicare a Padre Martini, al quale chiedeva diversi suggerimenti sulle scelte di metodo seguite, e che forse venne stampato in Bologna.[28] Incoraggiò iniziative sperimentali legate alla ricerca strumentale, come veniva pubblicizzato sulle pagine della «Gazzetta Toscana ».[29] Infine iniziò a svolgere un ruolo attivo nelle vicende musicali di Corte, segnando così la strada che lo avrebbe condotto all’incarico di Sovrintendente alla Musica di quel dipartimento. La via per l’ottenimento di quell’incarico passava da Pietro Leopoldo, ed è con il giovane Principe che Ligniville instaurò un rapporto di stima e di fiducia poggiante essenzialmente su una base intellettuale di interessi comuni. Il Granduca aveva un temperamento riflessivo ed una curiosità erudita che lo spingeva ad appassionarsi con interesse a tutte le forme dello scibile ed in particolare alle sue appendici scientifiche e sperimentali, di cui fu valido patrocinatore.[30] Anche il Marchese coltivava con passione interessi scientifici e si prodigò per promuoverne la diffusione.[31] Il suo interesse non solo teorico per il contrappunto va quindi a chiudere il cerchio delle affinità fra campi disciplinari diversi (musica e scienze), le cui tangenze emergono chiaramente grazie a valori ed approcci mentali condivisi. L’arte del contrappunto è infatti la tecnica di composizione musicale che maggiormente fonda la propria realizzabilità su criteri matematici e non c’è dubbio che Ligniville ne investigò a fondo le potenzialità realizzando con intelligenza e metodo lavori singolari. Questa convergenza di interessi fu il terreno d’incontro fra i due e ne sono riprova le circostanze che segnarono il loro rapporto. Quando Pietro Leopoldo giunse nel settembre 1765 a Firenze, ebbe verosimilmente contatti con il Ligniville per via dell’incarico istituzionale (Generale delle Poste) rivestito dal lorenese, ma i particolari interessi musicali di quest’ultimo dovettero presto divenire oggetto di conversazione se il Granduca, a distanza di tre mesi dall’insediamento della nuova Corte, gli commissionò la composizione di musica sacra, nello specifico di «una messa con stromenti che duri poco più di una messa bassa».[32] Ligniville per la composizione di questo lavoro si rivolse a Padre Martini, affinché gli inviasse una messa «brevissima con strumenti di qualche autore bravo che sia ricca di fughe» che lo potesse illuminare e servirgli da esempio. Non è affatto da escludere che in seguito a quella commissione si sia materializzato il celebre Stabat Mater a tre voci in canone che Ligniville pubblicò nell’aprile 1767[33] dedicandolo proprio al Granduca, e che venne eseguito pochi giorni dopo nel Real Palazzo di Pisa, dove la Corte si era trasferita.[34] Questa composizione doveva essere ritenuta particolarmente ricca di pregi. Mozart – come già osservato – ne trasse materia di ispirazione, ma anche i Filarmonici ne tessero le lodi, come emerge dai verbali di una seduta tenutasi il 2 aprile 1767.[35] Avendo Ligniville inviato il suo lavoro a Bologna, gli Accademici si riunirono nelle camere di Padre Martini per determinare la risposta da dare; i presenti a quella seduta furono tredici e tutti approvarono il testo di risposta, già preparato dal Martini. L’epistola-giudizio toccava problemi sia compositivi che estetici, ed attraverso l’utilizzo di metafore di natura pittorica care al Maestro Martini – «la cognizione del contrapunto è tanto necessaria nella Musica, quanto nella Pittura il Disegno» – concludeva valutando lo Stabat Mater «opera pregevole, attese sopra tutto le straordinarie difficoltà, che occorrono nel praticarle nella tessitura de Canoni».[36] Un giudizio lusinghiero che Padre Martini amplificò in una lettera privata elogiando il Ligniville quale musicista degno di essere paragonato ai più celebrati Maestri che nei secoli si erano misurati con la disciplina contrappuntistica.[37] Lo stesso Pietro Leopoldo ne rimase singolarmente colpito, come si deduce da un catalogo prodotto nel 1771 dalla stamperia granducale (il Catalogue des livres du Cabinet particulier),[38] dove si trova una sezione musicale contenente circa 200 tra spartiti e volumi di musica di vari autori e generi musicali.[39] La cosa particolare di questo catalogo è che presenta numerose annotazioni manoscritte a lato di ciascun titolo – alcune sono del Granduca stesso, altre furono stese sotto dettatura – che dovevano essere ad uso e guida dei giovani Arciduchi. I 114 titoli musicali indicati sono tutti accompagnati da un sintetico giudizio dell’autore: «excellent», «fort bon», «bon», «passable», «singulier», «médiocre», «mauvais».[40] Ebbene lo Stabat Mater del Ligniville presente fra i brani di quel volume venne giudicato – caso unico – «singulier ». Ma una lettura attenta e mirata di questo documento si rivela preziosa non solo per comprendere i gusti musicali del Granduca, su cui in generale le informazioni scarseggiano, ma anche perché ci porta direttamente nel cuore dell’atmosfera culturale della Corte fiorentina, rendendo più chiaro il ruolo rivestito dal Marchese Ligniville così come le ragioni che condussero al suo incarico. Ligniville, dopo aver ottenuto la dimissione da Generale delle Poste nel settembre 1767[41] e sistemato pochi mesi dopo alcune questioni ereditarie successive alla morte della madre,[42] inoltrò nel settembre 1768 la richiesta al Granduca di essere nominato Sovrintendente alla Musica.[43] L’incarico gli venne accordato tramite una formula compromissoria a «titolo di onorificenza»[44] poiché, seguendo l’esplicita proposta del Ligniville, venne pagato «a reflesso» della pensione materna che ritirava dal Regio Erario.[45] Il ruolo di «Sovrintendente alla Musica della Real Camera e Cappella» era sostanzialmente nuovo per la Corte fiorentina, le sue competenze perciò non sono rintracciabili in una figura del passato dotata di funzioni analoghe né tanto meno vennero sancite da un regolamento scritto ad hoc. Cosa significasse questo particolare incarico può essere compreso soltanto alla luce di quella singola esperienza. L’incrocio del Catologue des livres con gli eventi salienti del primo quinquennio di governo leopoldino e le competenze musicali del Ligniville fornisce utili spiegazioni a riguardo. L’arrivo dei nuovi sovrani aveva suscitato grande eccitazione ed introdotto nella città un indiscutibile respiro europeo, che risuonò a livello musicale non solo nelle stanze della Corte ma anche nelle sue propaggini cittadine (accademie poetico-musicali e teatri) e nelle dimore di alcuni facoltosi mecenati, come quella del versatile nobile inglese Earl Cowper. Firenze divenne in breve la succursale e prima referente delle principali novità teatrali espresse dalla riforma viennese e un centro di culto della musica di Händel. Nello scorrere il calendario di eventi noti e altri ancora ignoti troviamo Alcide al Bivio di Hasse, Alceste e Orfeo di Gluck, Ifigenia in Tauride di Traetta e alcuni dei principali oratori di Händel, fra cui il Messia e il Convito d’Alessandro. Sono opere il cui valore è confermato dal fatto che resistono ancora oggi nel repertorio e verso le quali Pietro Leopoldo nutriva una profonda ammirazione, restituendoci così l’immagine di un Granduca vero esperto di musica e non semplice patrocinatore di eventi musicali. Nel Catalogue des livres questi lavori vennero tutti giudicati «excellent», con l’unica eccezione del Convito valutato più modestamente – ma non poi tanto – «bon». Ciò che accomunava quelle opere nel renderle favorite al Granduca era il fatto che si trattava di opere con cori. È proprio il Marchese lorenese a suggerirci la via in una serie di lettere inviata a Padre Martini, nella quale chiedeva gli fosse spedita tutta la «musica d’Handel con cori», indicandola come il tipo di composizione prediletto dal Granduca.[46] Ligniville in questa scena oltre a fare da intermediario, reperendo opere gradite al Granduca, si ritagliò un ruolo di primo piano nelle attività musicali di Corte, assumendo su di sé la responsabilità dell’allestimento e dell’esecuzione di alcune opere che caratterizzarono quella stagione; partecipò con buone probabilità nell’ottobre 1766 alla realizzazione nelle stanze di palazzo Pitti dell’Alcide al bivio,[47] come informa egli stesso in un interessante foglio di Corte che verrà esaminato oltre; si inserì da protagonista nel revival di Händel promosso inizialmente da Lord Cowper e proseguito dal lorenese con la messa in scena nella propria abitazione, complice la partecipazione dei musicisti di Corte, di Aci e Galatea[48] e Giuda Maccabeo e la riproposta del Messia e del Convito;[49] infine diresse negli ambienti di Corte una esecuzione – sinora ignota – dell’Alceste di Gluck, che seguiva di pochi mesi un allestimento altrettanto inedito dell’Orfeo, cui il Marchese però non prese parte essendo assente in quel periodo da Firenze. Ciò nonostante una ricognizione di quei due eventi, di cui finora non si aveva notizia, si rende indispensabile. Nella ricerca sono stati rinvenuti documenti che attesterebbero una esecuzione ‘italiana’ di quelle opere in anticipo rispetto a quella parmigiana nel 1769 dell’Orfeo e quella patavina nel 1777 dell’Alceste. L’uso del condizionale è d’obbligo per la frammentarietà e incompletezza delle fonti, ma il congiungimento di questi dati con alcuni indizi significativi fa propendere chi scrive per un’accettazione delle novità prodotte da questi documenti. Il caso di Orfeo è quello più problematico. Si tratta di una carta che riferisce genericamente dell’esecuzione il 22 marzo 1768 di una «Cantata d’Orfeo a Corte».[50] Ciò che lascia perplessi nell’identificare quest’opera con quella di Gluck, oltre alla mancata attribuzione della musica ad un qualsivoglia compositore, è il fatto che non esiste nessun’altra testimonianza che informi di quell’evento. Questo non è però così insolito dato che non tutti i documenti del periodo hanno la qualità di corrispondere. Si pensi, ad esempio, all’esecuzione a Corte dell’Alcide al Bivio precedentemente ricordata, che venne reclamizzata sulle pagine della Gazzetta, ma di cui non esiste nessuna traccia nei documenti amministrativi. Sono molti invece gli elementi che spingono a identificare quell’opera con l’Orfeo di Gluck; anzitutto la perfetta compatibilità dell’organico utilizzato per quell’evento con la partitura originale[51] e la presenza fra le voci di una «parte d’amore» che escluderebbe un qualsiasi Orfeo alternativo a quello qui preso in considerazione e verosimilmente rappresentabile in quell’anno.[52] Qualche perplessità potrebbe lasciare la definizione «Cantata», dato che era termine con cui si designavano generalmente i lavori appartenenti al genere oratoriale e non alle Feste teatrali cui l’opera in questione appartiene. Ma in una filza successiva a quella dove ho trovato questa indicazione, si parla dell’esecuzione dell’Alceste di Gluck (una tragedia) utilizzando nuovamente il termine Cantata.[53] Si tratta evidentemente di una semplificazione e banalizzazione alquanto diffusa nei documenti amministrativi che non hanno nessuna attenzione o pretesa di usare termini tecnicamente qualificanti. Si può quindi ritenere che sia stato utilizzato il termine Cantata perché quella esecuzione fu priva di ogni supporto scenico e drammaturgico, in semplice forma cantata. La vicenda è decisamente più chiara per ciò che concerne l’Alceste, l’opera più emblematica della riforma viennese dedicata proprio a Pietro Leopoldo; i documenti indicano che nell’estate del 1769 la cantata venne provata due volte in casa del Marchese di Ligniville[54] e che per quelle prove erano state fatte diverse copie in musica.[55] Seguì a quelle prove una esecuzione ufficiale o perlomeno in presenza del Granduca? Il quesito è destinato a rimanere aperto per la mancanza di documenti. Resta comunque l’ennesima conferma che le opere del boemo incontravano il favore di Pietro Leopoldo e che in conseguenza di ciò, già molto prima di essere immesse nel circuito musicale cittadino, si fossero imposte all’attenzione della Corte. Inoltre la fugace apparizione nel 1767 di Gluck a Firenze per un lavoro secondario quale era la composizione di un prologo all’Ifigenia in Tauride di Traetta, opera principale rappresentata alla Pergola e scelta per celebrare il futuro parto di Maria Luisa, troverebbe alla luce di queste scoperte una giustificazione e comprensione sinora sfuggita.[56] In un contesto così impegnativo, che finiva per confrontarsi con la riscoperta dei capolavori händeliani e con il linguaggio complesso e fuori moda delle opere riformate viennesi, c’era la necessità di servirsi di musicisti dotati di specifiche capacità, e le competenze del Ligniville erano evidentemente considerate spendibili a questo scopo. L’incarico ricevuto non fu quindi meramente onorifico, come si segnalava nei documenti amministrativi, ma ebbe una ragione d’essere negli indirizzi culturali che animarono questa fase della Corte leopoldina. Ligniville da parte sua credé fermamente in questa attività e profuse il massimo impegno nella realizzazione dei suoi obiettivi tanto da arrivare a concepire un minuzioso progetto di miglioramento del dipartimento musicale. All’indomani del riordino organizzativo dell’intera Corte, seguito alla partenza del Rosenberg,[57] Ligniville inviò al Granduca un articolato piano di intervento in cui evidenziava i difetti del funzionamento della «Real Camera e Cappella» e ne indicava la soluzione proponendo di migliorare il servizio del dipartimento con l’integrazione all’organico dei «Provvisionati» dei musicisti più capaci che in varie occasioni partecipavano alle funzioni musicali in qualità di «giornalieri» e inspirare così in essi e nei candidati futuri una applicazione sempre maggiore alla professione.[58] Il memoriale di risposta redatto dal Maggiordomo Maggiore Thurn sollevava questioni economiche, rilevando sia l’inesattezza dei conti del Ligniville sia la superfluità per le funzioni di Corte di questi ingaggi,[59] ed essendo il suo parere determinante per le decisioni del sovrano, Pietro Leopoldo non approvò il nuovo sistema e decise di «di lasciare le cose sul piede in cui sono».[60] Indipendentemente dalla smacco subito, la diretta partecipazione del Marchese alla cura delle opere più significative, l’autorevolezza raggiunta fra i musicisti di Corte e la scelta del repertorio comico da eseguire nei periodi di villeggiatura al Poggio a Caiano,[61] danno il segno di un’attività a tutto campo che avrebbe finito per invadere e collidere con le competenze di colui al quale queste funzioni generalmente spettavano per statuto: il Maestro di Cappella. Fu quindi con il conterraneo Campion, che maturò un’aspra querelle musicale. I problemi fra i due divennero manifesti nel giugno 1772, all’indomani dell’aumento di stipendio concordato dal Granduca a favore di Campion.[62] Il Maggiordomo Maggiore Thurn, facendosi latore di una richiesta di Pietro Leopoldo, chiedeva al Ligniville le ragioni dell’esclusione del Maestro di Cappella dall’esecuzione della Cantata (lo Stabat Mater del Pergolesi) tenutasi, sotto la direzione del Marchese, in onore della Elettrice di Sassonia,[63] e gli ordinava di impiegare Campion in tutte le funzioni di Corte che si sarebbero tenute in futuro, giacché al Granduca non piaceva che «les gens qui sont à mes gages soient mis dehors au risque de leur reputation».[64] Il memoriale di risposta apre uno squarcio sulla situazione che si era venuta a creare nel dipartimento musicale, dove il centro decisionale era divenuto il Marchese Ligniville, cui spettavano la direzione delle composizioni e persino la scelta dei ruoli da distribuire nell’orchestra. Quanto al severo giudizio di Ligniville sulle capacità musicali del conterraneo Maestro di Cappella mi preme rimarcare che si tratta di un’opinione personale, specchio certamente di una difficile situazione maturata all’interno della «Real Camera e Cappella», ma che non deve influenzare il lettore, la cui valutazione del Campion non può prescindere dallo studio delle sue opere. Ligniville giustificava l’esclusione del Campion col fatto che questi si era dimostrato incapace di coprire i tre ruoli nei quali avrebbe potuto essere impiegato: dirigere, suonare il clavicembalo o tenere la parte contabile. E che per questa ragione era stato escluso dai concerti dati in onore del Duca di Brunswick, per il quale venne allestito l’Alcide al bivio precedentemente menzionato, della Regina di Napoli e dell’Imperatore.[65] Trattandosi di un attacco diretto alla professionalità del Campion, per di più scritto a ridosso del suo aumento di stipendio, il Maestro di Cappella decise di rispondere alle accuse del Marchese lorenese e di confrontarsi direttamente sul terreno più familiare al rivale, quello del contrappunto. Da questa querelle si generò l’interesse del Campion per il contrappunto osservato e la tecnica canonica sfociato nella composizione dei Canoni 55 i quali sono nell’Historia della musica del R. P. M. Martini risoluti da C.A. Campion, di cui riferisce Giacomelli, prendendo spunto dal carteggio Martiniano.[66] Il Granduca conosceva e stimava la celebre opera di Padre Martini, che gli era stata donata dal maestro bolognese tramite il Ligniville,[67] perciò la sfida di Campion assumeva il tono di un regolamento di conti. Padre Martini, chiamato in causa dal Campion per aiutarlo nella correzione delle sue risoluzioni, tornò così nuovamente ad essere protagonista nelle vicissitudini musicali fiorentine e, nonostante una anomala lentezza nella risposta,[68] fece giungere le agognate correzioni. Quel lavoro insieme al Trattato teorico e pratico dell’accompagnamento del Cimbalo; con l’arte di trasportare in tutti i toni e sopra tutti gl’Istrumenti fu dedicato al Granduca Pietro Leopoldo[69] e rappresentò a un anno di distanza dall’inizio della querelle la risposta del Campion alle accuse del Marchese lorenese. Quanto ci fosse di vero nelle accuse rivolte al Campion è difficile da valutare. Certo è che i ruoli nel dipartimento musicale dovevano essere stati spartiti secondo un criterio preciso, per cui le esecuzioni più impegnative furono affidate al Ligniville e al Campion vennero verosimilmente lasciate le sole funzioni ordinarie. Ligniville comunque non era nuovo ad un certo tipo di eccessi e la sua sicurezza in materia musicale aveva già fatto un’altra vittima illustre del mondo musicale fiorentino, il giovane compositore Alessandro Felici,[70] il quale venne accusato dal Marchese lorenese di essere preparato nell’arte del contrappunto quanto l’ultimo dei suoi cani da caccia![71] Se sia riconducibile a questa esuberanza il suo allontanamento dalla Corte non è dato sapere. Nell’ottobre 1776 Ligniville venne esautorato dall’incarico con un motuproprio di Pietro Leopoldo.[72] Le cause di questo licenziamento sono tutte segretamente racchiuse in quel «per ragioni a lei note» che tutto e niente dice. Certo è che già qualche anno prima Ligniville era stato al centro di un curioso episodio; nel febbraio del 1773 Pietro Leopoldo aveva fatto al Marchese un singolare dono, regalandogli un cavallo dal nome sibilino, «ingrato».[73] Un gesto che aveva poi trovato un’eco sulle pagine del periodico «Notizie del Mondo».[74] Ligniville doveva aver tenuto una condotta poco gradita dal sovrano il quale con questa azione intendeva ‘galantemente’ punirlo, secondo codici comportamentali la cui finezza e sofisticazione sembrano sfuggirci, e probabilmente, con la pubblicazione apparentemente celebrativa della notizia, metterlo alla berlina dinanzi alla buona società fiorentina. Inoltre a distanza di due anni da quell’episodio fu al centro di una causa civile intentatagli per debiti davanti al Magistrato Supremo, che certamente non contribuì a fargli guadagnare prestigio agli occhi della Corte.[75] Il suo licenziamento equivalse ad una sorta di ‘morte sociale’. Praticamente non abbiamo più nessuna notizia di lui e nessun periodico – va ricordato che le gazzette dell’epoca erano organi di stampa ufficiosi della Corte – si degnò di dare notizia della sua morte, avvenuta il 10 dicembre del 1788 a Firenze. Un fatto che deve fare riflettere specialmente se consideriamo che negli anni della sua ‘fortuna’ presso la Corte le stesse cronache avevano sempre mostrato nei suoi confronti attenzioni e benevolenze persino esagerate.[76] Ligniville comunque poté forse consolarsi col fatto che lasciava il campo alla vigilia di una stagione di drastica riduzione delle spese e delle funzioni di Corte, in cui i fasti del primo periodo della «Real Camera e Cappella» divennero solo uno sbiadito ricordo. |
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