Michela
Niccolai
Influenze pucciniane nella canzone d’inizio
secolo *
|
A Simonetta Bigongiari
A partire dalle esposizioni
universali di Parigi (1867, 1889, 1900) il gusto per
l’elemento esotico si era fatto strada in Europa attraverso
la letteratura,[1] l’arte figurativa[2] e la
moda.[3]
Anche il teatro in musica non fu estraneo a questi nuovi impulsi:
mentre inizialmente la componente esotica fu impiegata con la sola
prerogativa di dare ‘colore’ al dramma (si pensi a
Lalla Roukh di David o a Il Guarany di Gomes), in
seguito fu utilizzata per approfondire la trama musicale con
l’inserimento di temi originali. Dopo La
Princesse jaune (1872) di Saint-Saëns, (1893),
The Mikado (1885) di Gilbert e Sullivan e Madame
Chrysanthème (1893) di Messager, l’elemento esotico
trova la sua consacrazione in Madama Butterfly di Puccini
(1904).
L’importanza che
l’esotismo acquista nel dramma pucciniano è sostanziale,
poiché non si tratta di un mero orpello esteriore che
‘colora’ una storia, bensì della motivazione
stessa della trama, e viene impiegato per sottolineare la distanza
culturale tra Est e Ovest, incarnata nel destino dei due
protagonisti. Il contrasto tra Butterfly e Pinkerton,
personaggi-simbolo di Oriente e Occidente, si può così
eleggere a paradigma di un più generale conflitto tra due
culture con formae mentis diverse.[4]
L’opera pucciniana ha
influenzato in vario modo, all’inizio del secolo scorso, la
produzione delle canzoni, che può essere suddivisa in due
grandi categorie:
– la prima comprende
cronologicamente canzoni degli anni 1925-1935, in cui il rapporto
con Madama Butterfly consiste essenzialmente nella tipologia
del personaggio femminile che, esotico come la protagonista
dell’opera, viene abbandonato dal ‘bruno marinar’
occidentale. Alcuni esempi sono forniti da Fior di Shangai e
Il Tango delle gheishe.
– la seconda categoria, che
dalla seconda metà degli anni Trenta arriva agli anni
Cinquanta, presenta riferimenti espliciti all’opera
pucciniana tramite citazioni musicali e chiari rimandi nel titolo o
nel testo della canzone. Di questo gruppo fanno parte Tornerai,
Piccola Butterfly e Poor Butterfly.
Prima categoria: canzoni
‘esotiche’
La parola-chiave è
‘esotismo’, che viene collegato alle
‘imprese’ coloniali celebrando il sogno di luoghi
lontani e immaginari «in un momento in cui non era possibile
concretizzare il loro reale raggiungimento, chiara metafora di un
colonialismo che fanfareggiava su conquiste più di facciata
che di peso reale».[5] L’elemento esotico viene
accostato all’immagine della donna, e, mentre la fantasia
degli autori si spingeva verso i paesi più lontani, in
realtà si notava la completa ignoranza degli stessi in materia
di psicologia femminile e «fisicità
geografiche».[6]
Con il termine ‘esotismo’
si tendeva ad accomunare tutto quello che non era occidentale,
senza fornire indicazioni più precise. Del dramma pucciniano
rimane in questo gruppo l’elemento erotico inserito in una
cornice ‘orientale’, laddove si azzera completamente il
conflitto tra due culture. Mentre da un lato il fatto che la donna
sia orientale ‘giustifica’ l’abbandono da parte
dell’uomo occidentale, dall’altro il mito della donna
orientale stimola in Occidente l’interesse erotico per il
lontano e il diverso.
L’immagine del sesso femminile
che si ricava dai testi è fortemente stereotipata e imperniata
su due poli contrapposti: da un lato la donna orientale, fedele, di
stampo butterflyano ma non necessariamente giapponese (gli autori
infatti guarderanno ben presto anche a Cina e India),[7]
votata al sacrificio per l’amante europeo, e dall’altro
la donna occidentale volubile e incostante, capricciosa e infedele.
Mentre poi queste ultime sono descritte con proporzioni
‘normali’, al contrario la donna ‘esotica’
è indicata con un linguaggio ricco di vezzeggiativi, di
aggettivi in -ina, -ino, più adatti a degli animaletti che a
persone in carne e ossa.
Lo scopo di queste due tipologie
è quello di far sì che «il maschio italiano,
riaffermata la sua arte conquistatoria mondiale, continui a sognare
confusamente di supremazia e piacere (cose queste che si trovano
fuori di casa)», per dirla con Paquito del Bosco.[8]
L’immagine dell’Oriente che si ricava dai testi risulta
assolutamente falsata, volgendosi chiaramente ai modelli dei
feuilletons sentimentali, più che a ricerche
etnografiche precise, per cui tutto risulta minimizzato, e ciò
che emerge non è dissimile dalle figure di ventagli e
paraventi già enunciate da Pinkerton;[9]
ovunque domina soltanto un «esotismo sensuale e nostalgico
[…] che stravolge gente e luoghi».[10]
I brani presi in esame, Fior di
Shangai (Cherubini-Avitabile) e il Tango delle gheishe
(Tortora-Lama),[11] sono accomunabili per struttura e tematica. In
entrambi i casi si tratta di un plot articolato in strofa e
ritornello.[12] Le strofe sono caratterizzate
dall’andamento cinetico dello svolgersi dell’azione,
mentre il ritornello, conformemente a una struttura che non è
tipica soltanto del repertorio ‘esotico’, presenta
un’espansione lirica, in cui si mettono in evidenza i
propositi dei due protagonisti, l’uomo occidentale e la donna
orientale, il cui fraintendimento porterà alla tragedia finale
con la morte della donna. La scena è descritta attraverso
un’ottica che, da un lato, mette in evidenza la
superiorità occidentale in modo da «mettere al sicuro
l’ascoltatore dal pericolo di aderire troppo intensamente
alla narrazione»,[13] e dall’altro spalanca
«l’immaginazione sui lontani mondi in dissoluzione
pressati dalla civiltà occidentale e dal progresso
materiale».[14]
Fior di Shangai |
Tango delle gheishe
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(Cherubini-Avitabile)
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(Tortora-Lama)
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Là sul Mare Giallo s’ode il cor dei
marinai
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Quando a sera l’ombra discende
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che van verso lidi lontan
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calma sull’oriente in fior,
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Stringe un marinaio il più bel fior di
Shangai
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dai porti del Giappon
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pian pian suona lieto il tam tam
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a frotte vengon fuor
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lui la bacia mentre al sol
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le profumate gheishe dell’amor.
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canta ancor l’usignol
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Oh dolci passettini
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d’uccelli in volo
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cinguettanti un po’.
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O mia piccola Musmé
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Vanno e spesso nel silenzio pian pian
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il mio amore è per te
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cantano le Musmé.
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solamente un mister,
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ma se mi bacerai
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Bambole di seta
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forse proverai
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ninnoli del cuore
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cos’è un bacio stranier!
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lievi come fragili bisquit,
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Sospira Fior di the
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noi siamo dell’amor,
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con un alito che
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noi siamo del mister
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ha un odor di lillà.
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i piccoli trastulli del piacer.
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Se il fior di Shangai
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tu lo coglierai
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Da la bianca nave approdata
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con te vivrà!
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scese il bruno marinar
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portava negli occhion
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l’incanto del suo mar
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Canta l’usignolo sotto il sole di Shangai
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e chiusa in cuor la febbre dell’amor.
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ma ormai la rivolta è laggiù
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‘Oh piccolo tesor’
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folle Fior di the si lancia in mezzo ai marinai
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egli disse allor
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cercando il suo amore che fu
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alla sua Musmé
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fra le vampe ed il terror
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e la bimba stretta al bruno stranier
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si ritrovano ancor
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tra i baci sospirò
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Oh piccola Musmè
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Bambole di seta
|
il mio amore per te
|
ninnoli del cuore
|
un capriccio e non più
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lievi come fragili bisquit,
|
Or siam nemici e guai
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noi siamo dell’amor,
|
se non fuggirai
|
noi siamo del mister
|
v’è la morte quaggiù!
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i piccoli trastulli del piacer.
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Ma invano supplicò
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la mitraglia tuonò
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Nelle folli strette d’amore
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ella cadde ai suoi piè
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palpitava come un fior
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no, il fiore di Shangai
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oh quanto spasimar
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non lo lascerai.
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sul pallido visin
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Muore per te!
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le si leggeva triste il suo destin.
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E il giorno che il suo bene partiva
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Canta l’usignolo sotto il sole di Shangai
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allora essa l’abbracciò,
|
Ma quel fiore ormai muore laggiù!
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ma nel bacio dell’addio il suo cuor
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stanco s’abbandonò.
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Bambole di seta
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|
ninnoli del cuore
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lievi come fragili bisquit,
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|
noi siamo del mister
|
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noi siamo dell’amor,
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i piccoli trastulli del piacer
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Spezzata dall’amor
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Sparì col suo mister
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Il piccolo trastullo del piacer!
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Alcuni studiosi definiscono
‘poetico’ il linguaggio usato, ricco di «detriti
dell’Ottocento»,[15] ovvero elementi linguistici tratti
direttamente dal melodramma. A mio avviso è invece ancora
più determinante l’identità di schemi metrici che
vengono ‘esportati’ dall’opera per venire
inglobati nella canzone.[16] Altri elementi portanti sono la
rima baciata e alternata che, oltre a favorire un’immediata
memorizzazione, forniscono una patina poetica alla composizione, e
l’apocope, impiegata non solo per l’adattamento del
testo a frasi musicali moderne (più brevi), ma anche per
estensione a parole che normalmente in italiano non la prevedono.
Caratteristiche di questi componimenti in musica sono
l’imitabilità e la ripetibilità, sia
linguistica che musicale.
Il primo brano analizzato si presenta
come una ‘summa’ di tutti gli stereotipi esotici
linguistici e culturali dell’epoca. Già il titolo
Tango delle gheishe fa riflettere.
Il tango era giunto in Italia intorno
al 1913 e si era diffuso da quando Enrico Pichetti ne fece
accettare una versione ‘epurata’ in Vaticano, dando il
via all’insegnamento di questo ballo nelle accademie e nelle
scuole di danza.[17] Per sua natura quindi è un tipo di musica
‘esotica’ che richiama alla mente
dell’ascoltatore immagini di mondi lontani che si sognano o
si conoscono solo per sentito dire. Ben altra cosa però è
vedere che cosa abbia a che fare il tango – con
l’allusione a paesaggi sudamericani e in particolar modo
argentini – con l’Oriente inteso come Giappone, patria
delle gheishe della seconda parte del titolo. Il trait
d’union è fornito dall’esotismo esasperato che va
sempre più crescendo e stimolando l’interesse del
pubblico nel periodo che intercorre tra la prima guerra mondiale e
gli anni Trenta: esso include tanto il Giappone quanto
l’Argentina, passando attraverso la Francia, che compare
costantemente con i gallicismi tanto chic. La descrizione
dell’ambiente esotico sul far della sera occupa
un’intera strofa, e il ritornello, quasi musica di scena,
mostra l’entrata delle Musmè. Le gheishe quindi
‘entrano in scena’ nella canzone esattamente come
nell’opera Butterfly, la cui voce si ode in lontananza prima
che il pubblico possa vederla.
Tra le apocopi in fine verso si nota
la presenza di un ulteriore esotismo: il francesismo
bisquit,[18] che viene messo dal paroliere in una posizione
di primo piano: al centro dei versi del ritornello e in posizione
rimante (anche se non avrà corrispettivo) proprio per
acquisire l’importanza di un unicum. Nel ritornello si
precisa la funzione della donna orientale: le Musmè sono solo
bambole e ninnoli; metricamente le uniche due parole
sdrucciole che, insieme a piccoli dell’ultimo verso,
‘catturano’ l’attenzione uditiva
dell’ascoltatore. Il concetto viene ribadito negli ultimi tre
versi: la donna orientale è soltanto «il piccolo
trastullo del piacer» e niente più all’occhio
occidentale e, come tale, viene abbandonata.
Seconda categoria: canzoni
direttamente legate all’opera
In questo secondo gruppo ho raccolto
alcune canzoni che si ispirano direttamente all’opera
pucciniana e sono ad essa collegate da espliciti richiami melodici
e testuali.
Nel primo caso –
Tornerai di Olivieri-Rastelli del 1936 – è
presente la citazione del ‘coro a bocca chiusa’ (II.1,
90) con cui si chiude la prima parte del ‘lungo secondo
atto’ dell’opera.[19] Oltre alla citazione melodica
anche la tematica presenta somiglianza con l’originale
pucciniano: la nostalgia per l’amata lontana e la speranza in
un ritorno che faccia risplendere i giorni e tornare la
‘perduta felicità’ sono di chiara ispirazione
butterflyana.[20] Nel brano di Olivieri del conflitto tra Est e
Ovest e della sostanza esotica dell’opera rimangono solo i
‘sospiri d’amor’ della protagonista.
Tornerai
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(Olivieri-Rastelli)
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Tornerai perché il tuo cuor
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è preso da un amor (coro maschile)
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Senza i baci tuoi non so
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se vivere potrò (coro femminile)
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Tornerai – da me…
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perché l’unico sogno sei – del mio
cuor.
|
Tornerai – tu perché
|
senza i tuoi baci languidi – non
vivrò.
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Ho qui dentro ognor
|
la tua voce che dice
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tremando «Amor»
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tornerò… – perché tuo è
il mio cuor. (c.f.)
|
|
Tornerai – da me…
|
perché l’unico sogno sei – del mio
cuor. (c.m.)
|
Tornerai – tu perché
|
senza i tuoi baci languidi – non vivrò.
(c.f.)
|
|
Ho qui dentro ognor
|
la tua voce che dice
|
tremando «Amor» (c. m.)
|
|
tornerò… – perché tuo è
il mio cuor. (c.f.)
|
|
Tornerai
|
In questo caso la ricezione
dell’opera si fonda sul fenomeno amoroso fine a se stesso che
diventa soggetto della canzone: l’amore come nostalgia
dell’amata lontana non è espresso attraverso grandi
passioni, ma come un sentimento ‘composto’
completamente stereotipato, non vengono più impiegati diversi
registri vocali, come quello narrativo o sentimentale, ma un solo
registro pacatamente melodico. Le rime diventano pure suggestioni
sonore, eco di amori legittimi, sospirosi e delicati, che nel
frattempo, con l’avvento dell’era fascista, hanno
soppiantato amori adulterini e ‘peccaminosi’.
L’elemento centrale della canzone è ormai diventato il
puro atto del dire, un messaggio che si diffonde attraverso poche
parole, un amore sussurrato, che parla solo di se stesso in
un’ottica esclusivamente autoreferenziale.[21]
Negli ultimi due brani è
evidente già dal titolo il legame stretto con Madama
Butterfly: Piccola Butterfly (Redi-Bertini,
1948)[22] e Poor Butterfly (Golden-Hubbell,
1954).
Piccola Butterfly
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Poor Butterfly
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(Redi-Bertini)
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(John Golden & Raymond Hubbell, The Hilltoppers, 1954)
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O mia piccola Butterfly
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Poor But - ter - fly
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lo so, non ti scorderai di me
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’neath the blossoms wait -ing;
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del mio amor…
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|
O mia piccola Butterfly
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Poor Butterfly,
|
i baci ritroverai perché
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for she loved him so.
|
tornerò…
|
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Quando le stelle
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The moments pass into hours,
|
ritorneranno a brillar
|
the hours pass into years,
|
guardando quelle
|
|
noi ci potremo incontrar…
|
And as she smiles through her tears, she
|
|
murmurs low, |
O mia piccola Butterfly
|
«The moon and I know that he’ll be faith
- ful;
|
un giorno mi rivedrai sul mar
|
I’m sure he’ll come back, by and by.
|
ritornar…
|
But if he don’t come back, then I never
sigh
|
|
or cry –
|
|
I just must die».
|
|
|
|
Poor But - ter – fly.
|
In Piccola Butterfly ritorna
l’elemento ‘esotico’ che aveva caratterizzato le
canzoni d’inizio secolo. Il testo è di tipo narrativo,
come se fosse Pinkerton che rievoca i suoi giorni passati con
Butterfly, e la voce, riecheggiando lo stile degli anni Trenta,
è doppiata dal canto lamentoso del violino. Oltre
all’elemento testuale un ulteriore riferimento al dramma
pucciniano è fornito dalla presenza del «tema della
maledizione», per impiegare le parole di Michele
Girardi,[23] che riecheggia durante tutta la canzone per poi
essere chiaramente udibile nella chiusa finale; ad esso si
aggiungono altre allusioni ‘esotiche’ enfatizzate
nell’organico dalla presenza del gong. Attraverso questa
citazione musicale dell’opera sappiamo che, nonostante le
parole affettuose della voce narrante, tutto rimarrà
un’illusione e Pinkerton non tornerà mai dalla sua
piccola orientale.
L’ultimo esempio di questa
breve carrellata sul mito-Butterfly nelle canzoni è dato da
Poor Butterfly di Golden-Hubbell,[24]
cantato dal complesso statunitense degli Hilltoppers nel
1954.[25] A differenza degli altri esempi portati sin qui
rappresenta l’unico caso in cui è la protagonista,
Butterfly, a prendere la parola. L’ambientazione è
identica a quella dell’opera con tanto di ‘ciliegi in
fiore’ e confluiscono nel testo i principali nodi
drammaturgici dell’opera pucciniana: l’attesa
(«the moments pass into hours / the hours pass into
years»), la sicurezza del ritorno di Pinkerton e la
consapevolezza che se egli non dovesse ritornare l’unica
possibilità per la protagonista è data dalla morte
(«I just must die»). Le parole di Butterfly sono
intercalate dalla citazione del titolo, Poor Butterfly, che
compare all’inizio e alla fine del brano conferendo un senso
circolare alla canzone, e dando un giudizio sull’illusione
della protagonista, che è convinta in un ritorno
dell’amato che sappiamo non avverrà. Perde completamente
importanza la componente esotica rispetto al dramma di una donna
che non troverà mai la sublimazione dei propri sentimenti.
Tramite il presente contributo, che
è parte di un work in progress più ampio che si
estende ad altre forme di spettacolo come il musical e
l’operetta, si è cercato di dimostrare come la vita di
un’opera non si concluda con la sua rappresentazione in
teatro, ma come questa possa esprimersi ‘contaminando’
altre forme di comunicazione artistica.
Le singole componenti che fanno di
Madama Butterfly una delle opere ancora oggi più amate
dal pubblico di tutto il mondo vengono recepite in maniera diversa
nelle singole canzoni; se infatti l’elemento esotico
nell’opera ha una funzione sostanziale per il dramma, nelle
canzoni assume una valenza sempre diversa. Non tutta la
‘sostanza dell’opera’ si trasferisce nelle
canzonette, ma singoli aspetti che prendono vita di volta in volta:
tra questi sicuramente maggior attenzione spetta
all’equazione esotismo=erotismo che è tanto radicata
nella cultura occidentale da ‘giustificare’
l’abbandono della donna orientale proprio per sua stessa
natura. Meno incisivo appare il conflitto tra Est e Ovest, al
contrario di quanto avviene nell’opera, mentre viene messo in
primo piano l’elemento dell’attesa e della speranza nel
ritorno dell’amato. Fattore non secondario per il proliferare
di molte canzonette nei primi cinquant’anni del secolo
scorso,[26] è la nascita di molteplici produzioni
cinematografiche negli anni Trenta, come Madame Butterfly di
Gering (1932) e Il sogno di Butterfly di Carmine Gallone
(1939) che sembrano segnare l’inizio di una
Butterfly-renaissance, protrattasi fino ad oggi con nuove
mises en scène (Asari, Wilson… e in campo di
film-opera le pellicole di Ponnelle e Mittérand),
musical (Miss Saigon) e film ispirati al soggetto
pucciniano (M. Butterfly di Cronenberg, 1993).[27]
Collegando attraverso un fil
rouge l’originale pucciniano con le sfaccettate
reinterpretazioni che ne sono seguite, si può cercar di
ricostruire la storia di Madama Butterfly non solo
nell’ambito del teatro in musica, ma anche come archetipo
culturale sempre soggetto a nuove elaborazioni artistiche.
|
________________________
* Il
presente contributo è stato presentato al VII Colloquio di
Musicologia de «Il Saggiatore Musicale», il 23 novembre
2003. Ringrazio Michele Girardi e Serena Facci per i preziosi
consigli forniti durante la stesura del testo.
[1] Due
noti esempi sono forniti da Le mariage de Loti (1880) e
Madame Chrysanthème (1887) di Pierre Loti. Per un
panorama sulla letteratura ‘esotica’ si veda
Adriana Guarnieri
Corazzol, Esotismo e teatro musicale nella Francia
dell’Ottocento: Thaïs tra cultura romantica e
Décadence, in: Jules Massenet,
«Thaïs», «La Fenice prima
dell’opera», 2002-2003/1, pp. 93-105.
[2] Basti
pensare alle immagini di Kesai Eisen comparse sulla rivista
«Paris Illustrée» nel maggio 1886 che
fornirono l’ispirazione per La cortigiana (1887) e i
tre ritratti di Père Tanguy (1887-8) di Van Gogh e,
andando a ritroso, La giapponese di Claude Monet (1876), il
Ritratto di Emile Zola di Manet (1868) e la Donna
giapponese, fotografia colorata a mano di Felice Beato (1870
circa). Per ulteriori informazioni sul japanisme in pittura
si veda Klaus
Berger, Japonismus in der westlichen Malerei:
1860-1920, München, Prestel-Verlag, 1980 (trad. ingl. a
cura di D. Britt: Japonisme in Western Painting from Whistler to
Matisse, Cambridge, Cambridge University Press, 1992) e
Mercedes Viale
Ferrero, Riflessioni sulle scenografie pucciniane,
«Studi Pucciniani», I, 1998, pp. 19-39.
[3] Grazie
in primis alla jupe entravée di Paul Poiret, che
«obbligava chi la indossava a passettini da geisha».
Charlotte Seeling,
Mode – Das Jahrhundert der Designer, Köln,
Könemann, 2000 (trad. it. a cura di C. Dal Cin e M.
Tschiderer: Moda. Il secolo degli stilisti, Köln,
Könemann, 2000).
[4]
L’elemento esotico in Butterfly fa parte del vero e
proprio ‘tessuto connettivo’ dell’opera. Nella
tragedia individuale che vede Butterfly protagonista assoluta della
scena, un ruolo principe è affidato all’ambiente
giapponese che amplia il ‘dramma interiore’ di
Butterfly nella prospettiva dello scontro tra due culture: Est e
Ovest. La tecnica leitmotivica impiegata da Puccini sottolinea
proprio il legame tra l’intimo dramma della protagonista e
l’ambiente culturale da cui esso scaturisce. Si veda in
proposito Peter
Ross, Elaborazione leitmotivica e colore esotico in
«Madama Butterfly», in Esotismo e colore locale.
Atti del I Convegno internazionale sull’opera di Puccini
(Torre del Lago, 1983), a cura di J. Maehder, Pisa, Giardini,
1985, pp. 99-110 e Michele
Girardi, Giacomo Puccini. L’arte internazionale di
un musicista italiano, Venezia, Marsilio, 20002, pp.
197-257.
[5]
Felice Liperi,
Storia della canzone italiana, Roma, Rai-Eri, 1999, p.
124.
[6]
Paquito del Bosco,
guida al CD Donne di terre lontane, Fonografo Italiano a
cura di P. del Bosco, Fonit Cetra, serie V, n. 3, p. 8.
[7] Si
vedano esempi coevi come Piccola cinese di
Fiasconaro-Martelli e Bengala di Rusconi-Bruno.
[8]
del Bosco, guida al
CD Donne di terre lontane, cit.
[9] Si veda
a questo proposito ancora il testo della canzonetta Piccola
cinese (Fiasconaro-Martelli) in cui uno scultore riporta sul
«fragile bisquit» l’effigie della sua bella
cinesina, fino a quando le viene rapita da un «perfido
cinese» e l’unico ricordo che gli rimane di lei è
il bisquit che ha realizzato.
[10]
Nicola Savarese,
Teatro e spettacolo tra Oriente e Occidente, Bari, Laterza,
1992, pp. 225-26.
[11]
Entrambi i brani sono contenuti nella raccolta Donne di terre
lontane, cit.
[12]
Sulla struttura della canzone e della sua articolazione in
strofa-ritornello, si veda Franco Fabbri, La
canzone, in Enciclopedia della musica, a cura di
Jean-Jacques Nattiez, Torino, Einaudi, vol. i, Il Novecento,
2001, pp. 551-75.
[13]
Savarese, Teatro
e spettacolo, cit.
[14]
Ibidem.
[15]
Si veda in proposito Rienzo
Pellegrini, Le canzonette italiane tra le due guerre,
in ‘Trivialliteratur?’ Letterature di massa e di
consumo, Atti del Convegno (Trieste, 1978), Trieste, Lint,
1979, pp. 363-81 e Giacomo
Lopez, Giuseppe Romeo e Tommaso Timperi, La canzone degli
anni Trenta e Quaranta, in La lingua cantata.
L’italiano nella canzone dagli anni Trenta a oggi, a cura
di Gianni Borgna e Luca Serianni, Roma, Garamond, 1994, pp.
1-35.
[16]
Si consideri ad esempio l’impiego dei quinari doppi che da
«Amore o grillo» (I, 29) dell’opera pucciniana
vengono ‘reimportati’ nella canzone Tornerai di
Olivieri-Rastelli (1936); si veda in proposito anche la seconda
parte del presente contributo. I riferimenti musicali
all’opera sono relativi alla partitura d’orchestra
Madama Butterfly, Milano, Ricordi, © 1907, P.R.
112 (rist. 1979, 1999); tra quadre sono indicati i passi cui ci si
riferisce: gli atti in numeri romani e la cifra di chiamata in
numeri arabi.
[17]
Nel Tango delle gheishe la confusione tuttavia non è
solo ‘geografica’ ma anche ‘ritmica’:
più che di un tango si tratta infatti di una vera e propria
habanera. Riguardo al tango si veda: Jorge Luis Borges, Evaristo
Carriego, Torino, Einaudi, 1983. A proposito della ricezione
del tango nella canzone italiana d’inizio secolo rimando a
Gianni Borgna,
Storia della canzone italiana, Roma-Bari, Laterza, 1985, p.
44 e segg.
[18]
Lo stesso termine torna anche in Piccola cinese in cui la
‘geisha’ cinese, viene paragonata a un vaso di
terracotta, o meglio a un’immagine su un vaso di terracotta,
a una ‘figura di lacca’.
[19]
«La canzone – per citare Gino Castaldo, Il Dizionario
della canzone italiana. Le canzoni, Milano, Curcio, 1990, pp.
455-56 – è un classico esempio di compromesso fra le
moderne esigenze ritmiche venutesi a creare con l’avvento del
sincopato e certe reminiscenze liriche del primo Novecento
operistico italiano». Questo brano fu reso celebre
dall’interpretazione del Trio Lescano accompagnato dal
quartetto jazz Funaro nel 1937, ma trovò i suoi interpreti
ideali in cantanti come Beniamino Gigli, Frank Sinatra, Lily
Pons… (cfr. ibidem). Riguardo alla divisione interna
dell’opera e al problema del ‘lungo secondo atto’
rimando a Girardi,
Giacomo Puccini, cit., pp. 235-239 e a Michela Niccolai, Madame
Butterfly: un’opera di Giacomo Puccini con la regìa di
Albert Carré, Tesi di diploma in Paleografia e Filologia
musicale, 2 voll., Università degli studi di Pavia (Cremona),
a.a. 2002-2003.
[20]
Entrambi gli elementi resero la canzone nuovamente attuale in tempo
di guerra quando «le ragazze la sospiravano ai fidanzati che
partivano per il fronte e i soldati la ripetevano marciando»
(Castaldo, Il
Dizionario della canzone italiana, cit.).
[21]
La scelta, nell’incisione, di due compagini vocali
equivalenti (trii) e speculari (maschile e femminile) sembra
equilibrare il sentimento d’amore pacificando vocalmente
entrambi i sessi. Si ascolti in proposito Tornerai
(Olivieri-Rastelli), in Trio Lescano, Le grandi voci
della canzone italiana, Replay Music, RMCD 4214, n. 2.
[22]
Ringrazio il personale della Discoteca di Stato di Roma per la
disponibilità accordatami durante le mie ricerche, e in
particolare Roberto Castelli. Il brano Piccola Butterfly
(Redi-Bertini), eseguito al pianoforte dallo stesso Redi, è
contenuto nella raccolta Quando l’autore canta,
Fonografo Italiano a cura di P. del Bosco, Fonit Cetra, serie II,
n. 10.
[23]
Girardi, Giacomo
Puccini, cit., pp. 228-30.
[24]
Ringrazio Roberta Baldizzone per la segnalazione.
[25]
Il brano è poi ‘migrato’ nella musica jazz, dove
ancora oggi rimane uno degli standard di base. Compare nel vol. III
del Real Book (p. 242) ed è continuamente soggetto a
rielaborazioni jazzistiche, tra cui si ricordano quelle di Barney
Kessel (2002), Erroll Garner (2002), Bobby Hackett (2001).
[26] Per
uno studio sulla ricezione del dramma pucciniano
nell’orchestra di Tin Pan Alley si rimanda al contributo
presentato da W. Anthony Sheppard al convegno dell’AMS
(2004), The Pinkerton’s Lament, in corso di
pubblicazione. Ringrazio l’autore per avermi permesso di
consultare il suo lavoro.
[27]
Per la ricezione ‘visiva’ di Madama Butterfly si
veda Niccolai,
Madame Butterfly, cit., pp. 109-27.
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