Resoconto
Simposio Internacional Alexander Agricola: † Valladolid 1506 Universidad de Valladolid, Historia y Ciencias de la Música, Facultad de Filosofía y Letras, Valladolid, Aula Magna «Lope de Rueda», 27 ottobre 2006 |
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Il Simposio Internacional Alexander Agricola: † Valladolid 1506 si è svolto nell’Aula Magna della Facoltà di Filosofia e Lettere dell’Università di Valladolid, il 27 ottobre 2006. Alexandre Ackerman, meglio conosciuto come Alexander Agricola, raffinato cantore e compositore nato a Ghent intorno il 1446, fu una delle personalità musicali più contese dalle corti europee. Membro del seguito di Filippo il Bello e Giovanna I di Castiglia, morì presso Valladolid nell’agosto del 1506. Il Dipartimento di Historia y Ciencias de la Música della Universidad de Valladolid, il Comune della città e la Junta de Castilla y León hanno reso omaggio all’insigne belga riunendo un ristretto gruppo di specialisti di fama internazionale che hanno analizzato la produzione musicale di Agricola, la ricezione della sua opera e i suoi più rilevanti aspetti biografici con l’obiettivo di contribuire ad una maggiore e migliore conoscenza di tale importante figura. Il Simposio Internacional è stato inaugurato con la conferenza La ciudad de Valladolid en 1506 tenuta dal prof. Julio Valdeón Baruque, ordinario di Storia Medievale della Università di Valladolid, che ha contestualizzato storicamente la ‘villa vallisoletana’ e le sue strutture amministrative, civili e politiche all’inizio del XVI secolo. Le relazioni della mattina sono state presiedute da Carmelo Caballero Fernández-Rufete (Universidad de Valladolid), direttore del Simposium. La relazione di Tess Knighton (University of Cambridge), Agricola y su música en la Península Ibérica, ha messo in evidenza come le considerazioni tramandate da Edmond van der Straeten sull’assenza della musica polifonica nella penisola iberica siano state la causa di una valutazione lacunosa da parte di musicologi come Reinhard Strohm e Robert Stevenson. In particolare, Strohm arriva alla conclusione che i due viaggi della cappella borgognona in Spagna all’inizio del XVI secolo, pur rilevanti per le occasioni cerimoniali, «non determinarono una influenza della musica fiamminga nella Spagna di quel momento» (REINHARD STROHM, The Rise of European Music, 1380-1500, Cambridge, Cambridge University Press, 1993, pp. 605-606). Lo studioso rimanda alla Messa Nunca fue pena mayor di Francisco de Peñalosa – come Robert Stevenson – e non prende in considerazione altre opere di Agricola come la Messa Adieu mes amours o la Messa Ave Maria che, secondo Tess Knighton, contraddicono chiaramente la sua tesi. Oltre ai manoscritti di Segovia (ss), Barcellona 454, e alla stampa Arte nouamente inuentada pera aprender a tanger di Gonzalo de Baena (Lisboa, 1540), che conservano le opere di Alexander Agricola, Tess Knighton ha preso in esame anche altri testimoni contenenti le composizioni del belga, come i cento libri di polifonia che si depositarono in Guadalajara dopo la morte di Maria di Ungheria nel 1558, trasferiti posteriormente all’Alcázar Real di Madrid, e la collezione musicale di Fernando Colombo. Nonostante sia poco probabile che alla fine del XVI secolo si continuasse a cantare la musica di Alexander Agricola, la presenza di tali libri induce a riconsiderare la diffusione e circolazione delle opere di Agricola fuori dell’ambito delimitato dalle cappelle reali. Esistono indizi che lasciano pensare ad una influenza musicale dell’opera di Agricola più estesa di quanto si sia concepito fino ad oggi. A conferma di quanto detto, Tess Knighton ha analizzato le tracce dell’influsso dei compositori franco-fiamminghi nelle opere dei loro colleghi al servizio della cappella reale di Castiglia ed Aragona. Come esempio, la studiosa ha segnalato l’Agnus Dei della Messa Ave Maria di Peñalosa e in particolare la tecnica in retrogrado del tenor De tous biens plaine. La conferenza di Rinaldo Valldeperas (Universidad de Valladolid), El ‘ager valdoletanus’ y los últimos días de Alexander Agricola, ha stimolato una riflessione sulle problematiche presentate dai documenti in riferimento alla morte di Alexander Agricola avvenuta a Valladolid nell’agosto del 1506. Anche se una prima indagine negli archivi castigliani non ha apportato fino ad ora nessun dato o documento nuovo, è stato opportuno richiamare l’attenzione degli specialisti su alcuni indizi che, a quanto pare, sono passati inosservati nei documenti già conosciuti. L’intervento di Valldeperas ha mostrato che il testo poetico del lamento anonimo per la morte di Agricola Musica, quid defles? – epitaffio in forma di mottetto latino pubblicato da Georg Rhau a Wittemberg nel 1538 –, può essere stato composto da un autore di lingua francese e non spagnola. Inoltre, ha avanzato la suggestiva ipotesi che la morte di Agricola possa essere avvenuta nel «Campo de Valladolid», uno spazio aperto che fin dal Medioevo si trovava fuori le mura della villa e dove sorgeva un ospedale. Valldeperas ha fatto notare una possibile relazione tra l’espressione valdoletanus ager dell’epitaffio e «Campo de Valladolid», così come un possibile riferimento dell’autore del testo poetico al «Campo de Valladolid» e ad Agricola per mezzo dei significati di acker, ager, campo. Rinaldo Valldeperas ha avanzato dubbi sulle cause della morte di Alexander Agricola e sulla possibilità che egli sia arrivato fino a Tudela de Duero, dove si incontrava la corte reale e dove fu sancito l’ultimo pagamento del cantore. La relazione di Rob Wegman (University of Princeton) ha inaugurato la sezione del pomeriggio del Simposium, presieduta da Maria Caraci Vela (Università degli Studi di Pavia). Il verdetto di Matthaeus Greiter nel poema So ich betracht und acht sembra unirsi a quello degli osservatori moderni che, iniziando da Ambros, hanno sottolineato lo stile ‘complesso’ della musica di Alexander Agricola. Tale impressione è difficilmente sottovalutabile sia per la musica sacra sia per quella profana. Secondo Wegman, esiste un buon numero di lavori sacri di Agricola che radicalmente si allontanano da tale ‘stile personale’, e che sono di dubbia attribuzione. In particolare, il musicologo americano si è riferito a quelle composizioni degli ultimi anni della vita di Agricola, probabilmente anteriori al 1500, che costituiscono brillanti esercizi nello stile di Josquin Des Prez. Lo studioso ha considerato specialmente due composizioni: Transit Anna timor, e il primo dei due Credo su Je ne vis onques la pareille. Tali opere mettono in evidenza, secondo Wegman, non solo le tendenze musicali di Agricola alla fine della sua vita, ma anche il drammatico impatto che Josquin esercitava sugli altri compositori nei primi anni del XVI secolo. La relazione di Keith Polk (University of New Hampshire) intitolata Alexander Agricola’s three-part secular style: a northern tricinia?, ha messo in evidenza come lo stile compositivo nella musica profana a tre voci stesse cambiando rapidamente tra il 1480 e 1490. Polk ha proposto due tendenze distinte, la prima, italiana, capeggiata da Martini, – per esempio in Tout Joyeulx – e la seconda da Isaac. Qualche compositore come Agricola, Obrecht e Brumel sembra però esplorare differenti vocabolari a partire dal 1490. La maggior parte delle composizioni a tre voci di Agricola verso il 1480-1490, non hanno connessione con lo stile dei ‘nuovi’ tricinia. Per tale motivo, Polk trova conferma al fatto che Agricola sia una figura enigmatica, indifferente alle mode e alle tendenze, il cui stile ne fa un autore non facile da analizzare. Nel suo intervento, Agricola and the rhizome: contrapuntal procedures, Fabrice Fitch (University of Durham) ha considerato la musica delle messe di Alexander Agricola in relazione con lo sviluppo delle tecniche intertestuali. Fitch ha proposto come modello estetico la nozione di ‘rizoma’, sviluppata nel XX secolo da Gilles Deleuze e Félix Guattari. Tale modello e il suo relativo concetto di ‘arborescenza’ possono dare l’idea di un tipo di lavoro compositivo all’interno del quale componenti diverse possono essere messe in relazione tra di loro, per riflettere tendenze estetiche differenti che convivono all’interno della stessa cultura. [a cura di Cecilia Nocilli] |
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