Si tratta dell'abrupto passaggio dal
canonico ABA, BCB, CDC..., cui ci si attiene fino al v. 33,
all'ABC, BCD, CDE..., introdotto al v. 34, e non più dismesso
fino alla fine (v. 358); per ottenere il quale, "padre", ad es.,
esige il dileguo iperleniente della dentale, sia in 88, sia in 116,
sia in 296: qui, per rimare, ad un tempo, con "alçare" 298, ed
apofonizzare con l' "-ere" 294; una sorta di omofonia incoativa (od
anacolutica) sembrando legare "messo" 252 e "-mente"
254; il che, comunque, vieta (con quanto si dirà a proposito
delle due riprese rimiche conclusive) la posposizione di 250 a
detto 252; tanto più che l'entrebescamen è, qui,
endemico; se il, proletticamente remoto, "primo", 296-97, va con
"padre...et pastore"; così come l', inversamente
omeòtopo, "novello", 302-4, con "proconsulo".
Niente di simile, in ogni modo,
né nell'hapax – rispetto agl', invece, pedissequi
apografi ricordati da Gorni, Sull'origine della terzina...,
in "Metrica": Pucci, il Boccaccio della Caccia, di Amor
che con sua forza, Contento quasi, La dolce Ave
Maria e, non contando gl'inserti dell'Ameto, dei canti
XL-XLIV dell'Amorosa visione; nonché i capitoli del
Libro sacchettiano – ABA, CBC dell'Acerba,
raddoppiante, 'in cornice', anziché il nucleo, l'incremento;
né nei neo-utilizzatori quattrocenteschi del ternario, ibidem
studiati da Domenico De Robertis, L'ecloga volgare come segno di
contraddizione, e da Roberta Conti, Strutture metriche del
Canzoniere boiardesco, I.6: Il ritornello e la terza
rima: Leon Battista Alberti, Giusto de' Conti e, appunto, lo
Scandianese. Eppure un modello inchoante potrebbe scorgersi nell',
indeclinato, (C)DC, DC(D) del Fiore; in quello
del LXXVII a Forese e del CXI a Cino; 'aperto', magari,
sull'epitesi ...EE del Dietro al pastor d'Ameto di
quel Boccaccio; mentre G. Parenti, nell'Antonio Carazolo
desamato di SFI XXXVII, 1979, p. 233, dà – con
dantesche canoniche in 145 e 149; CDC,DCD,dEE
in 194-95 – l'invece palindromo, o 'repercusso', ABA,
BAB, AB di Volesse (la) mia fortuna ch'io
tornasse: XIIbis [Galeota].
L'autore – sebbene detto Braid.
sia adespoto, complessivamente anepigrafo ed a-colofonico –
è certamente il fra Filippo della Strada di
Segarizzi[1] e
Novati.[2] Il primo
ne verificò, peraltro, la presenza, come compositore, solo
attraverso sue precarie invasioni di allotrii codici marciani; e ne
evinse che "non osasse credere duraturi i suoi componimenti"; "e,
quindi, neppur stimasse opportuno riunirli in appositi volumi"; il
secondo, invece, ne scoprì, ora scisso nel 1213 della
Riccardiana e nel Campori 171 (quindi, Estense gamma V 5, 19), un
suo, esclusivo, "zibaldone". Che avrebbe detto, se avesse
conosciuto il nostro elegantissimo, e, qua e là, sapientemente
alluminato, nonché, altrimenti da codesti spezzoni,
perfettamente conservato, ms.; che la Braidense avrebbe acquistato,
in un'asta privata, molti anni dopo? Ms. che, per quanto rileveremo
sùbito infra, va, direi, ritenuto altresì autografo; al
che non credo possano ostare – nella, non inaudita,
duplicità dei piani grafici; e, nella fattispecie [vedremo
infra], altresì linguistici – le eccedenze: qui, corsive
in tonde. Suddetta identificazione, la garantisce, soprattutto,
direi, la conferma della sottotitolatura novatiana, ivi fornita dal
Damnantur omnino stampatores [non diacriticamente![3]] inhonesti di 2r,
dal Vicia, per stampatores, increverunt ubique di
2v,[4] nonché dal
Contra libros impressos, admonitio di 124v;[5] e che questo non dicesse
anche per invidia (cosi una postilla alla seconda anta di n. 4)
costituisce mera excusatio non petita (non altrimenti che
rutiniera humilitas si dà, qui, ai vv. 19-20; mentre
l'iperbato di 22, che la smentirebbe, è escluso dall',
Ad...Principem Pêsauri, prohemium in vitam sanctorum
Germani et Decentij miram, di cui infra; anzi, proprio,
"Decent(io et), German(o), con animi eleganti,/
perfettament(e) lassoro(n) ogni creato", ivi, La
passione, 28-29; ancorché, in 13v, occorra una
Sequentia ["Omnis doctus pangat laudes;/ in hac die, promat
voces:/ causa datur gaudij"] sanctorum predictorum pulcra;
ed, a 39v, addirittura, Opus incipit elegantissimum, apposto
al De comparatione vitiorum inter se: quod eorum sit
gravius) come emerge dalla definizione segarizziana; che, a pp.
7-8 ne documenta, del pari, l'abilità di miniatore.
La palestra di, tanto rigoroso (a
fronte dell'anarchia degli excerpta di n. 4), scarto
eterodosso, 'umiliato', nei vv. 15-21, ai figli di quell'"Alexandro
[Sforza]" con il cui In funere [Ferrara, 3 IV 1473] il ms.
si apre, consiste nel martirologio, in flashback (si
comincia, infatti, col tripudio pel ritorno delle loro reliquie in
Pesaro), di Decentio e Germano, già vescovi di quella
città; che una passio due-trecentesca (Bibliotheca
hagiographica latina antiquae et mediae aetatis, I, p. 319,
n°2115), scarsamente attendibile, pone nel IVin.; L.
Lanzoni, Le diocesi d'Italia, dalle origini al 604,
"Studi e testi" 35, invece, almeno quanto al secondo, dichiarandosi
non documentato sul primo, da, comunque, dissociarsene, nel 499;
mentre, se l'alternarsi, epifanicamente apostolico, di [S.]
Giovanni [Silenziario] – 71-79, 83-136 – e S. Ciriaco
– 239-52 – ("li inviati [/ ''l...messo', quel 252]) /
ad Dio" [idiosincraticamente prediletto – ad es., in 188-89 e
235 –, rispetto al "da" di 3 e 73; laddove la prima
articolata di 9 starà, in tautologica ipercorrezione, pel
segnacaso genitivale; omonimia dandosi in 21, 54-55, 85, 90, 130,
182-83, 262, 292, 306, 344-45], 255-56) porrebbe, qualora
originale, come terminus post quem, la redazione, da parte
di Cirillo di Scitopoli (514-557), delle loro biografie; la
presenza sia del Massimiano (vv. 35-52 e 269-70) post-dioclezianeo,
sia (in 9 ed 80) del santo Papa Cornelio, vescovo di Roma
dall'aprile 251 al giugno 253, porta, quandanche incoerentemente,
ben più indietro.
Prendi alegreça, o Pesaro
sì bello!
|
. |
Hor(a), vui,
felici, alti Segnor(i), diretti
|
|
da Dio ^ ad
regèrl(o)! Tenet(i ) caro, el
çoiello!
|
|
Questo, 'çoiello', io dico:
li corretti
|
|
vos(tri)
citadin(i), chi aveti in saldo
scutto
|
5 |
contra i nimici,
(per)ché ve sonno astretti.
|
|
Dapoi teneti ciò che
excede il tutto:
|
|
corpi de (santi ) martiri,
provati ad mano
|
|
dal santo papa, et dal
luor proprio frutto.
|
|
Dico Decentio co(n e)l
fratel Germano;
|
10 |
le osse dî qual(i )
so'(nno ) in màrmoro intagliatto;
|
|
le anime, in (li )
ciel(i), fruissen(o ) Dio
Soprano.
|
|
Questo me par(e) motivo
avantagiatto
|
|
di rillegrarsi, Pesar(o),
col Segniore.
|
|
Tutt(i ) possidenti tal
tesaur(o ap)preciato,
|
15 |
vui,^ illustrissimi, digni
de ogni honore,
|
|
nati, chi
se'(tti), del Principo
potent'e
|
|
nobil(e a)Lexandro;
habiati per amore
|
|
questi verset(i ) del
picolo servente
|
|
frate Philip(po ) de
l'Ordin(e ) predicante;
|
20 |
benché,^ ad vos(tro )
gusto, non sia, lui,^ eloquente.
|
|
Son(no), per rima, de la
ystoria elegante
|
|
dî vos(tri ) santi,
che honorati con fede,
|
|
Decent(io et), Germano, in
vostre chiese sante.
|
|
Co, ssi faceti,^
(n)on perirà mercede,
|
25 |
del vostro culto fatto ad li
diletti,
|
|
del richo Ducha Yhu (Xpo),
chi, qua, vede;
|
|
perché lo sangue, fu, tra'
vos(tri) destretti,
|
|
de questi martir(i),
sparso santamente.
|
|
Segnior(i) di
Pesar(o), d(ov)êti star ben
letti!
|
30 |
Non me dets mino stender
vanamente
|
. |
in adulare le grande
excellentie
|
|
che sonno in vuj,
perché lucen(o) patente.
|
|
Jn div(in)o adiutto,
dirò le (sante) prudentie.
|
|
Morto che fu, lo crudel<e>
serpente:
|
35 |
<l'>imperator<e>,
ditto Diocliciano,
|
|
vienni il (peggiore!)
süo succedente:
|
|
questo ebbi <'l>
nomme <di> "Maximïano":
|
|
sopra di Roma, tene(v)a lo
bastone
|
|
comme segnior(e); ma era
pur tyranno.
|
40 |
Feci precetto, con
indignatione,
|
|
che, nel suo regno, trovat', i
xpi'ani,
|
|
comme rebelli, avessin(o)
punitione.
|
|
Chi non volesse, de li suoi
pagani,
|
|
persequetare li amici de
Christo,
|
45 |
tra le pregion(e),
stasessino in affanni.
|
|
Non ne cavava, (i)'l
governator tristo,
|
|
fuora di pena, alcuno, per
amore,
|
|
che, lui, portass(e); per
odio, d'(e) ira, mixto.
|
|
Fatto ch'(el) ebbi tal
criddo de tremore,
|
50 |
sparsi lo sangue de la
ma'(dre) carnale;
|
|
et de la sor(ella),
perché ^ era(no) in fé(de)
megliore.
|
|
(de)Li bon
frate(ll)i, de Anglia, originale,
|
|
Decent(io e), Germano, ad
la cità romana,
|
|
se approximar(o), di tutto
cuor liale.
|
55 |
Il desider(io) de la
doctrina sana
|
|
tràssili in via; ed, ecco,
già alloggiati,
|
|
stàveno intenti, per
la gente urbana:
|
|
consideraven(o) s'el ie
fi(ce)ven fatti
|
|
dechiaramenti per alcuno,
orante
|
60 |
qual culti, in Dio,
fosseron<o> più gratti;
|
|
de yhu xpo, s'(el)
iera alto regnante;
|
|
ne l<a> (ventre)
virgin(ale), descieso per virtude
|
|
del Spir(i)to, (in la
madre,) per la gratia inobumbrante;
|
|
se veramente ello ebbi pene
crude
|
65 |
da li giudeï, et ch'el fusse
quello
|
|
che li propheti dice(sse)n
dar salude.
|
|
Stando, li santi, per vedere el
fello
|
|
Maximïano, su la piaça,
attenti,
|
|
dil tempio d'(e ) Iove,
parvegli un çoiello.
|
70 |
O quanto riesi li animi
contenti,
|
|
lö indicibil(e) dono
destinato
|
|
da Dïo grande ad li homini
serventi!
|
|
Il venerabel
Giovàn(ne), consecrato
|
|
prè(tte) di xpo, chi
sepeliva assai
|
75 |
corpi beati, se
fe'(ci ) palentato.
|
|
Non se scopriva prima, per li
guay
|
|
dati ad li iusti da li
renegati
|
|
executor(i) del rio che
fusse may.
|
|
Santo Cornellio papa, in li
atterrati
|
80 |
luogi,
stase(v)a, per far confortamenti
|
|
ad xpiani, per tutto
dissipatti.
|
|
Incominçò,
(es)sendo tutti presenti,
|
|
Giovàn(ne), con fermo
tenor(e), de parlare:
|
|
pander misterij de xpo ad le
genti.
|
85 |
Decent(io),
tochà'(to) per lo digno arengare,
|
|
disse al dottore Giovanne: "O
messere,
|
|
di'-mme che cossa è xpo con
el Pa(d)re!"
|
|
Presto risposi: "O nuovo
cavaliere,
|
|
molto animoso te fai ad la
entrata!"
|
90 |
"Sè-i tu, Segniore,
il quale habia ad temere?
|
. |
Non te turbare, o Padre, de la
fatta!
|
. |
Ad te dimanda", disse, "el
supplicante;
|
|
perché, tal causa,^
(n)on è da ment(e) <'n>durata.
|
|
Avemo entes(o), da gente
predicante,
|
95 |
che non è vera l'(a)
adoratïone
|
|
fatta ad le ymagin(e)
d'(e) Iove fulminante.
|
|
nui le
adoràvem(o) con altre legione
|
|
de sculpti deï; ma, hora,
entendiamo
|
|
che, sença senso, sonno, tal
fictione.
|
100 |
Xpo yhesù, nuï
desideriamo
|
|
bene sapere, s'El iè
veramente
|
|
Dio perpetuo; e, per
questo, caminiamo.
|
|
Non son venuto, col
frate(llo) presente
|
|
mïo diletto, Germano, per
fame
|
105 |
de aquestar robba, (n)e
segnioria potente!
|
|
Solo salute di l'Etern(o)
Reamme,
|
|
ne sïa data, con la ritta
fede;
|
|
et renegar(e) le
mal-trovatte tramme!".
|
|
A-, 'l
du(tto)<c> Giovàn(ne), -la,
digna di mercede,
|
110 |
affectïon(e),
tòi tanto peregrino
|
|
con allegreça:
(sé) ie mostrò la fede
|
|
ove el mançavä;
ove il padre, inchino,
|
. |
li dui frate(gl)i
condussi ad habitare
|
|
sieco, in amor(e),
(per) dui anni, co(n e)l latino.
|
115 |
Oltra dui anni, tri mesi,
co(n e)l pa(d)re,
|
|
se dimorò<ron>, quella
compagnia;
|
|
sempre emparando, la fede,^
(d)a adorare.
|
|
Nel primo annö, ogni
pagania,
|
|
fuora di mente,
paròron(o), (i) devotti.
|
120 |
Servi de Dio,
batteçati in fe'(de) pia;
|
|
molto, in çeçunio,
erano derrotti;
|
|
sì che smortitti
pare(v)eno in colore.
|
|
Per la citade,
ensegnaven(o) li indotti;
|
|
per suo mezo, lassato fu lo
errore
|
125 |
d'(e la) ydolatria, per
molti convertitti
|
|
ad yhu xpo, con, pien(o),
cuor, de amore.
|
|
Poi che fornitti furon li anni
ditti,
|
|
al pa'(dre)
Giovan(ne) dimandòron licentia
|
|
de ritornare ad la patria
(ben) peritti.
|
130 |
Non ie la volsi, il
vèggio, di prudentia,
|
|
con pertinacia, negar(e);
ma, piangendo,
|
|
per grande amor(e),
lassò la luor presentia.
|
|
Disse, lo padre: "Andati
dispergendo
|
|
il bono odorë, o figliuoli
cari,
|
135 |
del vero Dio!".
Basògli ben(e)dicendo.
|
|
Principiato il camino
(<i> dui, <a> pari),
|
|
disse, Decentio: "O, volesse il
Dïo
|
|
vero che nui non se
troviamo avari
|
|
del dono avù'(to) per
summo precio pïo!
|
140 |
La nostra gente possiam(o)
convertire
|
|
ad adorar yhù com(me)
tu fai ^ et ÿo!"
|
|
Disse Germano: "Non te
sbaguttire!
|
|
Tutto, il Segnior(e)
farà perfettamente,
|
|
se il Suo don(o) non
av(e)remo ad impedire".
|
145 |
Entròn(o), li
sant(i), (i)'n una terra scredente,
|
|
che "Saturniana" era
nominata,
|
|
(per)ché ydolatrava
ad Saturno insipiente.
|
|
Quand(o)
vederon(o) tal cativa bugatta,
|
|
li dedicati al culto
benedetto
|
150 |
del vero Dio,
cridor(o)no ad la brigatta:
|
|
"O mentecatti, o senza
alcun(o i)'ntelletto!
|
|
O sciaguratti, o gente
bestïale!
|
|
perché adorati
(vui), êl demon(io) maledetto,
|
|
quello che spetta al Re
Celestïale,
|
155 |
de l'universo, solo
Crëatore?
|
|
Paçi da ceppo, (da)
setti! ^ (ad) ^ Homo infernale!
|
|
(presto) Risposino,
li stolti, con furore;
|
|
de que'(gli)
témpij, ministri indemoniati:
|
|
"Quale è, quel Dio,
del tutto, Causatore?"
|
160 |
Li santi, ad quegli, con volti
irradiati,
|
|
testificor(o)no: ^ "El iè
Uno Potente
|
|
Principio! (chi)
Regna so'(pra) i Celi (et) beati;
|
|
ha generato de Sé,
eternalmente,
|
|
Verbo et Figliuolo, poi fatto
Humanato
|
165 |
per lo Suo Spir(i)to: de
Vergen(-madre), nascente".
|
|
Poi che fornito fu lo
intemerato,
|
|
de' santi ^ huomin(i),
parlar di brevitate,
|
|
furon(o) priesi ^
et, un(o) con' l'altro, ligato,
|
|
posti in pregion(e),
più scura cha, tocate
|
170 |
da la caligin(e),
katen(e) ruçenente.
|
|
Con festinantia,
màndeno ambassate
|
|
ad Maximianö: "O Segnior
valente,
|
|
sappïj: dui avemo in la
pregione
|
|
(per)che
desprèçeno el culto de le gente.
|
175 |
Fa'-nne avisati de la tua
ragione,
|
|
determinante ciò che habiamo
ad fare:
|
|
Nui serviremö ad tua
iussïone".
|
|
Manda, il Superbo, questo tal
parlare:
|
|
"Voglio che posto ie sia ^
una lectura,
|
180 |
che düe parte ie ^
habia ad assignare:
|
|
o, comme amici, fàcino
cultura
|
|
ad nostri Deï, forti e
prosperosi;
|
|
o sien morti con pena
molto dura".
|
|
Li ambassatori, fatti
gaudïosi,
|
185 |
vengon(o) dicenti, ad li
ministri brutti,
|
|
tutto il mandato contra i
glorïosi.
|
|
Venni lo çorno,
expettatö ad tutti
|
|
cani crudeli, di fare il
cruciato
|
|
contra i 'nnocent(i), chi
in mezo furon dutti,
|
190 |
'nançi la statua dil
Sol(e) fabricato.
|
|
Ditto ie fu:
facessin(o) riverentia;
|
|
un(o), con' l'altro, fu
presto inçenochiato;
|
|
de süa bocha, piena de
prudentia,
|
|
questa oratione ussì
patentremente
|
195 |
– notàtila,
vui, car(i), con (tuta) diligentia!
–:
|
|
"O Dïo ^ eterno, chi,^ ad
ogni servente
|
|
iusto, monstrasti immensa
largitate,
|
|
fa' ch'el Tuo Nom(me) se
temma, de presente!
|
|
Sïa speçata, con
velocitate,
|
200 |
questa perversa
fabricatïone,
|
|
dal(o) Demonio trovata in
falsitate!
|
|
Sïen cavati da l'(a)
illusïone
|
|
li scelerosi homini
adoranti
|
|
la crëatura che non ha
ragione!
|
205 |
Tu solo habïj laude con
canti
|
|
da la fattura ch'(e) hai
compaginato!
|
|
Rimangano sconfitti
(tutti) li arroganti
|
|
(i)ncontinenti!". Fornito
il bel dittato,
|
|
per mille peçe,
quell'(o) ydol(o) solare,
|
210 |
nançi dil popul(o),
fu spulveriçatto.
|
|
O, rabïata (troppo)
pacìa populare!
|
|
Furon di novo, (l)i santi,
religati:
|
|
tratti in le carcer(e),
per (suo) bene operare!
|
|
Poi furon messi in terra:
strassinati;
|
215 |
con dur(e) maçe di
ferro et molti sassi,
|
|
de parte in part(e),
più che pepe, pestati.
|
|
Oratïon(e), faceveno,
luor, lassi:
|
|
"O Dïo dolce, sie
nostro adiutore;
|
|
poi faça, l'uomo, de
nui, molti strassi".
|
220 |
Quando percossi furono in
furore,
|
|
non li potendo, (l)i
paçi, far morire,
|
|
li rimetter(o)no in
(lo) carcere et fetore.
|
|
Molti dil popul(o)
diceven(o) con ire:
|
|
"Grande, è, lo Dio,
di questi boni amanti;
|
225 |
che non ie lassa, in
tant(e) pene, smarrire!"
|
|
Ad la pregion(e)
vegnieveno, observanti
|
|
quel(lo) che, afflitti,
dicessen in secreto.
|
|
De sua bochä, ussiva laude
et canti;
|
|
non già pare(v)a che
avessino ad dispetto,
|
230 |
dat', i martir(ij); ma,
dolce medicine,
|
|
ie parechiassen(o),
con gaudio et (con) deletto.
|
|
Molti, doppòï –
non conpiacentine,
|
|
ma fortemente –, xpo, bon
Segniore,
|
|
présino âmare,
indutti ad tal dotrine.
|
235 |
Quand(o) passato fu
'l(o) meço de l'horrore
|
|
nocturno, (l)i santi
présino riposso
|
|
de lo dormir(e), per
gratia del Signore.
|
|
Sença che l'usso
fusse tacto o mosso,
|
|
ecco Cyriàco
appàrvegli (i)'n visione.
|
240 |
Dìsse(gl)i: "Suso!
Levàtivi dal dosso
|
|
queste catene! I'(o) ho
(i)'mpositione,
|
|
dal visto Dïo, farve
liberati
|
|
da li ligammi, et da questa
pregione.
|
|
De lo martir(io) sereti
coronati.
|
245 |
Per via ritta, prendeti ad
caminare!
|
|
La (vostra) patria, per
miglior causa, lassati!
|
|
Ad una terra, posta sopra il
mare,
|
|
vui, andaretti:
Pésaro se dice".
|
|
San Cyriàco, chi
diàcon(o) fui da altare,
|
250 |
furon(o) prompti, li
fanti, ad la felice
|
|
directïone fatta dal bon
messo.
|
|
Levoron suso;^ e(t) ^ ogni
ligamme et lice
|
|
non ie ^
empeçava che (non),
liberamente,
|
|
da la pregione (a parte li
invi(t)ati
|
255 |
ad Dio bono) ^ andasseno
(i)'ncontinente.
|
. |
La devotissima ^ oratione,
grati,
|
|
de compagnia, diceveno in
camino:
|
|
"O Crëatore, per Te siamo
tratti!
|
|
Tu chi formassi il giorno
et lo suppino
|
260 |
aer(e), da le
tenebre, fuscà'(to), Tuo raço
|
|
manda ad li servi (i)'n
süo ^ adiutto fino!".
|
|
Fatto lo çorno con optimo
viazo,
|
|
vienni ^ uno incontra ad
li santi con fede,
|
|
che se profersi con
(tuto) bon<o> coraço.
|
265 |
Era fugitto da Roma; et
rechiedde
|
|
che non
riffùtan(o) la sua povertade,
|
|
po' che, bona, ie
sarà, Sua mercede.
|
|
Maximïano, per sua
crudeltade,
|
|
fatto fugire lo ave(v)a
con paura.
|
270 |
L'(o) acceptòrono con
alacritade;
|
|
lui li condussi, sença
alcun(a) sciagura,
|
|
ad la cità(de) di
Pesaro; lo quale,
|
|
vedù'(to) da'
santi,^ ie fe'(ci) mente secura.
|
. |
Se fécin(o) la
croce, et dìsseno: ^ "O,^ Equale
|
275 |
in Tre Persone, Summa
Deitade,
|
|
da'-nne ad soffrir(e), con
l'an(i)ma rationale,
|
|
tutto che porgia lä
impïetade
|
|
de l'Inimico del Ben(e),
confinato,
|
|
con suoi sequaci, in fiamme
interminade!".
|
280 |
L'(o) allogiamento ^
ébbino (i)'n luocö apto
|
|
ad ogni santo parlar(e),
ne la casa
|
|
d'(e) una
védo(v)a de cuore amaëstrato.
|
|
Lei, syriaticä, era
persüasa
|
|
da' xpïani non
abandonare
|
285 |
lo iusto xp(o), con
carità non rasa.
|
|
Era (i)'l destrettö,
ove (i)'l dimorare
|
|
la donnä ebbi, ditto
"Potentino":
|
|
già se cominça il forte
raggionare.
|
|
In quel(lo) tempo
giudëo,^ ogni meschino
|
290 |
ydolatrante
stase(v)a di brigata:
|
|
non se guardaven(o): tuti
^ era(no) ^ ad bottino.
|
|
Li dui frate(ll)i, de la
mente infiammata,
|
|
diss(e)<a>minaven(o) la via da
tenere.
|
|
Molti – <'l>
credéveno! ^ –,^ entrand(o 'n) bona
strata,
|
295 |
lo, primo, ditto Decentio,
(i)'n suo pa(d)re,
|
|
ad una voce,
elèssino, et pastore:
|
|
vesco honorato, digno dä
alçare.
|
|
Priesi lo pondo per
divin(o) timore,
|
|
non per superbia; et, lo suo
fratello,
|
300 |
feci diacono: il
popul(o) fu megliore.
|
|
Tarso scelesto,
proconsul(o), rebello
|
|
di Yhesu Xpö, era,
(i)'n quellä hora,
|
|
per sua sorte, so(p)r(a
di) Pesoro, novello.
|
|
El fu citato da (la) voce
canora
|
305 |
andare ad Roma, per render
ragione
|
|
ad lo imperante di süa
dimora.
|
|
Gionsi, il pervers(o):
fatto examinatione
|
|
del suo regger(e), rimasi
troppo bene;
|
|
onde, per gloria, feci
accusatione:
|
310 |
"Sappij,
Segnior(e), ch'el populo che tiene
|
|
lo tüo servo, ad tuo ^
honor, diretto<re>,
|
|
fatto së ha uno vesco chi
viene
|
|
da longa via, et è
adoratore
|
|
de quel(lo) Xpo chi fu
morto et sepulto.
|
315 |
Non l'ho
potu(t)o ritrar da tanto errore!".
|
|
Maximïan(o), como
animale stulto,
|
|
presto, commanda, che,
dillanïato,
|
|
sia chi, ^ ad Iove, non
renderà suo culto.
|
|
Tars(o), sollicito, poi
che fu arrivato
|
320 |
dentro (di) Pesaro, feci
presentare
|
|
(il) Vesco ^ et
dïaco(no),^ et dissegli adirato:
|
|
"Od esperti(ssimi) del
vostro conversare,
|
|
uno dei dui faceti di
presente:
|
|
adorà'(ti) Iove!
O(ver) farò-vi stentare".
|
325 |
Li boni servi del
Supern(o) Regente,
|
|
sença pavura del superbo
cane,
|
|
disseron: "Ad tua posta,
fa' (ciò) ch'(e) hai (i)'n
mente!
|
|
Nui non volem(o),
per queste ymagin(e) vane,
|
|
fatte di pietra, o(ver) de
cossa creata,
|
330 |
lassar il Dio de le
creature sane".
|
|
Feci precet(to),
quell'(a) anima ^ obstinata,
|
|
ch'e' dui frate(ll)i,^
ascostamente, di notte,
|
|
fuora di Pessor(o),
fornissen(o) l'andata;
|
|
con
deputa(t)i tormenti, et dur(e)
ballote,
|
335 |
je fusse prèsso ^
ogni nervo et giontura;
|
|
et, con le pietre, tute
l'(e) osse rotte.
|
|
Li corpi luoro, sença
sepultura,
|
|
non ie lassassin(o)
sopra de la terra;
|
|
ma li abissassin(o)
nel mar(e) senza cura.
|
340 |
Non altrament(e), la gente
che sempre ^ erra,
|
|
feci cha detto haveva quel
marasso.
|
|
Furono morti;^ e, pöi,^ il
mar ie ^ afferra
|
|
senza dimora: li giettò ad
un sasso,
|
|
in pe' dil monte, et ad costa
d'(e) un rivo,
|
345 |
"Gellica",
chiamà'(to); et ecco il suo passo:
|
|
Lo sequent(e) giorno, per
divin(o) motivo,
|
|
(tuto) il processo fu noto
ad pesaurése.
|
|
Tarso, dal popul(o), fu,
del viver(e), privo;
|
|
trenta dî suoi cavalier da
defese
|
350 |
furon squartati; et, per terra,
giettati
|
|
alti palacij,^ e(t) ^
annetato il paëse.
|
|
Li xpiani, li santi
ritrovati,
|
|
con grandi honor(i),
meterono in çentili
|
|
sepolcri, de bel marmor(o, ad
dui) preparati.
|
355 |
Fuor(a) di la terra,
sonno, questi çi(g)li;
|
|
in santo luoco di
Camaldulese:
|
|
mon(a)ci da bene; di
Romualdo, fi(g)li.
|
|
|
|
1. Poi, 30;
in rastremazione aristocratica. – 31. S'ipotizza una base litotica
DECET (la -s sta, miniaturizzata, in interlineo); mentre, la
pan-settentrionalità di basò, 136, si rastrema
nella settentrionalità occidentale (più esattamente,
lombarda) di vèggio, 131 (< VET(U)LU > VECLU).
– 91. Al posto
dell'inerte attualizzatore, si potrebbe ipotizzare un milanese
(cfr. Rohlfs, § 549) -t: prolettica ènclisi
soggettuale morfemizzata. Ma, forse, il verso ("Séi..."),
anticipa, semplicemente, in NUM..., il seguente invito. – 92. Il crudo
departicipiale di fari allude a 87-88. Lo dimostra la,
motivata, riverbalizzazione dàtane a 101-3. – 110. Per probabile
contaminazione d'un meteplastico *duc(o) (rispetto al
"Ducha" di 27) col "dottore" di 87; se non a prolessi sinonimica
(lo farebbero pensare il "dutti" di 190, l' "indutti" di 235) del
"messo" di 252; a tmetizzare, comunque, l'articolata causale ('in
risposta a [tanta]...'); fra la quale, ed il suo referente
sostantivale, s'interpone, a sua volta, la connotazione consecutiva
(ritorna il rimante di 25, poi a 268) di questo. – 113. 'condiscendente'
("cernuus", in effetti), 'amorevole'; attuante l'invito ad Amore
del II dell'Arcadia: "...che ti dichini a farmi compagnia".
– 256. "...in
Continente" (ma vedi 324), se "de Anglia" (53): "la patria"
("viene", infatti, "da longa via", 313-14) alla quale
"dimandòron", bensì, "al padre Giovanne", in 128-132 (ed
ottennero), "de ritornare" ("O, volesse...Dio,/ [...] la nostra
gente, possiam convertire...!", 138-42); ma, senza, pare,
raggiungerla, si fermarono "in una terra... / che 'Saturniana' era
nominata" (146-48); donde, incarcerati, li trasse, appunto,
Ciriaco; il cui "la vostra patria...lassati!", 247, potrebbe valere
'rinunziate a raggiungere'. – 274.'...li
rassicurò'.
|
Costante coerenza
dantesca, per contro, nell'esplicita Passione [vi
s'accennava supra] de Decentio et
Germano di 38v-39r; dove, nonostante
l'allineamento su due colonne, che frange irrazionalmente i versi,
le terzine sono scandite dagli stessi segni paragrafali in minio
del nostro testo; sfraghisticamente condivisa, essendo, comunque,
da tutti i capitoli del frate (marciani come riccardiani o
braidensi) altresì l'irrelazione dell'ultima B (o assenza del
"verso relevado" del Baratella), relata, invece, proprio (e solo)
– s'è visto alla n. 4 dell'Introduz.; dove si dà
altresì lo stretto omologo dell'anomalia del bi-terzetto
precedentela – nella nostra Leggenda!
L'ulteriore
fattore congiuntivo fra il "Frà Filippo" marciano
(dimessamente intrusivo), il riccardiano-estense (cosciente, per
contro, d'una sua autonoma dignità), e quello braidense,
consiste, peraltro, nell'iterazione bilingue. Come, infatti,
l'avversione alla stampa occorre, ad es., sia nel Marc. lat. III
170 sia nell'it. I 72 (entrambi, 1r); quella ai Francesi, sia nel
'verso' di quel lat., sia nell'it. I 70, 3r-4r; mentre, dei due
componimenti (Il ricetto iocondo e l'Ad
peritissimum...graecae orationis atque latinae) esaltanti il
ritorno di Andrea Morosini dal capitanato di Cipro, che il Novati
rinviene nel 1213, "il secondo è quasi una semplice versione
del primo" (pp. 121-22 n. 3), e la "sfuriata" ...contra i
goliardi del 71v del Campori "egli tradusse anche in latino"
(p. 127 n. 4); così la nostra Legenda è preceduta
(4r-7v) da una prefata (s'è visto) Sanctorum passio; e
le tien dietro, dopo la Sequentia di supra, un Innus,
nell'ordine, ad essa affine ("Innum, fratres, dulci tono,/ pangant
ora, mentes ovent:/ festus diés, martirio,/
consecratur: gentes adstent"), ed un Epigramma in Germanum et
Decentium, "quorum corpora sunt, Pensauri, condita honore
magnifico"; ed, al Libellus contra avaros, 35r, segue una
Expositione vulgare de li predetti versi., 35v-36r; mentre,
al Sopre il sepolcro del richo avaro, 37r-v, una
Expositione per vulgare de detti versi ("Non furono avari,
ma veri poveri, Decentio et Germano; de' quali séquita
breviato martirio", fungendo da tràmite, fra Optima regula
de conoscere avari e detta Passione). Inoltre, se
quell'it. I 70 è in distici baciati, altrettanto lo sono, nel
braidense, le Expositioni del psalmo Chi habita,
de la Ave, Maria, e de la Salve, Regina, in cui
ritorna lo sbaguti(t)re ("...tut'i spiriti
nieri - farà-lli s.", 201-2) 'laurenziano' del 143 della nostra
Legenda;[6]
nonché la relativa Antifona devota,
"Dio te salvi, de(l)i Cieli, alta Regina",
126r-127v.
S'accennava alle
numerosissime ipermetrie – emblematica, l'epentesi, di
potuo, 316, in "potuto", e di deputai, 335, in
"deputati"; mentre, in 356/358, si normalizzano, in "çigli',
rispettivamente, e "figli", i corimanti di "çentili" 354; cui,
d'altronde, s'aggiunge, in fase, miniantemente, revisoria, il
ritocco, in "-e", del "como" di 317; in "-j", del "Camaldulese" di
357; che, eccezionalmente, ripete, oltre al secondo e terzo rimema
della terzina precedente, anche il primo, fatto ultimo; forse per
evitare una 'baciata' con l'isolato conclusivo, simile a quella che
sarebbe derivata dalla 'posposizione' di cui all'inizio; la quale
avrebbe aggravato l'iterazione rimica 'a cornice' del
pattern canonico, contro cui sembra, appunto, reagire la
presente escogitazione. Che si tratti di approssimativi
maquillages toscaneggianti dell'Umgangssprache
lombarda dell'autore, lo proverebbero le occorrenze in cui, questi,
erano inesperibili, o restarono, di fatto, inesperiti.
Particolarmente òrrido, comunque, per un vagheggiatore delle
non lontane Prose, il sistema verbale. In cui, accanto allo
staseva 81 e 291,[7] che Rohlfs 551 trova
nell'a. veneto e nel romagnolo, s'affianca lo stasessino 46
del quale non mi constano riscontri; laddove fosseron(o), 61
rientra – rispetto, sia a dicessen 228 [da
'desigmatizzare', in 67], fornisseno 334,
parechiassen(o) 232, andasseno 256, sia ad
avessino 230, lassassino 339 ed abissassino
340 – fra le forme bi-desinenziate del Tristano
Riccardiano; cui fa riferimento Rohlfs nel § 560; che, nel
565, all'analogo fenomeno del perfetto – qui,
paròrono 120, dimandòron 129,
cridòr(o)no 151,
testificòr(o)no 162, levòron 253,
acceptòrono 271; accanto a vedéron(o) 149,
disseron 328, metérono 354 e
rimettér(o)no 223; piège
pseudo-singolare dandosi a 117 –, fa seguire la sostituzione,
anziché l'aggiunta, desinenziale; altresì presente nella
Legenda, mediante entròno 146.[8]
Luor(o) (9, 133, 218, 338; con quella finale,
allineata nell'ultima occorrenza, esponenziata, in micron, nella
prima), peraltro, accanto a nui (98, 101, 139, 220, 329) e
vui (2, 16, 33, 196, 249) – dui, 114-16, 137,
174, 293, 324, 333 e 355, con femm. due in 181, è,
invece, altrimenti, d'altronde, da tri 116, anche toscano
–, potrebbe far pensare – alla luce di Rohlfs,
§§ 74/79 – ad una – come dire? –, non
improbabile, transconventualità del frate, ulteriore a quella
accertata. A ciò potrebbe indurre, non tanto il
facéti 25 e 324,[9] quanto quel che precede
al primo. Se la mia 'distinctio' è, ivi, legittima, v'avremmo,
infatti, un rarissimo (Rohlfs, § 486, lo trova solo "nel
dialetto dell'isolatissimo paese montano Gallo di Caserta") relitto
di co < quod pronome relativo. Mentre, se la
cediglia di "ie mostrò la fede / ov'el mançava",
112-13 ("li dui fratei condussi ad habitare / sieco", 114-15),
rappresenta, in effetti, la parte bassa d'una g, v'avremmo
il tipico fenomeno lenitivo, il cui confine settentrionale Rohlfs,
§ 257, fissa nell'isoglossa Monti-Albani-Ancona. Sospetto,
apparendo altresì – accanto all'iperbato "vui..., nati
chi setti..." , 16-17; nonché alla prolessi "...furono
prompti...ad la... / directïone fatta dal bon messo / san
Cyriàco chi diàcon fui...", 250-52;
più "...Yhu, chi, qua, vede", 27; anzi, "...chi
fu morto", 315; "Sapij...ch'el populo...fatto se ha uno vesco
chi viene...", 311-14; con altro a n. 9 –, sulla
scorta di quello stesso Rohlfs, § 486, il chi = quos
("...aveti in saldo scutto") di 5.
Di, giunte al GDLI
(che, da Boccaccio, Boiardo..., ha bensì il
ruggenente di 171; non, peraltro,
l'annettare, 'ripulire', di 352), il nostro frate ne
propone anche di tipo, diversamente dal bugatta di n. 9,
retrodatante: quale, non contando lo smortire di 123, il
sup(p)ino, 'destinato al riposo', inarcantesi da 260
a 261 ("Tu chi formassi il giorno, et lo suppino / aere, da le
tenebre, fuscato"; nemmeno qualitativamente indegno della "bianca
mezzanotte supina,/ il suo sospiro melodioso, esala" di Borgese
– "Povere notti supine!", invece Gatto –). Mentre
"...se feci palentato", 76 (scl.: *palantare [<
PALAM] X
palesare?), s'auto-chiosa nel seg. "non se scopriva
prima..."; così come "non compiacentine", 233 –
avverbializzazione di -ino diminutivo –, in "...ma
fortemente", 234; se compiacente 2, presso quel GDLI,
vale 'débole'; "...provati ad mano / dal...papa" (8-9),
invece, s'avvale dei "magistrati di maggiore importanza...si davano
a mano, a piacimento del papa", di B. Segni, Storie fior.: Vita
di Niccolò Capponi, ediz. Milano, 1834, p. 73, ivi –
dove, "avantagiata [qui, 13] e buona", è anche una
salsa – s.v. mano.
________________________
[1] Un
calligrafo milanese: estratto da "L'Ateneo veneto" XXXII (1909)
1 (Genn.-Febbr.).
[2] Ancora di
Frà Filippo della Strada: un domenicano nemico degli
stampatori, "Il Libro e la Stampa" V (1911) iv-vi
(Luglio-Dic.), pp. 117-28.
[3]
"Demonis instinctu, stampas venisse probabo".
[4]
"...ut, fera pestis / stamparum, toto, iaceretur, in orbe:
pudenda!/ Nam mores violant nimpharum; virgineumque / florem
mundicie defellunt; carne tenella / etatis prime iuvenum, quia
turpia discunt,/ pressa per has stampas, que nil linquunt
verecundum./ [...] Naso magis legitur, stampatus! [...] Flores
Francisci Petrarce luxuriosi,/ quis non, aut minimo precio, sibi
querat habere?/ [...] (Vhe, liber immundus!) Centum millena,
qui<s>, stupra,/ contra naturam, spurcissima, sculpta,
Tibulli?/ Sic perit omnis homo, qui, furibus omnis honesti,/
parcit, vel credit stampantibus; insidiose,/ ut totum carpant
aurum, luxuque sepulti / et vino, maneant, qui sculpunt queque
scelesta" ("Rident, stampantes; et, sine fine, lucrant nummos,
meretricibus attribuendos"); in cui immane l'insinuazione che "li
dacii del Commune" s'impinguerebbero "per malvasia vendutta ad
impressuori", giacché, "li stampatuori", "li vedon(o)
esser(e) valent(i) bevituori", contenuta in un
asimmetrico dittico polimetrico del Marc. it. I 72, 1r, che il
Segarizzi di n. 1 dà, in calce, alle pp. 8-12; così
strutturato: prima anta: ABAB, CDCD, EFEF; GF. // ABA, BCD,
CDB [cfr. infra], DBD, CDC, ECE; seconda: ABAB. // ABA, CDC,
EFE; alle quali seguono sei 'dantesche' (quattro, quelle con le
quali, nell'it. I 71, "giustifica la versione d'un
Quaresimale", ivi 16; due, le premesse al Fior di
virtù dell'it. II 133, ivi 17; otto, le presentanti, a c.
66 di detto riccard., ad Andrea Morosini, la versione del De
senectute: tutte non 'chiuse'; secondo una prassi
pressoché costante, nel frate; che rileveremo disattesa
proprio, ed esclusivamente, nella nostra Legenda; che,
all'eccezionale 'isolato' finale, fa, per di più, precedere
quanto sopra corsivizzato): FGF, GHG["...te ne farò derrata da
carbone"; "...compra libri in corba da carbone", D], HIH, ILI, LML,
MNM; quindi, OPO, QRQ, RSR, TUT, UVU; una quartina monorima; ed, in
fine, sedici distici baciati: unica forma impiegata, per contro,
nel Conseglio da appigliare ad Françesi dell'it. I 70,
4r-52r, ivi 14-15; su cui ancora, infra, a testo.
[5] "Ista lues
surgit noviter, turpissima, totis / urbibus".
[6] "Non te
s.!"; posto, invece, il "di paura sbaguttisco" di quel
'Ritmo', 18b; che l' 'Anonimo romano', presso Contini,
LI d O, p. 510, icastizza in "Lo tribuno, sbaottito, staieva
colli uocchi aizati a cielo".
[7] Ma
altresì staveno 58, come ensegnaveno 124,
faceveno 218 (da fieri, invece, "...s'el ie
[anche di 112, 131, 180-81, 192, 226, 232, 254, 268, 274, 336, 339,
343] fi(ce)ven fatti / dechiaramenti...", 59-60),
"Non se guardaveno" 292, dissaminaveno 294 —
nonché adoràvemo 98 —; analogamente a
pareveno 123, credeveno 295, vegnieveno 227,
diceveno 224 e 258; con, del pari, màndeno 172 e
desprèçeno 175, che Rohlfs, §§ 139 e
532, trova nella Toscana meridionale e nel Belli; ancorché
cànten sia, alla n. 6 di quel 532, milanese; mentre, in
fruisseno 12, -sko- > -sce-, consente, non
meno, allo stesso esito fonotipico settentrionale (cfr. Rohlfs,
§ 265) di ussiva 229, ussì 195, usso
239, lassa 226; presente, d'altronde, come in
strassinati 215 (REW 8837), così pure in strassi
220 (ivi, 2693); laddove, a nord, punta anche il "...che nui non
se troviamo avari..." 138-40.
[8] Anzi,
"...présino...": sia "... âmare", 235: servile
incoativo, in tele-polyptoton con ...prendeti ad caminare
246; sia, 237, "...riposso"; "se fécino la croce, et
dìsseno", 275; ébbino 281, risposino
158, elèssino 296-97.
[9] Nella
variante metafonetica, Rohlfs lo dà, nel § 531, all'
"antico emiliano", nel 546, al "calabrese"! A favore del primo
corno del dilemma, potrebbe militare la serie 'boiardesca'
teneti 3 e 7, honorati 23, adorati 154 e 325,
aveti 5 ed habiati 18,
d(ov)êti 30, set(t)i 17 e
157, sereti 245, andaretti 249, lassati 247,
andati... 134, notati... 196, levati... 241
("Diceti, stelle...", il 'mandrialis' 104, v. 31); mentre,
ad [egli] feci 41, 76, 274, 301, 310, 321, 332 e 342,
ebbi 38, 50, 65 e 288, fui 250, sparsi 51,
risposi 89 [quindi, risposino 158], condussi
... 114, volsi 131, venni 188 (ma vienni,
37 e 264 ["...viense" — con, addirittura, specifiche
occorrenze dittongali anche in arizotonia — è colto da
Rohlfs, § 86, nel montalese], come ...sieco 115),
gionsi 308, rimasi 309, "... se profersi...",
265, ma, ad un tempo, "rechiedde / che non
riffùtan(o)...", 266-67, s'oppone il tipo "Tu chi
formassi...." di 260, vastamente (Lazio, Umbia, Marche; ma
altresì — rispetto all'ipotesi di sonorizzazione
post-nasale, avanzata, infra, a testo — a. lombardo ed a.
veronese, Rohlfs §§ 568-69) esteso; nonché
tòi, 'accoglie', "con allegreça" di 110-12. Ivi
punta, d'altronde, altresì la bugatta di 149; se il
derivatone bugattara ricorre nel Bertoldo e
Bertoldino di G.C. Croce, ed. Emery, Firenze 1953, p. 151;
ancorché il lemma, che il REW, 6852, riporta al
pûpa in accezione entomologica, ricorra anche nel
genovese (bügata) e nel piemontese (büata).
Qui, "cativa b.", icastizza efficacemente l'idolatria
saturnina. Dittongati, risultano, comunque, col pronome di n. 7,
sia "...s'El iè [< '...s'el iera', 62]
veramente / Dio perpetuo", 102-3 ("El iè...", 162-66);
sia "O quanto riesi li animi contenti / lo indicibile
dono...!", 71-73; sia "furono priesi...", 169, sia "[Io]
priesi ...", 299.
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