L’Officium Stellae,[1] una
tipologia[2] di dramma liturgico sviluppatasi tra il X
e il XIII secolo, consiste in un’azione drammatica religiosa
cantata su testo latino che si inserisce nella celebrazione
dell’Epifania; rappresenta l’arrivo dei Magi a
Gerusalemme e l’adorazione a Betlemme, come narrato nel
secondo capitolo del Vangelo di Matteo.[3]
Caratteristica dell’Officium Stellae
è la presenza di luoghi significativi: l’uso peculiare
dello spazio risulta infatti da un diverso atteggiamento
linguistico rispetto alla prassi del canto liturgico.
L’Officium Stellae utilizza,
generalmente, la totalità dello spazio, agendo in ugual misura
sull’est, sul centro e sull’ovest senza che si possa
parlare di evoluzione: la pratica drammatica si coniuga, in questo
senso, al simbolismo del luogo sacro privilegiato, a seconda delle
esigenze, quale uno dei tre poli (est, centro, ovest), oppure
stabilendo un’equivalenza tra i tre punti. In realtà il
‘luogo teatrale’ del dramma liturgico non è questa
o quella componente architettonica della chiesa, ma la chiesa
stessa, strutturata in relazione all’asse che conduce
dall’atrio al coro e secondo i tre poli, il cui valore
simbolico restituisce all’edificio il suo fondamento: la
drammatizzazione dell’ufficio si compenetra così alla
liturgia. Nell’Officium Stellae coesistono dunque due
modi diversi di creazione ed uso dello spazio scenico: la
tradizione del locus assegnato ad uno o più attori e
quella degli spazi transitori creati attraverso la parola e la
presenza dell’attore. Come nel caso dell’Officium
Stellae di Compiègne, la creazione di spazi transitori
rappresenta la tecnica più vicina alle tradizioni
liturgiche.
I ruoli sono ‘interpretati’ prima di
tutto da officianti che riattualizzano i tempi sacri: non è
prevista alcuna contemplazione, ma piuttosto una partecipazione
attiva. Se la cattedrale accoglie solo in seguito i fedeli, non
è certo con l’intento di farli assistere ad uno
spettacolo, ma per farli partecipare attivamente all’ufficio.
La sacralità di questo spazio, nella coscienza dei fedeli,
viene ulteriormente rafforzata dall’impiego di una lingua
sacra, il latino, che sancisce la rottura spaziale tra lo spazio
consacrato e quello profano sul piano dei dialoghi drammatici.
Infine lo spazio sacro è sempre orientato: gli
officianti e i luoghi della liturgia drammatizzata sono situati e
si muovono secondo un asse, talvolta partendo da questi due poli
verso il centro segnato dal quadrato del transetto o del mezzo
della navata. In questo spazio orientato, il fedele, ammesso a
partecipare all’ufficio drammatizzato, è situato
all’interno dei poli estremi. La sua partecipazione
all’ufficio è contraddistinta dalla sua stessa
integrazione nello spazio sacro.
È interessante rilevare che sono i testi
drammatici a suggerire a pittori e scultori una nuova
gestualità più dinamica (teatrale, appunto), ma subito
codificata: al cospetto del Bambino e della Vergine, i Magi si
inginocchiano l’uno dopo l’altro (Laon), uno di loro
alza la mano additando la stella (Limoges) o, più
propriamente, la indica agli altri (Besançon). Particolari
più gestuali che narrativi, che pertanto non si incontrano nei
testi, ma che vengono suggeriti dalla necessità di renderli in
termini realistici di movimento, una necessità di
‘regia’: un bisogno che scultura e pittura non
necessariamente avvertono, mentre l’arte drammatica sente
come indispensabile.[4] In tale direzione va sottolineato
l’unicum rappresentato dalla tradizione di
Rouen, nella quale due Magi pronunciano parole
incomprensibili, con lo scopo di ottenere un’impressione
realistica del loro essere stranieri. Ciò rappresenta
certamente lo sforzo più audace verso una personificazione
realistica, con lo scopo di differenziare le varie
personalità; da escludere l’intento comico.
La prima frase del dramma, Stella fulgore nimio
rutilat, presuppone la presenza della stella, non di una
qualsiasi, ma di una stella che, come del resto tutti i personaggi
del dramma, è ‘completa’, carica cioè di una
sua storia. La stella «che brilla in modo straordinario»
che «annuncia che è nato il re dei re, il cui arrivo
molto tempo prima era stato annunciato dalla profezia».
Durante le rappresentazioni, erano talvolta[5]
impiegate delle particolari macchine per trainare la stella cometa
davanti ai Magi.
Non conosciamo l’esatta natura
dell’apparizione della stella che mosse i Magi ad
intraprendere il loro viaggio e neppure come fossero venuti a
conoscenza della nascita del Messia. La loro deduzione non era
basata su una tradizione, ma, come fu stabilito dalla profezia di
Balaam,
Videbo eum sed non modo intuebor illum sed non
prope orietur stella ex Jacob, et consurget virga de Israel; et
percutiet duces Moab, vastabitque omnes filios Seth (Nm 24,
17).
su insegnamenti rabbinici[6] che associavano
l’apparizione della stella con l’arrivo del Messia.
Essi furono comunque tra i primi a ricevere il messaggio del
Salvatore. Scrive infatti sant’Agostino:
[...] et illi Magi quid iam fuerunt, nisi
Primitiae Gentium? Israelitae pastores, Magi gentiles.[7]
L’antica credenza che una stella-guida salisse
in cielo per la nascita di un’importante personalità si
riflette nella credenza patristica che la stella di Betlemme fosse
di natura particolare, come un’inusuale forma di angelo.
La stella, dalla quale il dramma viene
esplicitamente chiamato Officium Stellae, sembra fosse fatta
scorrere su una corda, così da essere sempre sopra la testa
dei Magi durante il loro viaggio.
Le parole dei Magi rientrano in un sistema deittico
delineato dalla stella stessa, che ritaglia nello spazio della
chiesa uno spazio proprio, in virtù della sua funzione
iconica. Il rapporto tra segni linguistici e segni non-verbali
è il tratto pertinente del genere drammatico nato
nell’Alto Medioevo, un tratto ‘debole’, privo di
traccia sulla pergamena, la cui sopravvivenza era minacciata
ogniqualvolta la cerimonia drammatica veniva recepita in un nuovo
ambito liturgico. Gli enunciati di cui si compone il dramma sono
separati tra loro da momenti significativi; tra un enunciato e
l’altro intercorrono mutamenti temporali e spaziali di cui
terranno conto gli enunciati successivi.
Come afferma Johann Drumbl,[8] è proprio con
le scene di Erode che il teatro irrompe nella coscienza della
cultura medievale, addirittura nel IX secolo, e non per sviluppo
della liturgia, ma per invenzione della schola.
L’Officium Stellae nasce quindi nella schola di
un monastero o di una grande cattedrale nella prima metà
dell’XI secolo; inoltre, il vero fulcro della
rappresentazione sarebbe fin dall’inizio Erode, diversamente
da quanto sostenuto dalla critica tradizionale, che vede le sue
scene come progressive aggiunte laicizzanti.[9] La parte
dell’Officium Stellae debitrice della tradizione
drammatica ‘diffusa’, extra-liturgica, ha invece il suo
centro ideale nel locus di Erode e del suo seguito.
Impiantato in forma stabile in mezzo alla chiesa, il locus
deve essere raggiunto dai partecipanti prima che la cerimonia abbia
inizio. L’ingresso processionale di Erode con il suo seguito
diventa così luogo privilegiato e stabile, in quanto
codificato come processione, per introdurre nella cerimonia
elementi profani. L’ira di Erode non era sempre rappresentata
come scena dai forti effetti realistici. La crudeltà di Erode
che brandisce la spada, il potere, il trono riccamente decorato e
il bambino innocente nella mangiatoia si presentano quali poli
antitetici di forte contrasto. L’impetuosità dei gesti
d’ira di Erode, contrapposta al linguaggio nobile, la sua
prevalente complessità e le azioni affrettate dei suoi
sottoposti, avvicinano il suo personaggio al tipo comico; egli si
comporta in modo barbaro, spregevole e disdicevole: deliberato a
compiere un regicidio e deicidio, le sue azioni sono
manifestatamente blasfeme.
Alla fine del XII secolo questo aspetto si era
sviluppato a tal punto che la badessa Herrada di Landsberg del
monastero agostiniano di Hohenburg (vicino a Strasburgo) si
sentì in dovere di reagire contro tale esibizione di
«irreligiosità e dissipazione». Le sue rimostranze
hanno descrizioni vivide:
Mutatur habitus clericalis, incohatur ordo
militaris, nulla in sacerdote vel milite differentia, domus dei
permixtione laicorum et clericorum confunditor, commessationes,
ebreitates, scurrilitates, ioci inimici, ludi placesibiles, armorum
strepitus, ganearum concursus, omnium vantatum indisciplinato ex
cursus.[10]
Anche Geroh di Reichesberg nella seconda metà
del XII secolo denunciava:
Vi sono sacerdoti che non si dedicano al ministero
della Chiesa e dell’altare, ma piuttosto alla vanità
degli spettacoli, essi rappresentano la culla del bambino
Gesù, l’aspetto matronale della Vergine Madre, la stella
come un astro lucente, la strage degli Innocenti.[11]
Nel 1207 un decreto di Innocenzo III colpiva gli
eccessi nelle chiese, con riguardo particolare a quelli che si
presentavano nel periodo tra il Natale e la festa degli
Innocenti:
Frattanto avvengono, nelle chiese stesse, spettacoli
teatrali, e non solo si introducono, con fini di scherno, mostruose
mascherate, ma anche nei tre giorni di festa che seguono il Natale
del Cristo, i diaconi, i preti, i suddiaconi a vicenda, ostentando
le bizzarrie della propria follia, con i propri gesti, con oscene
esaltazioni alla presenza del popolo, avviliscono il decoro
sacerdotale.[12]
La sacralità dell’ufficio liturgico
rischiava quindi di essere sommersa dalla teatralità della
recitazione drammatica: la platea latina di cui parlano i
libri liturgici, si era trasformata in ‘area
d’azione’; allo stesso modo le latine sedes
(letteralmente «sedili») dei personaggi che riproducevano
l’evento storico (nell’Officium Stellae il
palazzo di Erode, la mangiatoia di Betlemme e l’Egitto), si
erano ampliate fino a divenire luoghi scenici identificabili.
Alcuni esempi significativi: nella tradizione di
Fleury Erode, fuori di sé (quasi corruptus), sguaina la
spada e sembra sul punto di uccidersi (arrepto gladio, paret se
ipsum occidere); in quella di Padova egli, in mancanza di un
ruolo preponderante dei Magi, prende parte alla conclusione stessa
del Mattutino, arriva con il suo capitano dalla sagrestia, entrambi
abbigliati con tuniche in disordine e portando lance di legno che
Erode lancia rabbiosamente contro il coro per poi procedere, cum
tanto furore, alla lettura della nona lezione; nel frattempo i
suoi attendenti si danno daffare bastonando il capocoro, canonici e
coristi con una vescica gonfiata e, alla conclusione della sua
lettura, Erode si unisce a queste buffonate cum supradicto
furore, presumibilmente mentre il coro sta tentando di cantare
l’ultimo responsorio. Nella tradizione di Rouen, Archelao,
figlio di Erode, confessa al padre la propria apprensione per il
potere del nuovo nato e consiglia di uccidere il regulus,
supportato con veemenza dagli ufficiali che entrano a spade
sguainate, ed Erode infine accetta il loro consiglio. Con questo
espediente viene così risolto il problema di rappresentazione
del sacerdote incaricato di impersonare Erode, dovuto alla condotta
non cristiana, spesso volgare e disdicevole del re. Interessante la
tradizione di Fleury nella quale il dramma si conclude
definitivamente con la resurrezione dei bambini e
l’abdicazione di Erode in favore del figlio Archelao.
Il chierico che per primo appare
nell’Officium Stellae diventa personaggio grazie alla
stella, il «Mago in Oriente», ma il suo luogo transitorio
è distinto dai luoghi del secondo e del terzo Magio, pur
essendo anch’essi luoghi transitori. Lo stesso Vangelo,
comunque, non contiene alcun segno di condanna e sembra usare il
termine «magio» senza far riferimento ad una speciale
classe sacerdotale o professionale, ma solo per indicare i saggi
pagani dell’Est abili in astronomia e
nell’interpretazione dei sogni. Gli scrittori cristiani li
associarono poi con la Persia, l’Arabia e la Caldea.[13]
Durante il VI secolo, se non prima, la tradizione riportò che
i Magi erano dei Re, e questa credenza prevalse durante il
Medioevo. Da qui la festa dell’Epifania ebbe il nome di
Festum Trium Regum. I Magi, ognuno caratterizzato da uno
specifico oggetto simbolico, creano gli spazi scenici, a mano a
mano che servono loro nel prosieguo del cammino, e li abbandonano,
di volta in volta, non appena giungono allo spazio nuovo.
Ad Ovest, dal V secolo in poi, gli scrittori
ecclesiastici[14] giudicarono il numero tre come il numero
corretto (nonostante esistano testimonianze di dodici[15] o
tredici e di due e quattro[16), probabilmente
perchè il Vangelo faceva riferimento ai tre doni dei
Magi.[17] I nomi assegnati ai Magi nei diversi
periodi storici furono numerosi;[18] dal XII secolo
emerge la triade a noi nota di Melchiorre, Caspare (Gaspare) e
Baldassarre della quale la Collectanea et Flores dello
pseudo-Beda fornisce la seguente descrizione:
Magi sunt qui munera Domino dederunt: primus
fuisse dicitur Melchior, senex et canus, barba prolixa et capillis,
tunica hyacinthina, sagoque mileno, et calceamentis hyacinthino et
albo mixto opere, pro mitrario variae compositionis indutus; aurum
obtulit regi Domino. Secundum, nomine Caspar, juvenis imberbis,
rubicundus, mylenica tunica, sago rubeo, calceamentis hyacinthinis
vestitus; thure quasi Deo oblatione digna, Deum honorabat. Tertius,
fuscus, integre barbatus, Balthasar nomine, habens tunicam rubeam,
albo vario, calceamentis inimicis amicus, per mirraham filium
hominis moriturum professus est. Omnia autem vestimenta eorum
Syriaca sunt.[19]
L’interpretazione simbolica dei tre doni dei
Magi cominciò a fiorire, apparentemente, nella seconda
metà del II secolo, epoca in cui Ireneo, vescovo di Lione,
scrisse:
Myrrham quidem, quod ipse erat, qui pro mortali
humano genere moreretur et sepeliretur; aurum vero, quoniam Rex,
cujus regni finis non est; thus vero, quoniam Deus, qui est notus
in Judaea factus est, et manifestus eis qui non quaerebant
eum.[20]
Degna di particolare attenzione è la figura
dell’Angelo: egli infatti non ha la stessa funzione degli
altri personaggi, non ritaglia un proprio spazio nello spazio
sacro, ma si può trovare ovunque nella chiesa; non è
personaggio a tutti gli effetti e i suoi canti sono pronunciati in
una dimensione deittica diversa da quella della rappresentazione.
Unico personaggio a non avere una storia, l’Angelo non
necessita di un luogo. Trovandosi così sia dentro che fuori la
rappresentazione, l’Angelo è destinato a concludere il
dramma. L’ultimo canto della cerimonia è un brano di
transizione, pronunciato dall’Angelus, ma non più
attribuibile con certezza al personaggio dell’Angelo.
Concludendo il dramma con l’antifona Sinite parvulos
venire ad me, l’antifona con la quale riprende la
liturgia delle Ore interrotta dall’ordo drammatico,
l’Angelo ridiventa chierico nella sua funzione di cantore,
poiché, come cantore, egli avrebbe dovuto cantare, in quel
preciso momento, proprio l’antifona attribuita
all’Angelo. Infatti, con l’antifona Sinite parvulos
venire ad me a Compiègne aveva inizio la serie delle
antiphonae in Evangelium (cantata al Benedictus delle Lodi)
il giorno della festa degli Innocenti. La tradizione di Limoges
prescrive che l’Angelo sia interpretato da un ragazzo.
Drumbl giunge persino ad ipotizzare che in
realtà la stesura originaria del dramma sia proprio quella
conservata nel manoscritto di Compiègne dell’XI secolo,
che come complessità sta a metà strada tra i testi
più semplici di Nevers e Rouen e i più articolati di
Freising e Bilsen.[21] Da quella versione, tramite il processo
di neutralizzazione dei tratti di drammaticità, la cerimonia
si sarebbe poi contratta e ‘normalizzata’ per poter
essere accettata in altre sedi.
È stato finora possibile rinvenire una trentina
di tradizioni d’ampia estensione geografica
dell’Officium Stellae, (si veda la mappa della
diffusione delle fonti dell’Officium
Stellae). Esse, ordinate in base a criteri di relazione
e somiglianza, per favorire la messa in luce al loro interno di
elementi liturgico-drammaturgici di persistenza o variazione, di
trasformazione e di eventuale contaminazione, sono le seguenti:
Strasburgo, Rouen, Bilsen, Laon, Fleury, Freising, Padova, Nevers,
Compiègne, Palermo, Limoges, Besançon, Ginevra, Cremona,
Aquileia e Cividale, Ivrea, Toledo, Ripoll, Varsavia, Friburgo,
Münsterschwarzach, Micy e Blois, Würzburg, Lorsch,
Györ, Ratisbona, Einsiedeln.
La tradizione di Rouen, come indicano le rubriche,
viene aperta dai tre membri superiori del clero, vestiti con cappe
e corone per rappresentare i Magi, essi giungono da separate
direzioni e si incontrano prima dell’altare principale, luogo
della rappresentazione. Le rubriche sono particolarmente
illuminanti per quanto riguarda le personificazioni, l’azione
scenica e la messa in scena. Vediamo che i Magi entrano nello
spazio scenico da direzioni diverse, come da differenti Paesi, si
scambiano poi il bacio di pace, la stella cometa indica loro il
cammino, si siedono davanti ad Erode e, nel presentare i doni al
Praesepe, il primo Magio si prostra davanti al re. Ogni
Magio è accompagnato dai propri servitori, (posizionati nella
platea più bassa), vestito con tuniche e amitto e recante i
propri doni. Il Magio che proviene dall’Est, puntando con il
suo seguito verso la stella, canta ad alta voce Stella
fulgore nimio rutilat, e gli altri rispondono
appropriatamente.[22] Abbiamo anche l’indicazione di un
Ordinarium di Rouen, del XIV secolo, che scrive
espressamente di una «corona pendente davanti alla croce»
che veniva accesa ad imitazione della stella.[23] Passando dal
coro alla navata, i Magi osservano un raggruppamento luminoso a
forma di stella sopra l’altare della Santa Croce. Davanti a
questo altare, sul quale sono rappresentati la Madonna e il
Bambino, velati dietro una tenda, essi si fermano. Due chierici in
dalmatica, dei quali uno all’estremità
dell’altare, interrogano i visitatori, udite le loro
intenzioni, scoprono la tenda e svelano il Bambino, i Magi si
prostrano in adorazione e presentano i loro doni su un semplice
piatto e con le mani coperte da un lembo del mantello (rito di
origine persiana, che significa il desiderio di purezza).[24] In
seguito, sia i chierici che l’assemblea presentano offerte
aggiuntive allo stesso altare. In questo dramma, la messa in scena
è fatta realisticamente attraverso la presenza
sull’altare delle figure plastiche rappresentanti Maria e
Gesù.
La tradizione di Bilsen presenta rubriche versificate
contenenti interessanti indicazioni sulle modalità espressive
dei personaggi, in particolare per quanto riguarda quello di
Erode. L’azione inizia con una scena nella quale i
pastori ricevono dall’Angelo l’annuncio della
Natività. Proprio i pastori assumono qui un’inattesa
importanza (pur essendo presenti anche nella tradizione di Fleury
accanto alle levatrici). La conclusione di questa scena è
unica poichè, dopo l’adorazione del Bambino, i pastori
invitano i presenti a fare lo stesso. In questa versione del dramma
appare certo, per la prima volta nei drammi dell’Epifania,
che il passaggio dei Magi dall’altare attraverso il coro
voglia rappresentare il loro viaggio da Est a Gerusalemme. Questa
tradizione riprende la suddivisione in tre parti dello spazio della
chiesa, privilegiando, (al contrario dell’Ordo di
Rouen), la vettorizzazione ovest-est.
I Magi, il primo dei quali stat tunc in medio,
il secondo qui stat ad dextram, e il terzo qui stat ad
sinistram, si incontrano dopo la partenza dei pastori. Cohen ha
tradotto «in medio» con «nel mezzo della
navata».[25] Kongson tuttavia dissente affermando che
nel centro della navata era situato il palazzo di Erode e che
quindi «in medio» indicherebbe la posizione del primo re
nella campata centrale, mentre il secondo sostava nel lato destro e
il terzo nel lato sinistro.[26] Essi prendono
comunque avvio dalla porta occidentale, poi si congiungono nella
navata, dove incontrano il messaggero di Erode che li conduce verso
il palazzo al centro della stessa. Durante i dialoghi interviene un
coro di voci. Sembra improbabile inoltre che la prigione in cui i
Magi vengono rinchiusi potesse essere raffigurata da una struttura
chiusa da una porta e con finestre con inferriate, ma piuttosto da
uno spazio simbolico nei pressi del palazzo.
Degno di nota il dialogo tra Erode e i suoi
messaggeri per formalità espressiva e facilità di
costruzione dell’esametro. Il riferimento implicato nei
praesagia vatis, riguardo a ciò che il re chiede
insistentemente, non è del tutto chiaro. Certamente il
messaggero che risponde immediatamente non chiarisce la questione e
il secondo messaggero aumenta la curiosità per il riferimento
ai carmina vatum. L’autore potrebbe avere in mente le
scritture dei profeti, esaminate nella scena precedente, oppure in
maniera classica, un riferimento alla quarta Egloga di
Virgilio:
ultima Cumaei venit iam carminis aetas,
Magnus ab integro saeclorum nascitur ordo.[27]
Dopo la rivelazione degli scribi, Erode richiama i
Magi dalla prigione e li interroga sulla loro provenienza. Sebbene
il discorso in esametri sia ovviamente originale, la scena potrebbe
essere stata suggerita dal passaggio virgiliano:
Qui genus? Unde domo? […]
Troiugenas ac tela vides inimica Latinis.[28]
Il nome Zoroaster con cui viene chiamato il primo
Magio sembra una fantasia personale dello scrittore di questo
dramma. La caratteristica letteraria maggiormente stringente del
dramma non è il contenuto o la forma del dialogo, ma la
versificazione delle rubriche. Questo passaggio in esametri
può far suggerire che lo scrittore abbia abbandonato
l’intento di commuovere l’uditorio, dedicandosi ad un
mero esercizio letterario per impressionare il lettore, ma questo
testo potrebbe anche non essere stato creato per la
rappresentazione, data l’assenza generale di indicazioni
sceniche nelle rubriche; tuttavia la gestualità di Erode
è descritta con cura tale da far fortemente pensare ad una
rappresentazione.
Nella rappresentazione di Nevers gli attori non
creano il loro personaggio strada facendo durante lo svolgimento
dello spettacolo, ma sono definiti e completi sin
dall’inizio, portando con sé ciascuno la propria storia,
nota al pubblico come noti sono i personaggi agenti. Interessante
rilevare che lo scrittore coraggiosamente non ha seguito solo le
suggestioni del Vangelo, ma ha elaborato anche alcune parti della
Vulgata. Il processionale Eamus ergo, viene ad esempio
allargato attraverso l’uso del verso 11 del salmo 71; il
dialogo tra Erode ed i Magi viene esteso attraverso la
ridistribuzione di frasi del dramma di Nevers; viene introdotto un
nuovo dialogo dei Magi (Hunc regnare) e la conclusione del
dramma è affidata ad un’antifona del Giorno degli
Innocenti, come non accade in nessun’altra versione.
Sebbene messaggeri ed emissari siano contenuti nella
narrazione di s. Matteo, essi non sono esplicitamente riferiti al
Vangelo e la loro invenzione deve essere attribuita ad uno degli
scrittori che sviluppò l’Officium Stellae sotto
l’influenza, in questo caso, dell’apocrifo
Protevangelium Iacobi, nel quale gli emissari sono ben
presenti.
Erode fu turbato e mandò dei messi ai Magi
[…] Quando Erode si accorse di essere stato beffato dai Magi,
infuriato spedì dei sicari.[29]
Per la scena tra Erode ed i suoi attendenti, non vi
sono antecedenti biblici o apocrifi e, sebbene l’azione di
Erode sia indicata dal Vangelo, le sue parole sono inventate. Non
abbiamo notizie su costumi o messa in scena, neppure sulla presenza
di una stella, pur rimanendo costante l’intenzione di
personificazione.
Il testo ha didascalie poco dettagliate, ma non
è in tutto e per tutto un difetto in quanto spesso rubriche
molto ricche e dettagliate, diversamente da ciò che si è
sempre pensato, hanno molta più probabilità di essere
un’interpretazione personale del copista che la testimonianza
di una prassi largamente accettata.[30]
La tradizione di Palermo si ispira a quella di Rouen
e rappresenta uno stato ormai avanzato: già il titolo
decisamente teatrale Versus ad Herode Faciendum[31]
può farlo rilevare, e inoltre si inizia qui a notare una
mescolanza di versi e prosa. Secondo De Coussemaker,[32] il
dramma sarebbe stato ispirato al Protevangelium Jacobi e
alla Historia Infantiae Salvatoris.[33] Lo esclude invece
de Batholomaeis, per il quale esse non sono che tracce
dell’antico responsoriale romano, seppur qui siano le
abstetrices a mostrare ai Magi il bambino.
A Besançon gli attori che impersonavano i Magi
durante la processione partecipavano anche alla lettura del
Vangelo, come descritto nel libro ordinario della chiesa dei santi
Stefano e Giovanni:
In Missa, ante evangelium, fit processio Trium
Regum, qui induuntur amictis, albis, paratis, solis, et tunicis
colore differentibus. Apponuntur etiam humeris cappae, dantur
capelli cum coronis, et vinicuique famuli, qui defeant phialas.
Finita prosa, egrediuntur e vestiario, praecedentibus cereis, et
thuribulo, et duobus choristis quorum iunior cum suo baculo
praecedit, senior vero sequitur Reges. Reges eant usque ante altare
Beatae Mariae.[34]
Essi erano accompagnati da attendenti recanti i doni
in vasi d’oro e dagli altri chierici, che portavano aste
d’argento, candele accese e turiboli. Gli attendenti erano
vestiti come Persiani ed uno di loro aveva il volto annerito a
rappresentare un Moro. Dopo l’annuncio del Vangelo con
l’abituale forma liturgica, i Magi prendono parte alla
lettura in maniera speciale. Dopo che ognuno di essi ha letto a
turno un breve passaggio, i cantori leggono alcune parole
all’unisono. Le parole aurum, thus, et myrrham, sono
distribuite tra i Magi. Alla conclusione del Vangelo essi esclamano
Ecce stella, additando la stella, e avanzano dal pulpito
verso l’altare principale, dove ognuno a turno deposita i
propri doni e la corona. Durante la processione cantano due strofe
di Nos respectu gratiae e, porgendo le proprie offerte,
ognuno canta una parte appropriata della terza strofa della
medesima composizione.
Questo ufficio drammatico consta quindi di due
parti:
1) la processione dei Magi al pulpito e la lettura
del Vangelo: una rappresentazione del viaggio a Gerusalemme;
2) la processione dei Magi all’altare
principale e la deposizione delle loro offerte, che raffigura
chiaramente il viaggio a Betlemme, sotto la guida della
stella, completato dall’offerta dei doni e seguito
dall’offertorio.
Lo stratagemma di frazionare il Vangelo tra i Magi e
i cantori trova paralleli nella Messa dell’Annunciazione,
come veniva celebrata a Padova[35] e ciò
potrebbe essere dovuto alla stessa tendenza che portò, durante
il Medioevo, alla distribuzione dei testi delle Passiones
della Settimana Santa tra tre cantori. Mentre le due versioni di
Ginevra e Friburgo sembrano manifestare un accento comune nella
recitazione monofonica del testo, la versione di Besançon
resta l’unica tradizione che viene meglio compresa nel
confronto con il tessuto polifonico: troviamo infatti
un’alternanza fra i tre cantori, ma manca il collegamento al
linguaggio parlato attribuito ai Magi nella Bibbia. Ci troviamo di
fronte ad una situazione peculiare: le tre persone che
rappresentano i Magi non assumono realmente i ruoli delle tre
figure bibliche, ma diventano invece ‘attori’ di un
tipo speciale di lezione liturgica; d’altra parte essi in
quel momento non rappresentano solo tre chierici che mettono in
scena una funzione liturgica.
La tradizione di St.-Pierre (Ginevra), risalente al
XIV secolo, riporta un Officium Stellae caratterizzato
dall’alternanza di tre voci solistiche e da un finale
polifonico. Nel manoscritto ciò è preceduto da una
versione monofonica dell’Officium, anch’essa
distribuita fra i tre solisti che impersonano i tre Magi.[36]
Nella versione polifonica, scritta probabilmente da
un’altra mano, le tre voci sono designate come Tenor,
Contra e Altus.[37] Questi tre
termini, così strettamente musicali, rimpiazzano i nomi dei
solisti della versione monofonica, i tre chierici:
Canonicus, Curatus civitatis, Curatus
forensis. Nella versione polifonica, i dettagli tecnici
concernenti i registri vocali sono considerati più importanti.
Permangono tuttavia dubbi che la versione che impiegava la
polifonia in unione con l’alternanza delle parti soliste
rappresentasse un’alternativa alla versione monofonica: in
entrambi i casi gli ‘attori’ dovevano essere tre
chierici rappresentanti i Magi, e la struttura musicale delle tre
parti polifoniche è costruita proprio in modo da enfatizzare i
ruoli individuali dei tre personaggi.
Le tradizioni di Aquileia e Cividale sono
anch’esse collegate a quella di Padova per quanto riguarda
l’Herodes iratus. La cerimonia dell’Epifania a
Cividale (eseguita anche alla presenza del Patriarca, il quale la
anticipava alla notte di Natale) era molto probabilmente in
relazione con il Ludus regis Herodis del XIII
secolo.[38]
Durante il Mattutino il re faceva le veci del
celebrante ed è probabile che durante la messa il re cantasse
il Vangelo, così si spiegherebbe anche l’origine della
Messa dello Spadone a Cividale.[39]
Non conosciamo come fosse abbigliato il re a
Cividale, ma sappiamo, da un inventario della chiesa Patriarcale
compilato tra il 1358 e il 1378, che ad Aquileia viene ricordata,
tra i paramenta, una «stricta rubea de sindone cum
stellis aureis per totum qua utior quando fit Ludus Regis
Herodis».[40] Probabilmente la
stricta si trasformò poi nella dalmatica.
Il castigliano Auto de los reyes Magos di
Toledo è il più antico dramma giunto fino a noi, si trova
in un codice, di cui meno di centocinquanta versi sono conservati
in un manoscritto di contenuto ecclesiastico della capitolare di
Toledo (una glossa del Cantar de los Cantares e un
commentario al Quomodo sedet sola, di Geremia, con testo
scritto al centro e glosse a colonne laterali), oggi conservato
nella Biblioteca Nacional di Madrid.[41]
L’Auto è un brano evangelico drammatizzato, o
meglio dialogato, recante caratteri d’aderenza alla
realtà. Questa tradizione rappresenta un unicum: solo
qui infatti i Magi, con monologhi successivi, espongono le proprie
incertezze in merito all’interpretazione della cometa; segue
un dialogo in cui i tre re, fugati i dubbi residui e certi ormai
della nascita del Bambino, decidono di partire per rendergli
omaggio. L’emozione che la stella suscita nel cuore dei Magi
è resa con efficacia, ma stranamente essi esitano nella sua
interpretazione. A questo punto si inserisce l’elemento
più originale: si sottopone il Bambino all’ordalia della
scelta, certi che il tipo di dono che sceglierà sarà
rivelatore del Suo essere:
se è un re di questo mondo – sentenzia
Melchiorre – sceglierà l’oro; se è un comune
mortale, la mirra; ma se è rei celestrial prenderà
solo l’incenso.
Che l’insolito particolare dei doni-prova,
estraneo sia alla tradizione dell’Officium Stellae che
ai vangeli apocrifi, trovi riscontro solo in testi
francesi,[42] non sembra indizio decisivo a favore di
un’origine transpirenaica. Anche secondo
D’Amico,[43] esso presenterebbe una spiccata influenza
francese e somiglianze con altri drammi primitivi attinti da un
‘fondo comune’ noto a diverse nazioni.
La rappresentazione di Varsavia risente evidentemente
del contesto geo-socio-culturale: troviamo qui il Dialogus pro
festo trium Regum[44] e il Ludus
Herodis nell’originale versione latina della chiesa
evangelica di Varsavia.[45] Maria è una
fanciulla umile e l’anziano Giuseppe veglia su di lei, i
pastori sono rappresentati da gente ordinaria, l’allegoria
personificata della morte è vicino alla mangiatoia, vestita di
tela, e saltella intorno ad Erode. Il dramma è ambientato
nella campagna polacca, con piccole abitazioni all’orizzonte,
bestiame al pascolo e prodotti della tradizione, come formaggi e
salsicce che due dei Magi, Kuba e Bartek (nomi evidentemente della
tradizione polacca), offrono al Bambino.
Un codice del monastero di Györ riporta una
versione ridotta dell’Officium Stellae, nella quale
mancano le scene di Erode.[46] Un modello
più completo della cerimonia era comunque disponibile poco
dopo la stesura del manoscritto, perché una seconda mano, che
interviene con correzioni anche in altre parti del codice, ha
trascritto due canti legati a scene soppresse in fondo alle carte
28v e 29r .
La tradizione del monastero di Sankt Emmeram
(Ratisbona), copiata verso la metà dell’XI secolo,
rappresenta una testimonianza di provata arcaicità e rivela
chiaramente la causa delle varianti principali riscontrate: il
canto recepito nell’ambito dell’Officium Stellae
assomiglia, infatti, a un’antifona usata durante
l’ufficio e, come in altri casi ben documentati,[47]
anche qui viene preferito il canto locale al canto estraneo.
L’antifona in questione è responsabile anche della
variante «et offeramus» e dell’eliminazione
del finale a partire da «quia scriptum
didicimus».
Ant.
|
Magi videntes stellam, dixerunt ad invicem:
Hoc signum magni regis est: eamus et inquiramus eum,
Et offeramus ei munera, aurum, thus et myrrham.
|
Doglio documenta nelle tradizioni festive del clero
minore, che echeggiavano nei giorni successivi al Natale e fin
oltre l’Epifania, antichi modi celebrativi di feste
paganeggianti e di leggende cristiane, con la creazione di quei
modi paraliturgici parodistici, irridenti e, talvolta, ai limiti
della blasfemia che, sviluppandosi nei principali centri
ecclesiastici europei dopo il X secolo, assunsero i nomi di:
Festum stultorum, fatuorum, follorum ed anche
puerorum o innocentium, come il testo riportato
dall’Ordinarium di Padova.[48]
La tradizione di Einsiedeln, risalente
all’XI-XII secolo, pervenutaci su manoscritto acefalo e
mutilo,[49] riporta un’evidente novità
rispetto a tutte le tradizioni esaminate: la presenza dei profeti,
che divengono veri e propri ‘personaggi’,
caratteristica non comune neppure alle altre fonti di area svizzera
o tedesca e non imputabile ad una contaminazione con
l’Ordo Rachelis, frequentemente rintracciabile nelle
tradizioni di area francese.
I profeti vengono citati anche in altre tradizioni di
area francese, come quella di Rouen e Besançon, in relazione
agli interventi di Erode, ma non rivestono mai un ruolo di
particolare importanza come in questo caso, in cui giungono a
profetizzare il futuro glorioso del Bambino. Interessante la
presenza dei pueri e dei pastori che trova un parallelo solo
nella tradizione di Freising, dovuta probabilmente alla
contaminazione con l’Ordo pastorum.
Sigle delle tradizioni
B = Bilsen
Be = Besançon
Be1 = Besançon MS 308
Be2 = Besançon MS 109
C = Compiègne, MS 16819
C1 = Compiègne, MS 1152
Ci = Cividale
Cr = Cremona
E = Einsiedeln
F = Fleury
Fr = Freising
G = Györ
L = Limoges
M = Malmedy
M1 = Malmedy, MS 14477
Ma = Madrid
Mi =Milano
Mü = Münsterschwarzach
N = Nevers, MS 1708
N1 = Nevers, MS 9449
N2 = Nevers, MS 1235
P = Padova
Pa = Palermo
R = Rouen, MS 384
R1 = Rouen, MS 904
R2 = Rouen, MS 382
R3 = Rouen, MS 222
R4 = Rouen, MS 304
S = Strasburgo
AH = Analecta Hymnica Medii Aevi (Blume
Dreves-Bannister)
CAO = Corpus Antiphonalium Officii
(Hesbert)
RH = Repertorium Hymnologicum (Chevalier)
Indice dei canti
ANTIFONE
|
CAO
|
TRADIZIONI
|
Ab oriente venerunt Magi
|
1205
|
Mü
|
Angelus ad pastores
|
1404
|
Fr
|
Bethleem non es minima
|
1737
|
B Be C E F Fr G M M2 Mü Pa
R4 S
|
Caput draconis
|
1768
|
P
|
Ecce advenit
|
1073
|
Mü R2
|
Ecce Maria
|
2523
|
Ci
|
Ecce virgo
|
2557
|
F
|
Facta est cum angelo
|
2836
|
B
|
Germinavit radix
|
2941
|
Ci
|
Impleta sunt omnia
|
4268
|
C E F Fr G M Mü N N1 Pa R
R1 R2 R3 R4 S
|
In Bethleem Iudae
|
4273
|
Be P Pa
|
Interrogabat magos
|
3376
|
R2
|
Magi videntes
|
3654
|
Ci L R
|
O admirabile commercium
|
3985
|
Ci F
|
O regem caeli
|
4077
|
F Fr G
|
Pastores dicite
|
4224
|
B E Fr R4 S
|
Pastores loquebantur
|
4225
|
B F Fr S
|
Quando natus es
|
4441
|
Ci
|
Salutis nostre auctorem
|
4685
|
R R1 R2
|
Sinite parvulos
|
4966
|
C
|
Super solium David
|
5064
|
B
|
Tria sunt munera
|
5181
|
R R1
|
Tu Bethleem
|
5195
|
N2
|
Venite adoremus
|
5348
|
Pa
|
Vidimus stellam
|
5411
|
R R2
|
|
|
|
RESPONSORI
|
CAO
|
|
Adorabunt eum
|
8583
|
F
|
Angelus ad pastores
|
6088
|
B
|
Et tu Bethleem
|
6254
|
Be
|
Gloria in excelsis deo
|
6859
|
F Fr
|
In columbae specie
|
6892
|
Ci
|
Interrogabat magos
|
6981
|
R
|
Magi veniunt
|
7112
|
R R3
|
O magnum mysterium
|
7274
|
R4
|
O regem caeli
|
7297
|
B
|
Omnes de Saba
|
7314
|
R R1
|
Salvete flores martyrum
|
rh 18342
|
Fr
|
Stella quam viderant
|
7864
|
Be
|
Tria sunt munera
|
7777
|
R2
|
|
|
|
SEQUENZE
|
AH
|
|
Epyphaniam Domino
|
7,53 n. 37
|
R R2
|
Laetabundus exultet fidelis
|
54,5 n. 2
|
Fr
|
Quem non praevalent
|
54,9 n. 4
|
F R4
|
|
|
|
TROPI
|
RH
|
|
Ecce puer adest
|
4789
|
B E F Fr M N R R1 R2 S
|
Infantem vidimus
|
8874
|
B E Fr Pa R S
|
O quam dignis
|
13496
|
L
|
Pastores dicite
|
14123
|
B F Fr Pa R4 S
|
|
|
|
CONDUCTUS
|
RH
|
|
Nos respectu gratiae
|
12241
|
Be
|
|
|
|
KYRIE
|
AH
|
|
Fons bonitatis
|
47 n.5
|
R R1 R2
|
|
|
|
VERSI
|
CAO
|
|
Magi veniunt ab Oriente
|
8129
|
R
|
Reges Tharsis
|
8180
|
Ci
|
Vidimus stellam
|
8243
|
R R2
|
Indice dei passi biblici
Nm 24, 17
|
Cr
|
Dn 1, 20; 2, 2
|
Cr
|
Mt 2, 1-13
|
B Be C Cr E F Fr Pa
|
Lc 2, 22-50
|
P
|
Indice dei passi classici
Sallustio
Incendium meum
|
De con. Catilinae, 29
|
E Fr
|
Virgilio
Iuvenes, quae causa subegit
|
Eneide, VIII, 112-114
|
F Fr
|
Qui genus? Unde domo?
|
Eneide, VIII, 114-117
|
B Fr
|
State viri; quae causa viae?
|
Eneide, IX, 376-377
|
S
|
Ultima Cumaei venit iam carminis aetas
|
Ecloga IV, 4-5
|
B
|
|
________________________
[Bio] Nausica
Morandi, laureatasi in Musicologia presso l’Università
di Pavia sotto la guida di Giacomo Baroffio con una tesi sul dramma
liturgico nel Medioevo, svolge ricerche nell’ambito della
musica sacra medioevale.
e-mail nausicamorandi@libero.it
[1] Il termine Officium
Stellae viene sostenuto da KARL YOUNG, The Drama of the
Mediaeval Church, 2 voll., Oxford, Clarendon Press, 1933, nel
supportare Jean d’Avranches (vedi JACQUES PAUL MIGNE,
Patrologiae Cursus Completus, 221 voll, Paris-Turnhout,
Brepols, 1844-1864 [= P.L.], CXLVII, 43) e i drammi Normanni
(tradizione di Rouen). I manoscritti di altre tradizioni forniscono
una grande varietà di denominazioni: Officium Trium
Regum (Rouen), Ordo Stellae (Bilsen), Versus ad
Herodem faciendum (Palermo), Ordo ad rapresentandum
Herodem, (Fleury) e Stella (Nevers).
[2] Tra le altre tipologie
più diffuse di dramma liturgico ricordiamo: Ludus
Danielis, Ordo Pastorum, Ordo Rachelis,
Sponsus, Visitatio Sepulchri.
[3] Si noti la presenza
qui dell’episodio di Erode assente in ELIGIUS
DEKKERS-ÆMILIUS GAAR, Clavis patrum latinorum, qua in
Corpus Christianorum edendum optimas quasque scriptorum recensiones
a Tertulliano ad Bedam, editio tertia aucta et emendata,
Turnhoult, Brepols, 1995 [= Clavis], che invece si trova nei
Vangeli Apocrifi: Vangelo dell’Infanzia armeno, 11,
1-12 e Protovangelo di Giacomo, 21, 1-4 (si veda I
Vangeli Apocrifi, a cura di Marcello Craveri, Torino, Einaudi,
1969).
[4] FRANCO CARDINI, I
Re Magi, storia e leggende, Venezia, Marsilio, 2000, p. 63 e
appendice iconografica.
[5] ELIE KONGSON,
Lo spazio del teatro nel Medioevo, trad. it. a cura di Luigi
Allegri, Firenze, La casa Usher, 1990 (ed. or. L’espace
théatral médiéval, Paris, Éditions du
Centre National de la Recherche Scientifique, 1975), p. 15.
[6] HERMANN STRACK-PAUL
BILLERBECK, Kommentar zum Neuen Testament aus Talmud und
Midrash, München, C.H. Beck’sche Verlagsbuchandlung,
1969, vol. I, Mt 2,2.
[7] Sermo de
tempore, 202 (segnalato da MARIO BUSSAGLI-MARIA GRAZIA
CHIAPPORI, I re magi: realtà storica e tradizione
magica, Milano, Rusconi, 1985, p. 5).
[8] JOHANN DRUMBL, Quem
quaeritis: teatro sacro dell’Alto Medioevo, Roma,
Bulzoni, 1981, pp. 293, 295-296 e 326.
[9] YOUNG, The
Drama, cit. Egli colloca i testi della sua analisi in un ordine
che va appunto dalla minore alla maggiore caratterizzazione del
personaggio dell’Erode furente.
[10] JAMES WALTER in
JOHN WILLAERT, L’ancient cantatorium de
l’Église de Strasbourg, Colmar, 1928, pp. 95-97
(segnalato da YOUNG, The Drama, cit., vol. I, p. 455); da f.
315 di HERADA DI LANDSBERG, Hortus Deliciarum, edito da
Rosalie Green, con scritti di Christine Bischoff, Michael
Curschmann, Michael Evans et al., London, The Warburg
Institute - University of London, 1979, 2 voll., XIII, 244,
XXXIII.
[11] LUIGI ALLEGRI,
Teatro e spettacolo nel Medioevo, Roma, Laterza, 1988, p.
138.
[12] ALLEGRI,
Teatro e spettacolo nel Medioevo, cit., pp. 136-137.
[13] YOUNG, The
Drama, cit., vol. II, p. 29.
[14] YOUNG, The
Drama, cit., vol. II, p. 31.
[15] Così
riportano la Cronaca, il siriaco Libro della Caverna dei
Tesori del VI secolo, la Cronaca pseudoisidoriana del VII
secolo e lo pseudo Dioniso di Tell Mahré del IX secolo
(segnalato da BUSSAGLI-CHIAPPORI, I re magi, cit., pp. 32-34
e CARDINI, I Re Magi, storia e leggende, cit., p. 130.
[16] YOUNG, The
Drama, cit., vol. II, p. 31.
[17] I Magi
divennero anche i rappresentanti delle tre razze umane (la
Semitica, la Camitica, la Giapetica) ad indicare
l’universalità dell’insegnamento di Cristo.
[18] Nel VII secolo
gli Excerpta Latina Barbari, opera di autore ignoto che
sfrutta fonti greche in parte perdute, citano Balthasar come il
protetto dal Signore, Melchior come il re della luce e Gaspar come
colui che è dotato di particolari poteri magici.
[19] P.L., XCIV,
541; Clavis, 1129.
[20] P.L., VII,
870-1.
[21] DRUMBL, Quem
quaeritis, cit., p. 313.
[22] Le rubriche
specificano le direzioni dalle quali i Magi provengono, in merito
si vedano anche le tradizioni di Bilsen e Györ.
[23] DRUMBL, Quem
quaeritis, cit., pp. 43- 45.
[24] Questo rito
è menzionato da Senofonte ed è già usato nella corte
imperiale nel tardo impero romano: come noto la liturgia cristiana
è ricalcata anche sul cerimoniale imperiale (MICAELA SORANZO,
«Siamo venuti per adorarlo». Iconografia
dell’adorazione dei Magi, in «Vita Pastorale»
12, Dicembre 2004, on-line http://www.stpauls.it/vita/0412vp/0412vp26.htm).
[25] COHEN,
Histoire de la mise en scène (opera segnalata dal
citato KONGSON, Lo spazio del teatro nel Medioevo, p.
28).
[26] KONGSON, Lo
spazio del teatro nel Medioevo, cit., p. 30.
[27] Ecloga
IV, 4-5.
[28] Eneide,
VIII, 114-117.
[29] Protovangelo
di Giacomo (I Vangeli apocrifi, cit., p. 23).
[30] DRUMBL, Quem
quaeritis, cit., pp. 82-83.
[31] Madrid,
Biblioteca Nacional, MS 289, cc. 3v-4r,
Palermo, Cappella Palatina, XII secolo, edito da YOUNG, The
Drama, cit., vol. II, pp. 59-62.
[32] DE COUSSEMAKER,
Drame liturgique du moyen âge, texte et musique, Paris,
1860 (segnalato da FEDERICO DOGLIO, Erode furente e i Magi
cristiani, dall’Officium stellae alle laudi drammatiche
perugine, in Atti del IV colloquio della Société
Internationale pour l’Étude du Théâtre
Médiéval, Viterbo, 10-15 luglio 1983, a cura di
Massimo Chiabò, Federico Doglio e Marcell Maymone, Roma,
Ministero per i Beni culturali ed ambientali, 1984, pp. 17-42:
36).
[33] I Vangeli
apocrifi, cit.: Protovangelo di Giacomo, XXI, 1-4;
Vangelo dell’Infanzia armeno, XI, 1-22.
[34] Descrizione
francese della processione dei Tre Re, Liber Coerimoniarum et
Officiorum divinorum quae fiunt in ecclesia Sancti Stephani
Bisuntini, stilata da Francis Guenard, sacerdote di Santo
Stefano, nel 1629; edito da YOUNG, The Drama, cit., vol. II,
pp. 434-435.
[35] GIULIO CATTIN
– ANNA VILDERA, Liber Ordinarius ecclesiae paduane, 2
voll., Padova, Istituto per la storia ecclesiastica padovana, 2002
(Fonti e ricerche di storia ecclesiastica padovana, 27), 81, d.
[36] Genève,
Bibliothèque Publique et Universitaire, Cod. Lat. 38b, cc.
35-40v, segnalato da DOGLIO, Erode furente, cit.,
pp. 39-40.
[37] cc.
38v-39r.
[38] GIUSEPPE VALE,
La cerimonia della spada ad Aquileia e a Cividale, in
«Rassegna Gregoriana», 7, 1908, pp. 27-47.
[39] EMIDIO
PAPINUTTI, Il processionale di Cividale, Gorizia, Ed. di
«Int Furlane», 1972, pp. 87-88.
[40] Ludus regis
herodis aquileiae. Si veda ZOPPI, Inventario della chiesa
patriarcale di Aquileia, in «Archivio storico per Trieste,
l’Istria e il Trentino», IV, 1844-86, p. 63 (segnalato
da VINCENZO DE BARTHOLOMAEIS, Origini della poesia drammatica
italiana, Torino, SEI, 1952, p. 56 e VALE, La cerimonia
della spada, cit., p. 37).
[41] RAMÓN
MENENDÉZ PIDAL, Textos medievales españoles,
Madrid, Espasa-Calpe, 1976, pp. 169-177 (testo segnalato da
LÓPEZ FRANCISCO ESTRADA, Nueva lectura de la rapresentacion
del nacimiento de nuestro Señor, in Atti del IV
colloquio della Société internationale pour
l’étude du théâtre médiéval,
cit., pp. 20-86: 23). L’Auto fu scoperto alla fine del
Settecento e pubblicato nel 1843 da Amador de los Ríos.
[42] La
letteratura Romanza medievale, a cura di Costanzo Di Girolamo,
Bologna, il Mulino, 1994, p. 315.
[43] SILVIO
D’AMICO, Storia del teatro drammatico, 4 voll.,
Milano, Garzanti, 19706, vol. I, p. 242.
[44] Krakow, Bibl.
Jagellone, 3361, c. 11r, segnalato da ELEONORA UDALSKA,
Les mystères polonaises dans le théâtre de
Kazimierz Dejmek, in Atti del IV colloquio della
Société internationale pour l’étude du
théâtre médiéval, cit., pp. 589-600:
591.
[45] Krakow, Bibl.
Jagellone, 4551, c. 4v, anonimo latino del XII secolo,
segnalato da UDALSKA, Les mystères polonais, cit., p.
592.
[46] Zagreb,
Archivio Capitolare, cod. MR 165 cc. 28v-30r,
edito da DRUMBL, Quem quaeritis, cit., pp.
319-320.
[47] DRUMBL, Quem
quaeritis, cit., pp. 294-295.
[48] DOGLIO,
Erode furente, cit., p. 279.
[49] Einsiedeln,
Stiftsbibliothek, Fragmenta liturgica, Ms 366, (olim 179), pp.
53-55.
|
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