Carlo Bianchi
L’Andante della Sonata n° 5 op. 45
di Viktor Ullmann. Una testimonianza da Theresienstadt
I. Ullmann-Renaissance
Da circa dieci anni la figura di Viktor
Ullmann (1898-1944) sta emergendo con rinnovata forza nell’ambito
degli studi musicologici e, di pari passo, in quello dell’editoria
musicale, del mercato discografico e dei circuiti concertistici.
Nel 2004 la rappresentazione al Festival di Spoleto dell’opera da
camera Der Kaiser von Atlantis, oder die Todverweigerung
(L’imperatore di Atlantide, ovvero l’abdicazione della morte) ha
posto Ullmann anche all’attenzione del pubblico italiano. Per quanto
riguarda il mercato audio-visivo, dopo vari CD, nel 2003 la casa
Capriccio ha realizzato il DVD multilingue Fremde Passagiere.
Auf den Spuren von Viktor Ullmann (Passeggeri sconosciuti. Alla
ricerca di Viktor Ullmann) che insieme all’esecuzione della Seconda
Sinfonia in Re maggiore (ricostruita trascrizione dalla Sonata n°
7 per pianoforte) contiene un documentario curato da Jean-Jaques
Vlasselaer. Fra le pubblicazioni delle musiche di Ullmann si segnalano,
oltre al Kaiser von Atlantis, il melologo per pianoforte
e voce recitante Die Weise von Liebe und Tod des Cornets Christoph
Rilke (Il canto d’amore e morte dell’Alfiere Christoph Rilke;
Schott, 1995) e le edizioni complete delle Sonate per pianoforte
solo (Schott: vol. I, 1997; vol. II, 2001) e dei Lieder per voce
e pianoforte (Schott, 2004). I contributi musicologici sono per
lo più di area e lingua tedesca: fondamentali l’ampia monografia
di Verena Naegele (2002)[1]
e alcune pubblicazioni curate da Hans-Günter Klein, in particolare
un volume di documenti e gli atti di due convegni organizzati, rispettivamente,
in occasione del cinquantenario della morte e del centenario della
nascita del compositore.[2]
Quali i motivi di tale ritorno su
più fronti? Certo una fisiologica necessità di completezza di analisi
dei repertori. Ma probabilmente anche una tendenza che, ormai da
anni, ha messo in discussione quella sedimentata visione storiografica
di derivazione adorniana secondo cui nella prima metà del Novecento
la dodecafonia di Schönberg e il neoclassicismo stravinskijano costituirebbero
due principali ‘poli di attrazione’ che relegano altre coeve produzioni
in posizione subordinata a costituire una sorta di ‘tessuto connettivo’.
Il linguaggio adottato da Ullmann, erede ab imis fundamentis
delle ricerche armoniche e contrappuntistiche della scuola schönberghiana,
ma allo stesso tempo non assoggettato alla dodecafonia, continuamente
in bilico fra l’«opera di attualità» anni Venti, l’assunzione di
matrici etniche e decisi recuperi delle strutture tonali, si pone
nell’ambito di quelle scritture eclettiche – di Milhaud, Poulenc,
Britten, Křenek, Hindemith, Prokof’ev,
Šostakovič, per fare alcuni nomi – che ultimamente hanno stimolato
interessi analitici volti a contraddire il presupposto ruolo egemone
della coppia Schönberg-Stravinskij. Inoltre, certi linguaggi ‘misti’
sono più in sintonia con i cross-over che da un po’ di tempo,
superata la fase delle avanguardie seriali, contraddistinguono vari
ambiti della musica contemporanea. In altre parole, oggi forse attraversiamo
un periodo che con le sue multiformità espressive si rivela più
adatto che in passato a recepire, ad ogni livello, una produzione
come quella di Ullmann.
Sono, queste, ipotesi di motivazioni
‘tutte musicali’. Ma il rinnovato interesse su Ullmann è anche fortemente
legato alle particolarissime condizioni sociali che al tempo investirono
il compositore e la sua musica. Ullmann appartiene a quella schiera
di compositori perseguitati dal regime nazista la cui produzione
rivela una peculiare ‘resistenza’. Nell’ambito delle dinamiche storiche
e sociali che durante la seconda guerra mondiale causarono agli
artisti lutti e sconvolgimenti, condizionamenti, repressioni, deportazioni
ed emigrazioni coatte, quello di Ullmann fu un caso estremo, in
un luogo a cui storici, sociologi, musicologi, e non ultimi gli
psicologi, hanno dedicato particolare attenzione: il campo di concentramento
di Theresienstadt.
II. Ullmann e Theresienstadt
Cecoslovacco di famiglia e cultura
ebraica, ma entusiasticamente coinvolto nel movimento mistico-cristiano
dell’antroposofia di Rudolf Steiner, Ullmann viveva a Stoccarda
quando Hitler andò al potere, nel 1933. Dopo una serie di difficoltà
e preoccupazioni legate alle sue attività antroposofiche e alle
sue origini ebraiche, nel marzo 1939 venne sorpreso a Praga dall’occupazione
nazista, andando incontro a varie peripezie che nel 1942 culminarono
con la deportazione a Theresienstadt, insieme a migliaia di altri
ebrei. Nel 1944 fu trasferito ad Auschwitz, a cui non sopravvisse.[3]
Theresienstadt, poco a sud di Praga
(in ceco Terezín), era un campo di concentramento, ma non di sterminio.
Secondo un piano opportunisticamente prestabilito, le condizioni
dei detenuti erano più accettabili rispetto a quanto avveniva negli
altri campi, perché Theresienstadt, oggetto delle ispezioni della
Croce Rossa internazionale, doveva convincere l’opinione pubblica
che nei campi nazisti fosse mantenuto un sostanziale rispetto dei
diritti umani. A tale scopo venne anche realizzato il menzognero
filmato Der Führer schenkt den Juden eine Stadt (Il Führer
dona una città agli ebrei). Se Theresienstadt era il luogo che Hitler
aveva ufficialmente donato agli ebrei, le condizioni in realtà non
erano davvero buone, e furono molti a morire per stenti o denutrizione.
Tuttavia, nonostante le ristrettezze e la vessazione morale, ai
prigionieri veniva concessa la possibilità di frequenti attività
di svago. La Freizeitgestaltung («Amministrazione del tempo
libero») organizzava appuntamenti che davano modo di esprimersi
agli artisti e in particolare ai musicisti: rappresentazioni teatrali
e musicali, concerti, canti comunitari. Condividendo questa condizione
di ‘creatività indotta’ con compositori come Pavel Haas, Gideon
Klein, Alois Hába e Hans Krása, nell’arco di due anni Ullmann diede
alla luce molte delle opere che oggi la musicologia sta riscoprendo:
dal Cornet ai Lieder, ad alcune Sonate per pianoforte, fino
a Der Kaiser von Atlantis – composizione quest’ultima, forse
la più riuscita di Ullmann, che può essere considerata l’emblema
del musicista perseguitato.
A Theresienstadt le ambiguità, le
contraddizioni fra concessione e repressione che caratterizzavano
tutto l’universo concentrazionario nazista risultarono talmente
accentuate da far scaturire una produzione artistica e musicale
non solo paradossalmente fiorente, ma anche dai presupposti sociali,
dalle caratteristiche tecniche e dalle funzioni estetiche assai
singolari.[4]
Arte e musica come sfogo, svago, sollievo rispetto alla sofferta
vita del campo, ma anche come esperienze che, pur nel gioco dei
persecutori, produssero fra gli internati una forte coesione sociale
ed etica, configurandosi talora come un’insperata possibilità di
espressione critica, dolorosa e dissenziente, rivolta verso gli
aguzzini. Rivolta dell’anima.
Ma come si poteva porre in atto una
critica verso un potere tanto opprimente, pronto a colpire con ferocia
ogni segno di insubordinazione? Ovviamente in modo sfuggente, allusivo,
simbolico, metaforico. In generale, le resistenze interne al Reich
nazista sono individuabili per lo più tramite una Sozialgeschichte
von unten («storia sociale dal basso») attenta ad atteggiamenti
poco esposti dell’uomo comune, che potevano specchiarsi nel carattere
ripiegato e metaforico delle opere di taluni artisti e intellettuali.
Allo stesso modo la resistenza degli artisti e dei compositori di
Theresienstadt va ricercata in una ‘poetica del camuffamento’ che
per la comunità del campo, e ancor più per noi, fruitori di tali
opere dopo tanti anni, corrispondeva e corrisponde a una ‘estetica
della decifrazione’.
III. Musica e messaggi
Nella produzione musicale di Theresienstadt
la critica socialmente connotata, l’atteggiamento dissenziente,
si poteva esprimere con l’allegorico impiego di testi verbali: per
lo più libretti di opere o poesie di cicli liederistici. Der
Kaiser von Atlantis, ancora, è l’esempio di come una vicenda
apparentemente a-storica possa essere riferita alla realtà che coinvolgeva
Ullmann e i suoi compagni di sventura. Il libretto, scritto da un
altro internato, Peter Kien, narra infatti di un dominatore e del
suo ambiguo rapporto con una morte intesa come momento di catartica
liberazione dal dolore.[5]
Non ci sono in verità, né potevano esserci, elementi che indichino
esplicitamente il protagonista, il Kaiser, come una personificazione
del dominio nazista (o lo identifichino addirittura con lo stesso
Hitler), ma la metafora appare fortemente probabile considerando
sia il generale contesto di Theresienstadt sia alcuni piccoli indizi
del libretto e della partitura. Fra questi il più sintomatico è
forse il nome del protagonista, non solo il Kaiser ma il Kaiser
Overall. Singolarmente inglese, all’interno di un’opera in
lingua tedesca, il nome dell’imperatore è una presumibile copertura
della corrispettiva espressione über alles. È facile individuarvi
un riferimento al Deutschland, Deutschland über alles dell’inno
nazionale tedesco. E del resto la parola Kaiser ricorreva nel primo
verso dell’inno dell’impero asburgico, intonato sulla medesima musica
(Gott erhalte Franz, den Kaiser). Il riferimento a inni nazionali,
delle nazioni dominanti o di quelle degli oppressi, era un espediente
musicale allegorico diffuso a Theresienstadt come nei campi di concentramento
in generale. Disponiamo di testimonianze riguardo al modo in cui
tali riferimenti potevano essere recepiti, dalla comunità estetica
dei prigionieri, nel loro pieno significato.[6]
Oltre all’adozione di certi testi
verbali, era dunque la citazione melodica un altro dei mezzi che
a Theresienstadt potevano veicolare, in modo tutto interno al
medium musicale, referenti dal sapore polemico, di resistenza.
Il movimento conclusivo della Sonata per pianoforte n° 7 di Ullmann
è stato definito un testamento da Theresienstadt proprio in ragione
delle sue svariate citazioni melodiche, tali da rendere la partitura
simile, idealmente, a quelle cartoline che i detenuti inviavano
a conoscenti e parenti all’esterno del campo piene di sottointesi
e messaggi in codice: ‘criptate’, per aggirare la censura dei carcerieri.[7]
Nel Finale della Sonata ci sono allusioni all’inno nazionale della
Cecoslovacchia, patria di Ullmann, ma anche citazioni di una melodia
ussita e soprattutto di una ebraico-sionista, che costituisce il
tema per le Variazioni e la Fuga. Si trova anche la citazione di
una cellula melodica che in Der Kaiser von Atlantis ricorre
in modo assai drammaturgicamente connotato.
Ullmann, insomma, non potendo scrivere
aperte denunce, ricorre a elementi molto sintomatici. Fra le varie
citazioni melodiche, risultano di intuibile significato soprattutto
quelle ebraiche, tese a rinforzare una coscienza ebraica collettiva
che a Theresienstadt, come in tutti i territori del dominio nazista,
veniva continuamente umiliata e soppressa. D’altronde, il forte
contributo dato da Ullmann alla valorizzazione delle attività e
del patrimonio musicale ebraico del campo aveva certo avuto anche
questa funzione di autoaffermazione psicologica, non solo di svago.[8]
Insieme con la Sonata n° 7 per pianoforte
e con Der Kaiser von Atlantis, la composizione più resistenziale
di Ullmann a Theresienstadt è generalmente considerata il melologo
Die Weise von Liebe und Tod des Cornets Christoph Rilke,
cui si è accennato all’inizio, basato su un poemetto di Reiner Maria
Rilke (scritto nel 1899) che narra le gesta di un antenato di Rilke,
Christoph. Ullmann adotta il testo di Rilke con il presumibile significato
di una ‘incoraggiante’ analogia storica rispetto a ciò che stava
accadendo intorno a Theresienstadt (lo sbarco in Normandia, l’avanzata
delle truppe sovietiche da est: l’imminente sconfitta dei tedeschi).
Oltre al Cornet, alla Sonata n° 7 e al Kaiser, per
decifrare ulteriormente la resistenza musicale di Ullmann, non va
tuttavia dimenticata una breve pagina pianistica: il secondo movimento
della Sonata n° 5 op. 45.
IV. L’Andante della Sonata. Aspetti
e vicende di due testi
In questo Andante di 78 battute Ullmann
non ricorre a citazioni di connotata derivazione etnico-sociale.
Il referente extramusicale, che sembra indicare una contraddizione
rispetto all’etica e all’estetica del dominio, è dato invece dalla
presenza di una poesia intitolata Vor dem Schlaf (Prima del
sonno) di un altro artista ebreo, Karl Kraus. Come per il poema
di Rilke, Ullmann sembra appropriarsi di un testo preesistente (Vor
dem Schlaf risale al 1919) ricodificandolo alla luce dell’hic
et nunc di Theresienstadt. Al tempo dei regimi totalitari e
della seconda guerra mondiale, quello della ricodificata appropriazione
di un testo letterario precedente è un procedimento condiviso da
altri compositori che in modi diversi esprimono una certa ‘resistenza’:
si pensi ad Arnold Schönberg (Ode to Napoleon Bonaparte,
da Byron), Goffredo Petrassi (Coro di Morti, da Leopardi),
Luigi Dallapiccola (Il prigioniero, da De Coster e Villiers
de L’Isle Adam), Karl Amadeus Hartmann (Simplicius Simplicissimus,
da Grimmelshausen), Sergej Prokof’ev (Guerra e pace, da Tolstoj).
Testi verbali le cui implicazioni poetiche originarie vengono assunte
e riconnotate all’interno di un nuovo orizzonte di significato storico,
socio-politico, filosofico. Come per il Cornet e la sua battaglia
etica, tali operazioni ermeneutiche portano la struttura semantica
del testo a ‘divaricarsi’, ad articolarsi su due o più livelli che
interagiscono in base a meccanismi estetici diversificati. Come
si articola e da cosa è motivato, dunque, il rapporto fra i livelli
semantici del Vor dem Schlaf nell’Andante di Ullmann?
Tramite le parole di Kraus, Ullmann
evoca uno sconsolato, dimesso ripiegamento interiore venato di sofferenza
e di incertezza per il futuro. Nella partitura manoscritta è annotata
solo la prima strofa delle tre di cui consta l’originale di Kraus,
seguita da una parentesi con il titolo e l’autore
1. So Spät ist es, so späte…
Was werden wird, ich weiß es nicht.
Es dauert nicht mehr lange,
Mir wird so bange
Und seh in der Tapete
Das klagende Gesicht.
(„Vor dem Schlaf". K. Kraus)
[2. Allein bin Ich, allein
Was außerhalb, ich weiß es nicht.
Ach, dass mir’s noch gelänge,
Mir wird so enge,
Und seh’ in jedem Scheine
Ein fragende Gesicht].
[3. Nun bin ich schon entrissen,
Was da und dann, ich weiß es nicht.
Ich kann sie nicht behalten
Die Wahngestalten
Und fühl’ in Finsternissen
Das sagende Gesicht].[9]
Ullmann non ha incluso le due strofe
successive, forse perché esse non introducono elementi di contraddizione
o alterazione rispetto alla prima, ma si limitano a completarne
e accentuarne il senso di dolente impotenza. Dopo la prima strofa
infatti Kraus prosegue con riferimenti alla limitatezza dell’animo,
alla follia e all’oscurità, con quella ripetizione della frase
ich weiß es nicht a mo’ di ritmica cantilena che sembra configurarsi
ancora di più come esistenziale verso portante della poesia, e infine
con un altrettanto ritmico e pregnante ritorno del «volto» (Gesicht):
prima «doloroso», «che piange» (klagende) poi «che si interroga»
(fragende) e nell’ultimo verso «eloquente», «che parla» (sagende).
Non ci sono pervenute testimonianze
sulla funzione di questa citazione, sul significato che Ullmann
intendeva attribuire alla poesia. Come per il Kaiser, per
la Sonata n° 7 o per il Cornet, possiamo formulare alcune
ipotesi, ricorrendo a generali considerazioni storiche, sociologiche
ed estetiche riguardo al compositore e alla sua vita nel campo,
nonché appoggiandoci a certi aspetti compositivi di questo Andante,
anche in relazione ad altre opere dello stesso Ullmann. È presumibile
che Ullmann tramite i versi di Kraus intendesse commentare la propria
condizione di sofferenza, di precarietà materiale e spirituale.
Una condizione che egli condivideva con gli altri detenuti. Inoltre
il sonno è qui una presumibile metafora della morte, e quindi per
Ullmann l’essere «prima del sonno» poteva corrispondere alla visione
di una morte che a Theresienstadt aveva colto molti altri compagni
e suoi amici, e di cui egli poteva avere comprensibilmente paura.
La morte stava davvero attendendo Ullmann: ad Auschwitz.
L’idea che Ullmann intendesse il sonno
come metafora della morte può essere supportata da vari elementi.
Oltre all’ipotesi che questa metafora fosse propria dello stesso
Kraus, e oltre all’ovvia considerazione che siamo in presenza di
un’identificazione trasversale a tutta la letteratura occidentale,
è utile considerare il momento e le modalità di stesura della Sonata.
Ullmann la compose e rielaborò in cinque successive versioni, che
ci sono pervenute manoscritte di suo pugno.[10]
La prima versione intitolata Meiner liebern Frau Elisabeth
/ In memoriam Theresienstadt / Viktor Ullmann /
5. Klaviersonate / op. 45 venne terminata il 27 giugno
1943. Presenta una struttura in sei movimenti, indicati da Ullmann
con il seguente elenco (annotato dietro la pagina del titolo):
I – Variationen über ein Lied
ohne Worte
II – Menuett (Totentanz)
III – Toccata
IV – Serenade
V – Notturno
VI – Finale fugato
In questa versione il movimento con
il testo di Kraus è il quinto, intitolato Notturno, e consta
di 51 battute. L’indicazione Variationen über ein Lied ohne Worte
in realtà non corrisponde al primo movimento, che è un Allegro originariamente
pensato per la Sonata n° 6. Nella seconda versione viene eliminato
il Menuett. Nella terza versione il Notturno accompagnato
dalle parole di Kraus è posto come secondo movimento, modificato,
ampliato fino a 78 battute e intitolato prima Notturno Andante,
poi addirittura Vor dem Schlaf (cancellato). Nella quarta
versione viene eliminato il testo di Kraus e l’indicazione agogica
è semplicemente Andante. L’edizione Schott considera il movimento
nella revisione di 78 battute. È indicato Andante e con il
testo di Kraus sopra il primo pentagramma. La prima versione invece,
il Notturno di 51 battute, è riportata in appendice (così
come il Menuett-Totentanz eliminato). La successione dei
movimenti nell’edizione è quindi questa
I – Allegro con brio
II – Andante
III – Toccatina
IV – Serenade
V – Finale fugato
Il processo di revisione della Sonata
mostra una generale attenzione da parte di Ullmann nel connotare
il ‘movimento di Kraus’ in senso extramusicale (a tale esigenza
sembra rispondere anche l’indicazione Notturno), ma emerge
un indizio significativo anche relativamente al Menuett.
Eliminato nel passaggio dalla prima alla seconda versione, il
Menuett, con il sottotitolo Totentanz, testimonia come
l’idea della morte aleggiasse sulla Sonata fin dall’inizio. Dopo
averlo tolto dalla disposizione della Sonata, Ullmann fece confluire
questo Totentanz nella struttura di Der Kaiser von Atlantis
a cui stava lavorando proprio in quell’estate 1943. In particolare,
il Totentanz nella versione definitiva del Kaiser
è un Intermezzo posto come primo brano del secondo quadro (n. VII).
Gli altri due Intermezzi dell’opera hanno lo stesso carattere: il
secondo Intermezzo è ancora un Totentanz (ultimo brano del
secondo quadro, n. IX) che riprende materiale del primo, mentre
il terzo è una Tanz-Intermezzo Die lebenden Toten (I morti
viventi, ultimo brano del terzo quadro, n. XIII) che preannuncia
il quadro con la scena di Arlecchino e del Suonatore di Tamburo.
È proprio questa scena, peraltro, a testimoniare quanto l’idea del
sonno e dell’ora ‘tarda’ (spät) siano nell’opera e nelle
concezioni di Ullmann strettamente connesse all’idea della morte.
Durante questo dialogo con il suonatore di tamburo, Arlecchino invita
un bambino a dormire, perché non si curi della morte del proprio
padre in guerra e del dolore della propria madre: «Schlaf, Kindlein
schlaf: / ich bin ein Epitaph. / Dein Vater ging im Krieg zu-grund.
/ Dein’ Mutter fraß ihr roter Mund, / schlaf Kindlein schlaf. //
Spät Kindlein spät, / der Mann in Monde mäht...» («Dormi bambinello
dormi. Io sono un epitaffio. Tuo padre è perito in guerra. Tua madre
ha divorato la sua bocca rossa. Tardi, bambinello tardi, l’uomo
sulla luna miete…»).
Il fatto che Ullmann stesse lavorando
contemporaneamente alla Sonata n° 5 e al Kaiser, e che fra
queste due composizioni si verifichi uno scambio di materiali così
pregnanti, materiali che anche nella Sonata sono caratterizzati
da espliciti referenti extramusicali, rende plausibile l’ipotesi
di una similitudine poetica fra il «sonno» di Kraus e le più tragiche,
a loro modo polemiche pieghe della morte. Data la citazione da Kraus,
l’Andante rivela la propria carica suggestiva anche nel testo musicale
stesso: una dimensione fonica e un aspetto notazionale che si adeguano
a questi versi poetici e ne potenziano il significato onirico, dolente,
metaforico.
1. Pensiero ed Armonia
Nel corso dei cinque movimenti della
Sonata, nella versione che Ullmann considerava definitiva, l’Andante
si pone con una singolarità di linguaggio che risulta accentuata
soprattutto dal contrasto rispetto al movimento precedente. La differenza
deriva dall’agogica, dall’ordito, da figurazioni che nell’Allegro
con brio sono decisamente ‘toccatistiche’ e nell’Andante molto più
‘liriche’, ma interviene soprattutto una differenza di tipo armonico.
La diversa organizzazione dell’armonia dei primi due tempi della
Sonata dimostra come nell’eclettico linguaggio di Ullmann – un modo,
come diceva lui stesso, di riempire il divario fra l’armonia «romantica»
e quella «atonale» per una sorta di «sistema dodecafonico su basi
tonali»[11]
– i momenti sperimentali e cromatici, radicalmente dissonanti, potessero
essere impiegati per rivitalizzare certi processi associativi e
simbolici ereditati dal sistema tonale.
L’ampio vocabolario armonico di Ullmann
lascia sovente individuare una matrice sonora che in epoca post-tonale
venne saltuariamente adottata da altri compositori, come Skrjabin
e Bartók: la cosiddetta scala «acustica», ovvero quella compresa
fra l’ottavo e il quattordicesimo suono della serie degli armonici.
Partendo dal Do si può formare, per grado congiunto, la successione
Do-Re-Mi-Fa-Sol-La-Si.
Quindi una scala con il IV grado innalzato e il VII minore (abbassato).
La figura 1 illustra tale derivazione scalare e alcune delle sue
potenziali armonie.
Figura 1
La figura 1 mostra come peraltro la
scala acustica sia una sorta di intersezione fra un tetracordo esatonale
(Do-Re-Mi-Fa)
e un esacordo ottatonico (Mi-Fa-Sol-La-Si-Do).
Riunendo le caratteristiche di due fondamentali risorse sonore neo-
e post-tonali, dunque, la scala acustica offre possibilità armoniche
molto varie; può costituire un mezzo per la generazione e l’integrazione
di triadi e altri accordi per terze (settime, none, accordi di sesta
eccedente) e accordi non-triadici (accordi per quarte, intersezioni
di quarte giuste e tritoni, agglomerati con urti cromatici, fino
all’accordo ‘mistico’ di Skrjabin). Per quanto sulla base della
scala acustica, o di altre scale, gli accordi tonali di Ullmann
non siano in genere tonalmente correlati ma diano luogo a cadenze
alterate e straniate, i momenti, i passaggi, i luoghi in cui essi
sono impiegati con frequenza risultano comunque carichi di ‘tendenze’
tonali, anche quando alternati ad altri in cui la morfologia degli
elementi tonali (non solo la loro sintassi) è fortemente compromessa.
Esempio 1 (V. Ullmann, Sonata n° 5 op. 45, I)
Da un accostamento fra il primo e
il secondo tempo della Sonata n° 5 emerge come tali procedimenti
armonici possano corrispondere a un meccanismo estetico carico di
referenti extramusicali. La veste armonica iniziale dell’Allegro
con brio è decisamente tonale, quantunque ‘modernizzata’ dalle note
della scala acustica. Nelle primissime battute, i salti melodici
all’unisono fra le due mani già suggeriscono movenze armoniche V-I.
La scala acustica ascendente fra le bb. 3-4 è armonizzata con una
triade di Do maggiore. La scala discendente a bb. 7-8 mostra come
per Ullmann la scala acustica possa essere un riferimento di partenza
continuamente modificato, poiché partendo dalla nota Sol si dispiega
una scala con il IV grado alterato e il settimo minore, ma anche
con il sesto minore (Mi).
La centralità intorno a Sol deriva, oltre che dalla nota di partenza
della scala, dalla triade di Sol maggiore che armonizza queste due
battute. La successiva b. 9 riporta l’armonia nell’ambito di un
Do maggiore ‘allargato’ da alcuni accordi non tonalmente funzionali
e da qualche nota estranea. Si può dunque vedere come pur nel riferimento
a una scala acustica, in ogni caso non diatonica maggiore-minore,
quella di Ullmann sia comunque una tonalità (una neo-tonalità) di
Do maggiore. Ullmann impiega alcune triadi fondamentali, formando
cadenze che sono sì inusuali e arricchite da note estranee ma mantengono
comunque ‘gesti’ inequivocabilmente tonali. Nelle prime 8 battute
l’impalcatura cadenzale complessiva è data dal rapporto fra una
tonica (triade di Do maggiore) e una dominante (triade di Sol),
collegate tramite una nota Fa
(bb. 5-6: trillo della mano destra) che, pur derivata dalla scala
acustica su Do, assume un ruolo di tonicizzazione come sensibile
di Sol.
Nel linguaggio neo-tonale di questo
Allegro con brio si verificano vari allentamenti, per così dire.
Nondimeno, ritornano con frequenza gli accordi triadici accompagnati
da diversificate salienze della loro tradizionale funzionalità.
Insieme con gli accordi tonali permane un loro trattamento che conferisce
stabilità/distensione alle triadi consonanti e instabilità/tensione
agli accordi che, per morfologia o posizione, da queste triadi sono
distanti. A tale tendenziale dialettica armonica neo-tonale dell’Allegro
con brio segue, nella disposizione definitiva dei movimenti, un
Andante che si pone in una sorta di ‘stasi’ armonica, con un linguaggio
assai più tonalmente corroso e defunzionalizzato.[12]
Esempio 2 (V. Ullmann, Sonata n° 5 op. 45, II)
Alle triadi perfette, ai gesti
cadenzali tonali, alle polarità di alcune note e triadi dell’Allegro
si contrappongono, nell’Andante, un continuo ‘scivolante’ cromatismo
melodico, la presenza di accordi non-triadici, formati da quarte
e seconde con urti cromatici, e infine un diverso trattamento degli
accordi tonali per terze. In tale contrapposizione si può vedere
l’allargamento di un principio generale secondo cui, se la dialettica
tonale stabilità/instabilità deriva dall’impiego di triadi perfette
alternate ad altri accordi progressivamente ‘tensivi’ (dalle settime
e none di dominante fino alle settime più alterate e agli accordi
di sesta eccedente), tale dialettica entra in crisi quando questi
ultimi, gli accordi più alterati e maggiormente costituiti da intervalli
simmetrici, vengono impiegati in modo insistito. Di fatto, le triadi
eccedenti e diminuite, le settime diminuite, le seste francesi e
tedesche etc. – vagierende Akkorde («accordi vaganti») come
li chiamava Schönberg – se presenti in gran quantità perdono l’originaria
necessità di risoluzione e la loro direzionalità cadenzale tonale.
Oltre che da accordi morfologicamente
non tonali, questo Andante è caratterizzato da una quantità di accordi
triadici simmetrici non risolti che contribuiscono a rendere l’armonia
complessiva affatto ‘vagante’, per dirla con Schönberg. Sintomatici,
fra gli altri, gli accordi simmetrici a tendenza esatonale impiegati
per alcune fondamentali cesure fraseologiche: la triade eccedente
a b. 22 (mano destra, a conclusione della sezione Più adagio
per l’inizio della sezione Rubando ma tranquillo) o l’accordo
per quarte eccedenti a b. 42 (conclusione della sezione Rubando
ma tranquillo che prepara alla ripresa della sezione iniziale,
Tempo I). La cesura di b. 34, invece, è ottenuta con una
settima di prima specie (di dominante, in senso lato) costruita
su un Sol che costituisce un pedale della precedente cadenza ‘alterata’.
Ullmann tende a straniare anche le poche triadi perfette (come già
nell’inizio la triade di Re minore a b. 2) e a sospendere le funzioni
degli accordi di settima (come a bb. 11-12 la settima di prima specie
nella mano sinistra: Fa-La-Do-Mi).
Per gli accordi dell’Andante in molti
punti si può intravedere una potenziale derivazione ‘acustica’.
Pure all’interno di una medesima caratteristica di linguaggio, dunque,
fra i primi due movimenti si crea un sensibile scarto stilistico.
A fronte della relativa direzionalità dell’Allegro con brio, l’Andante
dispiega un’armonia che elude pressoché del tutto i momenti di tensione
e distensione tonale. Un’armonia ‘vagante’, così come ondivaga,
dai contorni sfumati ed esistenzialmente interrogativi, è l’atmosfera
dell’incipiente sogno di Kraus. Rispetto al primo movimento, sembra
operare un principio di differenziazione armonica erede, a lungo
raggio, di quella contrapposizione fra campi diatonici e campi cromatico-simmetrici
che nella drammaturgia musicale dell’Otto-Novecento, soprattutto
in area russo-slava, giù giù fino a Glinka, corrispondeva alla contrapposizione
fra il mondo reale/concreto e quello fantastico/onirico. Ullmann
sembra rifarsi a processi residui del sistema tonale per le loro
potenzialità associative.
Così l’Andante si differenzia rispetto
all’Allegro con brio grazie all’armonia. Ma abbiamo accennato anche
ad altre caratteristiche di scrittura statiche e ‘sognanti’ (si
veda ancora il ‘penseroso’ ostinato iniziale sulla nota Do,
ripreso nella sezione Rubando ma tranquillo) che contribuiscono
a rendere la sonorizzazione delle parole di kraus lontana dal i
movimento, e anche dai movimenti successivi.
L’esplicito referente extramusicale
indicato dalla prima strofa della poesia di Kraus non costituisce
un mero riferimento esterno, eventualmente ‘posticcio’, ma trova
una rispondenza nel linguaggio compositivo del brano. Si verifica
un’interazione fra la struttura dell’opera musicale e quella del
testo verbale, indice di una identificazione fra la poetica del
compositore e il significato delle parole. Ripiegandosi verso aspetti
esistenziali dolenti, in simbiosi con una struttura compositiva
vagante, l’Andante della Sonata si configura come un atto di non
conformità alla politica, all’etica e all’estetica naziste, le quali
invece dalle espressioni artistiche esigevano un vitalistico e celebrativo
‘ottimismo’ nei riferimenti verbali e rappresentativi, nonché una
massima comprensibilità di linguaggio, che in musica doveva corrispondere
a una sostanziale adesione ai principi tonali.
2. Pensiero ed enarmonia
Dunque, in base ad alcuni indizi forniti
dalla vita del campo e dalla vita e dalla struttura della partitura,
si può cercare di ricostruire un significato dell’andante che tende
a superare un generico ripiegamento intimista per farsi anche socialmente
critico. il presumibile slittamento semantico che ullmann attribuì
alle parole di kraus, riferendole alla condizione esistenziale di
theresienstadt, si può dedurre, dicevamo, da considerazioni generali
sulle dinamiche di organizzazione e psicologia sociale del campo.
in tal senso costituiscono un prezioso elemento alcune dichiarazioni
dello stesso compositore. ad esempio, in uno scritto dal sintomatico
titolo Goethe und Getto, Ullmann parla della musica scritta
a Theresienstadt come di uno atto etico: «il nostro sforzo per servire
rispettosamente le Arti è stato proporzionale alla nostra volontà
di vivere malgrado tutto».[13]]
Nell’Andante l’identificazione fra
sonno e morte, già indirettamente segnalata dalla presenza e dallo
spostamento del Menuett-Totentanz, può risultare confermata,
e caricata non solo di un senso di dissenziente scoramento ma, paradossalmente,
anche di resistente volontà di sopravvivenza, chiamando in causa
la più forte fonte di ispirazione etica e spirituale di Ullmann:
il pensiero antroposofico di Rudolf Steiner. Il fondamentale libro
di Steiner Die Geheimwissenschaft im Umriss (La scienza
occulta nelle sue linee generali) contiene infatti un capitolo
intitolato «Sonno e morte» che può illuminare più a fondo il
Vor dem Schlaf di Ullmann. Non è il caso di riassumere qui il
contenuto di «Sonno e morte»; basta forse ricordare che in Steiner
l’analogia fra la condizione del sonno e quella della morte scaturisce
dall’identificazione con una generale condizione ‘soprasensibile’
in grado di condurre l’uomo a un progresso spirituale che si traduce
in una più profonda conoscenza del mondo, dei suoi aspetti visibili
e invisibili.
Come l’uomo non può essere sempre
desto, così nelle esigenze reali della vita, presa in tutta la sua
estensione, egli non può fare a meno di ciò che gli è offerto dal
soprasensibile […] La vita continua nel sonno, e le forze che lavorano
o creano durante la veglia prendono vigore e ristoro da ciò che
il sonno dà loro […] un uomo che non rinnovi continuamente con il
sonno il vigore delle proprie forze esaurite giunge alla distruzione
della propria vita; parimenti una considerazione del mondo che non
sia fecondata dal riconoscimento dell’invisibile conduce alla desolazione
[…] Similmente è della ‘morte’: gli esseri viventi soggiaciono alla
morte perché possa sorgere nuova vita: è la scienza occulta che
diffonde chiara luce sulle belle parole di Goethe: «la natura ha
inventato la morte per avere molta vita…».[14]
Sonno come morte, dunque, ma, prima
ancora, sonno come fonte di energia e conoscenza metafisica. Fu
questo per Ullmann, oltre un senso di ripiegamento dolente, il profondo
significato delle parole di Kraus nella tragedia di Theresienstadt?
Il riferimento a queste riflessioni di Steiner non deve sembrare
troppo ipotetico, poiché per Ullmann il pensiero steineriano era
stato un interesse culturale, religioso e filosofico rivelatosi
una ragione di vita. Entusiasta neofita dell’antroposofia, egli
aveva addirittura deciso di rinunciare, professionalmente, all’attività
di musicista, per dedicarsi, fra il 1931 e il 1933, alla gestione
di una libreria antroposofica a Stoccarda. La libreria venne chiusa
proprio all’avvento del regime, nel 1933. Due anni dopo, l’antroposofia
divenne per Ullmann addirittura il soggetto di un’Opera, Der
Sturz des Antichrist (La caduta dell’anticristo), basata su
un libretto di Albert Steffen, successore di Steiner alla Anthroposophische
Gesellschaft. Sempre su testi di Steffen, Ullmann scrisse anche
parecchi Lieder (vanno menzionati in particolare i Sechs Lieder
nach Gedichten von Albert Steffen op. 17, del 1937). Ullmann
doveva dunque conoscere molto bene, fra i libri di Steiner che aveva
studiato e commerciato, anche il fondamentale La scienza occulta,
con il suo «Sonno e morte». Non abbiamo prove incontestabili che
il sonno di Ullmann corrisponda esattamente alle riflessioni steineriane
di «Sonno e morte». Certo è che i principi esistenziali antroposofici
accompagnarono il compositore sino alla fine. Del resto, la dichiarazione
di poetica Goethe und Getto che Ullmann scrisse a Theresienstadt
è colma di atteggiamenti spirituali steineriani, e già nel titolo
indica la fondamentale figura di riferimento culturale ed etico
del movimento antroposofico: Goethe. Preso a nume tutelare dell’istituto
destinato alla divulgazione del pensiero steineriano, appunto il
Goetheanum di Dornach (Svizzera), Goethe ritorna in molti punti
nevralgici del pensiero di Steiner, come quando in «Sonno e morte»
viene citata la frase «la natura ha inventato la morte per avere
molta vita».
Nel sonno dell’Andante l’atteggiamento
antroposofico di Ullmann è un dato altamente probabile: anzi, pressoché
certo. Un pensiero che ammanta ulteriormente le parole krausiane
e il linguaggio musicale dell’Andante di un significato di resistenza
rispetto alla catastrofe incombente. Peraltro, tale atteggiamento
suggerisce una chiave di lettura per una caratteristica della scrittura
dell’Andante che sembra per certi aspetti inspiegabile: la sua notazione
enarmonica.
Ullmann ricorre ad alcune alterazioni
che producono, soprattutto a livello di costituzione degli accordi,
una sorta di distorsione notazionale: una distorsione armonica fittizia.
Oltre agli accordi per quarte e a quelli formati da intersezioni
di quarte giuste e di tritoni, gli accordi tonali sono scritti in
modo da nascondere il principio della sovrapposizione di terze.
Basta osservare come all’inizio di bb. 2 e 6 la triade di Re minore
nella mano destra presenti la quinta, Fa, scritta come Mi.
Lo stesso si verifica nella cadenza della mano destra che caratterizza
l’inizio della seconda sezione Rubando ma tranquillo, a bb.
23 e 25, e poi nella ripresa della prima sezione a b. 44. Da notare
anche il Fa
e il Doo
rispettivamente a bb. 8 e 10 nella mano sinistra. Tali enarmonie
sono disseminate pressoché per tutto il brano. Esse possono forse
essere spiegate come conseguenza di un movimento interno delle parti,
a testimonianza della spiccata attenzione che Ullmann aveva sempre
avuto per l’aspetto polifonico e contrappuntistico della scrittura.
Ad esempio, il Mi
che nasconde la triade di Re minore a bb. 4, 6, 23, 25 etc. può
essere visto come appoggiatura delle successive note interne: Fa
a bb. 4 e 6, Fa naturale a bb. 23 e 25. Come appoggiature possono
essere considerati anche il Fa
e il Do
di bb. 8 e 10. Insieme a tali scivolamenti cromatici giustificati
da minimi movimenti melodici, permane tuttavia spesso una non-identità
fra l’effetto triadico di certi accordi e la loro veste notazionale.
Inoltre, ci sono altre pagine di Ullmann, strumentali, liederistiche
e operistiche, in cui la notazione enarmonica lineare non è giustificata
dal movimento melodico. Ancora nella quinta Sonata, ad esempio,
si trova un caso di enarmonia totalmente ingiustificata all’inizio
del quinto movimento: a b. 3 il soggetto del Fugato è caratterizzato
da un Mi ribattuto tre volte, ma la prima volta è scritto come Fa
bemolle (e così nella risposta della mano sinistra a b. 9).
Esempio 3 (V. Ullmann, Sonata n° 5 op. 45, V)
In casi quali quest’ultimo, come in
molti Lieder, gli espedienti enarmonici di Ullmann sembrano solo
dei ‘tic’ locali. Invece nell’Andante della quinta Sonata l’enarmonia,
a dispetto di una eventuale giustificazione melodica, sembra, data
la sua frequenza, indicare con più forza un intento nascosto, forse
simbolico. Secondo un’ipotesi formulata da Robert Kolben, la notazione
enarmonica di Ullmann potrebbe in qualche modo essere una rappresentazione
grafica dell’idea di ‘euritmia’ steineriana. Per euritmia Steiner
intende un’attività espressiva legata al movimento, al linguaggio,
alla recitazione e quindi anche alla poesia, che rivela un’essenza
corporea non visibile dell’uomo: l’essenza del corpo ‘eterico’ che
si nasconde dietro l’apparenza del corpo fisico..[15]
In Ullmann, quindi, quest’idea di espressione che manifesta una
realtà diversa da quella visibile si rifletterebbe in un linguaggio
– un sistema di organizzazione delle altezze – ‘diverso’ da come
appare nella sua veste notazionale. Kolben argomenta tale ipotesi
accennando ad alcune pagine liederistiche e al citato Finale fugato
della Quinta Sonata, ma non all’Andante.[16]
Ullmann dovette certo essere a conoscenza
del concetto di euritmia grazie alle rappresentazioni teatrali euritmiche
che gli steineriani portarono nel 1923-1924 al Neue deutsche Theater
di Praga, dove egli era attivo proprio in quel periodo.[17]
A prescindere dallo specifico concetto di euritmia, l’attenzione
alla sfera soprasensibile caratterizza tutto il pensiero di Steiner.
‘Occulta’, come detto, è la scienza trattata nel suo primo fondamentale
libro. E già in vari capitoli de La scienza occulta Steiner
elabora quella distinzione fra corpo eterico e corpo fisico su cui
si basa l’idea di euritmia. Nel capitolo «L’essere dell’uomo» egli
infatti elenca sette parti costitutive dell’uomo: corpo fisico,
corpo eterico, corpo astrale, io, sé spirituale, spirito vitale,
uomo-spirito Tale concezione si trasmette al seguente capitolo «Sonno
e morte», che qui ci interessa più da vicino. Secondo Steiner, nel
sonno le attività creative si innestano grazie ad una particolare
interazione fra le diverse parti corporee dell’uomo, quella fisica,
quella eterica e quella astrale. Steiner parla di un corpo astrale
che nello stato di veglia è congiunto con quello fisico e quello
eterico, mentre nel sonno
Assume una forma d’esistenza diversa
da quella che possiede quando è congiunto con il corpo fisico e
con quello eterico. È compito della conoscenza soprasensibile di
considerare quest’altra forma di esistenza del corpo astrale.[18]
Sono dunque vari gli elementi del
pensiero steineriano, con cui Ullmann era in stretto contatto, che
indicano una possibile funzione simbolica della notazione enarmonica
dell’Andante.
V. Resistenza al dominio sull’arte
e sul pensiero
I significati steineriani, tanto avversati
dal nazismo, contribuiscono a configurare questa musicale ‘attesa
del sonno’ come momento di resistenza, o per meglio dire, di ‘impermeabilità’
all’ideologia dei carcerieri di Theresienstadt. Quello che abbiamo
definito «ripiegamento» su aspetti dolenti della condizione umana,
il significato più evidente del testo di Kraus a prescindere dall’aggancio
con l’idea della morte, è già un modo di porsi al di fuori del vitalistico
pensiero del dominio nazista. Un pensiero che, nelle concezioni
dei gerarchi, doveva permeare la vita del popolo, di ogni singolo
individuo, fin nei minimi atteggiamenti quotidiani, coinvolgendo
anche gli atteggiamenti psicologici e i gusti artistici. Nelle concezioni
dello stesso Hitler, una nazione non poteva aspirare ad una reale
crescita complessiva organizzandosi solo su basi materialistiche.
Bisognava agire sulle coscienze. Questo pensiero dominante imponeva
all’arte comprensibilità di linguaggio e ordine formale – figurativo,
architettonico, letterario, musicale – nell’intento, più generale,
di creare una sorta di identità fra la realtà esterna, quella delle
militarizzate strutture materiali controllate dal regime, e quella
interna alla mente dell’uomo comune, dell’artista, nonché del fruitore
dell’opera. Del resto, il ripiegamento sul dolore è caratteristico
non solo delle forme di resistenza al dominio nazista ma di quelle
che si oppongono alle pressioni dittatoriali in genere. In Italia
ancora più che in Germania, grazie a un decorso della dittatura
generalmente più benigno e quindi a un maggiore possibilismo estetico,
varie poetiche della sofferenza e del dolore, segnate tanto da psicologismi
angosciati quanto da inquietudini formali e asperità di linguaggio,
si sposarono a ideali di resistenza al fascismo e alla sua estetica.
Si pensi, in ambito letterario, ai presupposti dell’Ermetismo fiorentino
o della poetica di Cesare Pavese fino a Il dolore di Giuseppe
Ungaretti o a La cognizione del dolore di Carlo Emilio Gadda.
La resistenza, l’impermeabilità che
si intravede nell’Andante della Sonata di Ullmann sembra spingersi
oltre un generico ripiegamento dolente, fino a un rifiuto di adesione
alla realtà esterna che sembra farsi pensiero socialmente critico.
In questo brano il compositore sembra esprimere la coatta condizione
di sonno e morte di Theresienstadt riferendosi alle concezioni steineriane
de La scienza occulta e relative all’euritmia. Il testo di
Kraus è una spia di quella psicologica «mobilità» ebraica – secondo
una definizione di Vladimir Jankélévitch – che si pone con singolare
continuità rispetto al pensiero steineriano dell’ebreo Ullmann.
Si tratta di una irrequietezza disincarnata, una tendenza che da
sempre, intrecciandosi ai princìpi cabalistici e alchemici, abbatte
i confini della realtà materiale e le sue regole per sconfinare
nella sfera dello spirituale, del fantastico, dell’irrazionale.[19]
Una posizione della mente che, superando la contraddizione fra il
cristianesimo di Steiner e l’ebraismo di Ullmann, soggiaceva alle
varie forme di pensiero attaccate dai nazisti.
La ventata di tendenze metafisiche,
simbolismi, misticismi, esoterismi e occultismi che aveva investito
l’Europa a cavallo del Novecento aveva trovato un forte momento
di contatto con la mobilità ebraica (soprattutto degli ebrei tedeschi),
informando scoperte scientifiche, correnti artistiche d’avanguardia
e nuovi filoni di pensiero. Il nazismo cercò a tutti i costi di
sopprimere ed esorcizzare tale modernità inquieta. La persecuzione
contro le opere artistiche ‘degenerate’ scaturì da una loro carica
di psicologismo che si traduceva nella crisi di codificati princìpi
formali e che sovente rifletteva altrettanto osteggiati modi di
pensiero mistico, metafisico ed esoterico, come quello steinieriano.[20]
In generale, l’antisemitismo nazista identificava nell’ebreo il
fulcro dello sfascio nazionale tedesco non solo per ragioni socio-economiche
ma anche spirituali e psicologiche. Se dunque l’antisemitismo era
– per usare ancora le parole di Jankélévitch – un fatto «ontologico»,
a Theresienstadt il mantenimento di riferimenti steineriani, con
le relative implicazioni mistiche e soprasensibili, equivaleva all’affermazione
di una spiritualità invisa al dominio.
L’intensità con cui il nazismo si
scagliava contro qualsiasi manifestazione di spirito irrazionale
non si giustifica con una tendenza al materialismo – quel materialismo
che secondo lo stesso Hitler, come abbiamo accennato, costituiva
invece, se lasciato a se stesso, un potenziale tallone d’Achille
per lo sviluppo del regime. Era, piuttosto, lo spasmodico tentativo
di ‘non lasciare ad altri’ una forma di pensiero su cui il regime
stesso basava una propria ideologia di nazionalizzazione fortemente
simbolica, che presumibilmente affondava le sue radici, addirittura,
in un oscuro occultismo.[21]
L’organizzazione gerarchica e l’iniziazione
mediante riti simbolici, cioè che non richiedono di far lavorare
il cervello ma solo l’immaginazione, tramite la magia e la simbologia
del culto: questo è l’elemento pericoloso, e l’elemento di cui ho
assunto il controllo[22]
ebbe a dichiarare Hitler.
A fronte di tale soverchiante pensiero,
l’Andante della Sonata di Ullmann sembra porsi come frammento di
un mondo spirituale opposto. Data la nota condizione vessatoria
di Theresienstadt e la scarsità di documenti che indichino i contorni
di un atteggiamento dissenziente in Ullmann, la sottile rete di
rimandi fra il testo di Kraus e i significati allegorici che esso
sembra assumere nell’Andante della Quinta Sonata è ricostruibile
in base a ipotesi, contestualizzazioni e riflessioni storiche, biografiche,
sociologiche da condurre con estrema circospezione e senso critico.
Ancor più se si considera che a differenza di altre pagine scritte
a Theresienstadt, dove Ullmann sembra lanciare messaggi in codice
decifrabili dalla comunità estetica dei prigionieri – come nel caso
delle citazioni di inni nazionali –, qui egli sembra riferirsi solo
a se stesso. Così, la carica tutta introspettiva di opere come l’Andante
necessita più che mai di riferimenti alle correnti di pensiero che
si intrecciarono in quell’epoca di dittature, per tentare di ritrovare,
a dispetto di una mancanza di documenti, dichiarazioni e segni espliciti,
le radici di una creatività che i compositori, e gli artisti in
generale, riuscirono a preservare pure in condizioni di inaudita
difficoltà esistenziale.
NOTA DISCOGRAFICA
Viktor Ullmann, Die Klaviersonaten,
Konrad Richter, piano. Beyer Records BR 100 113/114 (Reihe Atlantis,
Komponisten unseres Jahrhunderts: gefallen-verschollen-verbrannt)
1993 (2 CD)
–––––––, Klaviersonaten Nr 5-7,
Gregor Weichert, Klavier. CPO 999 087-2, 1992
–––––––, Piano Sonatas Nos 5, 6,
7, Robert Kolben and Edith Kraus, piano (con String Quartet
No 3, op. 46) Koch International Classic 3-7109-2h1, 1991
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