Paolo Ricolfi
Funzione espressiva dei modelli cadenzali
nel Terzo Libro di Madrigali di Gesualdo da Venosa
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Un approccio ai testi poetici di tipo induttivo pare
contraddistinguere le strategie compositive elaborate da Gesualdo
da Venosa in una porzione cospicua della sua produzione madrigalistica.
Non soltanto nei Libri Quinto e Sesto, ma anche nelle
due precedenti raccolte seguite al contatto diretto con l’ambiente
musicale e letterario ferrarese, il compositore sembra orientare
le proprie intonazioni al pieno sfruttamento delle potenzialità
espressive insite nelle singole immagini liriche, assumendo così
una prospettiva estetica secondo la quale il senso poetico complessivo
di un testo può trarre origine dalla sommatoria delle locuzioni,
spesso emotivamente assai caratterizzate, che lo compongono.
Il presente lavoro si propone di contribuire all’approfondimento
dell’estetica di Gesualdo, indagando il ruolo giocato da alcuni
procedimenti compositivi, ed in particolare dalle cadenze, all’interno
dei disegni interpretativi da lui approntati nei madrigali del
Terzo Libro.[1]
La decisione di concentrare l’attenzione sulla raccolta pubblicata
a Ferrara da Baldini nel 1595, è dovuta al suo carattere di snodo
sia dal punto di vista delle scelte poetiche sia sotto il profilo
stilistico-musicale.[2]
Al fine di comprendere le possibili correlazioni esistenti tra le
strutture metriche, sintattiche e soprattutto semantiche dei testi
poetici e la configurazione dei piani cadenzali adottati nella loro
intonazione, ho fatto riferimento al metodo di analisi che Stefano
La Via ha elaborato nello studio degli ultimi madrigali di Cipriano
de Rore, e successivamente applicato all’opera di altri compositori
appartenenti ad entrambe le cosiddette «prima» e «seconda prattica».[3]
La sperimentazione e lo sviluppo sui madrigali gesualdiani
di questo metodo di analisi tonale-cadenzale induce a ritenere che,
quantomeno a partire dal Terzo Libro, il compositore abbia
inteso attribuire alle cadenze un’importante funzione semantica.
Dall’esame dei brani contenuti in questa raccolta, che peraltro
presentano una gamma di formule di risoluzione assai più ricca e
complessa di quella rinvenibile nei primi due libri, emerge come
l’elaborazione dei piani cadenzali non sia regolata soltanto dalla
volontà di rispecchiare i livelli strutturali prosodico e sintattico
del dettato poetico o dalle istanze di un’ipotetica organizzazione
modale dei pezzi. A guidare il trattamento delle cadenze sono anche,
e in alcuni casi prima di tutto, esigenze di tipo espressivo. Ciò
non comporta che nell’articolazione delle frasi musicali Gesualdo
ignori le cesure del discorso o del metro e nemmeno significa che
si possa escludere dall’orizzonte degli oggettivi impianti cadenzali
qualsiasi riferimento ad una o più categorie modali. Tuttavia, la
tendenza a variare la disposizione, il peso e la conformazione –
in particolare l’orientamento ascendente o discendente del semitono
strutturale – dei modelli di risoluzione sulla base del clima affettivo
che pervade le immagini, i concetti e le situazioni proposte dal
testo poetico di volta in volta affrontato, dimostra che le cadenze
ricoprono un ruolo fondamentale, tanto sul piano macro-strutturale
quanto su quello micro-strutturale, all’interno dei processi di
esegesi musicale approntati per ognuna delle liriche intonate. Lo
studio di questi madrigali rivela, inoltre, come a determinare la
valenza espressiva delle soluzioni cadenzali concorra l’insieme
dei procedimenti compositivi ad esse associati e, allo stesso tempo,
evidenzia come nell’assortimento di tali procedimenti sia possibile
riscontrare alcune costanti capaci di percorrere l’intera raccolta.
L’esame comparativo di Dolce spirto d’Amore
e Sospirav’il mio core illustra in maniera esemplare la qualità
delle interazioni che si verificano tra le scelte cadenzali del
compositore e il carattere affettivo dei testi poetici.[4]
I due brani si fondano rispettivamente su un madrigale di Guarini
e su una lirica adespota, e compaiono l’uno di seguito l’altro all’interno
della raccolta con un accostamento che forse non è casuale.[5]
Alla base di entrambi figura l’identico motivo dei "sospiri", peraltro
ampiamente vulgato non soltanto nei libri del Principe ma più in
generale nel repertorio madrigalistico dei letterati legati alla
corte estense.[6]
L’analoga occasione poetica è però destinata a sviluppi assai divergenti:
se infatti nel primo caso il sospiro femminile alimenta le speranze
dell’amante, nel secondo le delude. Il confronto tra queste composizioni
fornisce dunque l’opportunità di osservare quali strategie Gesualdo
abbia posto in atto rapportandosi a testi poetici che condividono
un medesimo spunto tematico, ma lo declinano con esiti diametralmente
opposti sul piano emotivo.
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Dolce spirto d’Amore e Sospirav’il mio core
1. I testi poetici
Dolce spirto d’Amore rappresenta nel quadro
dei libri "ferraresi" del compositore uno dei rari esempi in cui
la condizione dell’io-lirico non appare dolorosa e le possibilità
di una corresponsione amorosa non sono affatto precluse.[7]
Dolce spirto d’Amore
in un sospir accolto,
mentr’i miro’l bel volto
spira vit’al mio core.
Tal acquista valore
da quella bella bocca
che sospirando tocca.
Questi versi, inseriti nell’edizione Ciotti delle
Rime guariniane sotto la didascalia «Il sospiro di Madonna»,
presentano i caratteri propri di quella categoria di testi che il
Gareggiamento poetico, un’interessante e imponente antologia
di madrigali letterari datata 1611, classifica come «Dependenze».[8]
Infatti, secondo una delle modalità più tipiche delle «dependenze»
– che il Gareggiamento identifica con «li soggetti che dipendono
dalle belle parti di graziosa donna» – l’amante celebra in maniera
indiretta la bellezza di una parte del corpo femminile, esaltandone
gli effetti secondari. Nello specifico, il contatto con la «bella
bocca» è determinante per la qualità del sospiro che, nell’immagine
iniziale della lirica, sembra assurto a messaggero d’amore capace
di dar vita all’amante. La felice visione risulta del tutto priva
di ombre; il clima emotivo non si presta ad alcun equivoco in quanto
rimane costantemente positivo e sereno, senza che sia ravvisabile
alcun segnale di mutamento o sviluppo. Sotto il profilo formale
la lirica aderisce tanto per la sua brevità quanto per il gusto
della rispondenza fonica (si pensi alla sequenza spirto-sospir-spira-sospirando
da cui è attraversata e su cui è strutturata) ai canoni stilistici
più diffusi nel repertorio poetico del Terzo Libro, anche
se bisogna riconoscere che qui l’epigrammaticità si concilia con
un più fluido svolgimento del discorso rispetto a quanto avviene
in non pochi altri casi (ad esempio "Non t’amo" ò voc'ingrata
e Se vi miro pietosa).
Un percorso più articolato mostra Sospirav’il mio
core, un testo che è privo di attribuzione, come d’altronde
la maggior parte di quelli che il Principe ha selezionato dal 1595
in avanti.[9]
Sospirav’il mio core
per uscir di dolore
un sospir che dicea: "L’anima spiro".
Quando la Donna mia più d’un sospiro
anch’ella sospirò, che parea dire:
"Non morir, non morire".
O mal nati messaggi e mal intesi,
in vista sì cortesi.
"Mori", dicest’ohimè, "ma non finire
sì tosto il tuo languire".
L’organizzazione del discorso poetico si snoda sostanzialmente
in due fasi:
1) Versi 1-6. Descrizione. La materia poetica si
dipana nella forma di un racconto, che è arricchito dagli interventi
del discorso diretto ed è privo di un destinatario identificabile.
2) Versi 7-10. Lamento – Recriminazione. L’uso del
vocativo («O mal nati messaggi») e il cambiamento della forma verbale
(dalla terza persona di «anch’ella sospirò» nel quinto verso, si
passa alla seconda persona «dicest’ohimè» del nono verso), segnalano
l’innalzamento del tono del discorso che si fa addolorato ed accusatorio
allo stesso tempo, ed è ora esplicitamente indirizzato alla figura
femminile.
Dal punto di vista prettamente contenutistico, la
lirica si sviluppa in momenti successivi che identificano altrettanti
"eventi" e stati d’animo vissuti dall’io-lirico:
a) Versi 1-3. Sospiro dell’amante/Sfinimento. L’amante
individua nella morte l’unica via di fuga al dolore.
b) Versi 4-6. Sospiro della donna/Speranza.[10]
L’amante interpreta i sospiri dell’amata come un invito alla vita,
o meglio, a «non morire».
c) Versi 7-10. Esclamazione dell’amante–Parole della
donna/Disillusione. L’amante comprende la reale natura dei sospiri
femminili che preludono ad una condanna alla morte e al languore.
A differenza di quanto avviene nel più omogeneo madrigale
discusso in precedenza, in questo caso è dunque riscontrabile un’evoluzione
di tipo affettivo che, però, esplicandosi con una sorta di circolarità,
non determina un significativo mutamento delle condizioni dell’io
lirico tra l’inizio e la fine del componimento poetico.
Ad una tale lettura del testo, se ne può affiancare
un’altra che individua in esso una componente erotica neanche troppo
mascherata. L’insistente ricorrere di termini quali «sospiro» e
«morire», a cui si aggiungono gli altrettanto equivocabili «spiro»,
«finire» e «languire», non sembra finalizzato soltanto all’intensificazione
fonica del dettato poetico, ma risulta pienamente funzionale a tessere
una pervasiva rete di allusioni sessuali che conferiscono una spiccata
connotazione sensuale al componimento nel suo complesso. In questa
prospettiva, la lirica sarebbe da intendere come la descrizione
di un rapporto sessuale contraddistinto da fraintendimenti e da
una mancanza di sincronia tra gli amanti.
2. Le letture musicali gesualdiane
I diversi esiti delle due liriche trovano piena corrispondenza
nelle interpretazioni fornite da Gesualdo, attraverso la realizzazione
di strategie compositive per molti aspetti antitetiche.
L’intonazione di Dolce spirto d’Amore si sviluppa
nel segno di una sostanziale uniformità stilistica e di una sorvegliata
economia di mezzi, ma non per questo deve essere considerata "neutrale"
sotto il profilo espressivo.
La
tabella 1 mette in luce i rapporti che intercorrono tra le strutture
del testo poetico e il piano cadenzale, presentando anche alcune
indicazioni concernenti le forme della scrittura, l’orchestrazione
vocale e la condotta delle parti.[11]
L’impianto cadenzale in essa delineato è riconducibile al tonal
type -sol2-Fa
(sistema in cantus mollis con si-bemolle in armatura di chiave,
chiavi alte o "chiavette", sonorità finale nel Basso) che sintetizza
e definisce ulteriormente l’oggettiva "area tonale" di riferimento
del brano.[12]
Tabella 1
Volendo procedere all’identificazione, peraltro quanto
mai ipotetica, di una o più categorie modali cui Gesualdo potrebbe
essersi rifatto nell’adottare questo tonal type, si registra
una totale convergenza tra le indicazioni fornite dal sistema tradizionale
degli otto modi e quelle proposte dal sistema dodecacordale.[13]
In un numero cospicuo di collezioni cinquecentesche ordinate secondo
il sistema tradizionale degli otto modi, il tonal type b-sol2-Fa
è utilizzato per rappresentare e distinguere il quinto modo autentico
dal relativo plagale.[14]
Assumendo la prospettiva del sistema dodecacordale secondo la formulazione
conferitagli da Zarlino ne Le Istitutioni Harmoniche, i dati
offerti dal piano delle cadenze (tabella
1), dal quadro degli ambiti vocali e delle specie di quinta
e di quarta in essi più enfatizzate (illustrato
nella tabella 2), conducono ad individuare come possibile modello
di riferimento per la composizione quello che da Glareano in poi
viene anche definito «nuovo modo quinto». Infatti, gli ambiti delle
cinque voci (che presentano l’abituale relazione collaterale tra
Tenore e Canto da un lato e tra Basso, Alto e in questo caso anche
Quinto dall’altro), le specie modali in esse più sottolineate, le
sonorità affermate dalle cadenze di maggiore rilievo strutturale
(si pensi alle flessioni su Fa, tra cui quella finale, ma anche
alla risoluzione su Do, la «corda mezana», che chiude il primo periodo
del discorso poetico) ed il cantus mollis d’impianto, sono
tutti elementi che, soddisfacendo i parametri del sistema glareanico-zarliniano
dei dodici modi, suggeriscono l’adozione da parte del Principe dell’undicesimo
modo trasposto, noto appunto come «nuovo modo quinto» o «nuovo modo
lidio».[15]
Tabella 2
L’osservazione della
tabella 1 evidenzia la contemporanea e pressoché completa adesione
della lettura musicale gesualdiana ad entrambe le strutture, prosodica
e sintattica, della lirica. Senza dubbio questa scelta può essere
stata favorita, se non addirittura motivata, dalle caratteristiche
proprie della materia poetica utilizzata: il testo, infatti, anche
in ragione dell’uso esclusivo del breve settenario, presenta un
notevole parallelismo tra i due piani. Tuttavia, è degno di nota
come qui, a differenza di quanto avviene in altri brani della raccolta
(si pensi ancora una volta a "Non t’amo" ò voc'ingrata, ma
anche allo stesso Sospirav’il mio core), la costruzione e
la delimitazione degli episodi musicali sia strettamente collegata
all’estensione di ciascuno dei sette «versi rotti» di cui è costituito
il madrigale del Guarini. Nessun termine, sintagma od espressione
viene estrapolato per mezzo di una risoluzione cadenzale dal contesto
metrico, oltre che sintattico, in cui è inserito nel dettato poetico.
L’unica forma di allontanamento da un’identificazione rigorosa dell’unità
versale è riscontrabile tutt’al più nella direzione opposta, allorché
il compositore sovrappone, e in un certo senso incrocia, la proposizione
dei versi 3b e 4a (prima che sia terminata l’intonazione di 3b ad
opera delle tre voci inferiori, Canto e Quinto introducono un nuovo
motivo per 4a poi imitato dalle altre parti; segue il medesimo procedimento
a ruoli invertiti, alle tre voci superiori si aggiungono Basso e
Tenore), giungendo così a suggerire sul piano dell’esecuzione musicale
la contemporaneità delle "azioni" da essi evocate («mentr’i miro
[…] / spira …»). In generale, la gittata delle idee musicali coincide
con la durata del verso e la successione delle frasi si dipana con
una regolarità che appare persino un po’ rigida.
All’interno di questa strategia le cadenze non si
limitano a svolgere funzioni di carattere esclusivamente organizzativo.
Ad esse Gesualdo affida anche il compito di cogliere il positivo
indirizzo affettivo della lirica conferendo una connotazione espressiva
tanto agli episodi che si susseguono quanto all’intero decorso dell’intonazione.
Se si focalizza l’attenzione sui modelli di risoluzione selezionati
e sul trattamento loro riservato, gli indizi in tal senso sono numerosi.
Il piano complessivo delle formule cadenzali si muove
tra due poli rappresentati da un lato dai modelli autentico e perfetto,
ambedue contraddistinti dal movimento ascendente del semitono strutturale,
dall’altro dal modello frigio, a sua volta caratterizzato dalla
risoluzione discendente del semitono. Sono invece del tutto assenti
gli altri principali modelli "negativi", il plagale e la mezzacadenza
(anch’essi caratterizzati dalla risoluzione discendente del semitono),
largamente adottati dal compositore nel corso della raccolta.
Lo spazio ed il peso più rilevanti sono assicurati
alle risoluzioni del primo tipo, ed in misura particolare a quelle
autentiche, che sono anche chiamate a segnare i principali snodi
sintattici del discorso poetico. Di per sé interessante, la predilezione
per queste formule acquisisce ulteriore significato alla luce di
alcune osservazioni di ordine qualitativo. Infatti, Gesualdo non
si limita a farne un uso intensivo, ma sembra orientato a sfruttare
al meglio il potenziale risolutivo ed affermativo, e dunque la forza
"positiva", in esse rinvenibile. In altri termini, egli evita qui
di utilizzare qualsiasi procedimento che, attraverso l’evaporazione,
l’elusione o la perturbazione dei movimenti strutturali delle parti,
comporti un indebolimento o una "fuga" della risoluzione, ed anzi,
con l’unica eccezione della flessione «semplice» Fa>Si
che punteggia il verso 5a, nel servirsi del modello autentico sceglie,
anche laddove non si tratta di concludere «l’orazione», di adottarne
la forma più eloquente, vale a dire quella «con sincopa».[16]
Occorre sottolineare che una concentrazione così densa ed un trattamento
così limpido dei modelli che propongono una risoluzione per moto
ascendente del semitono trova pochi riscontri nel Terzo Libro.
Il brano che sotto questo aspetto presenta maggiori analogie con
Dolce spirto d’Amore è Meraviglia d’Amore, anch’esso
fondato, non a caso, su un testo poetico sostanzialmente positivo
sotto il profilo della situazione emotiva evocata.[17]
Molteplici elementi, dunque, suggeriscono che all’origine della
disseminazione delle formule autentiche nel madrigale vi sia stata
la considerazione della loro natura affettiva, definita da Vincenzo
Galilei come «tutta lieta, piacevole et allegra».[18]
Sulla base di quanto finora osservato la strategia
cadenzale gesualdiana sembra ben confacente al "tono" che contraddistingue
sia le singole immagini, sia la lirica nel suo complesso; ciò nonostante,
al fine di valutarne l’orientamento esegetico, bisogna prendere
in esame anche il ruolo giocato dalla componente frigia, presente
in percentuale minoritaria ma non irrilevante in rapporto alla brevità
del brano. Nell’opera del compositore, come si potrà constatare
più avanti nello studio di Sospirav’il mio core, l’utilizzo
del modello frigio si verifica soprattutto in relazione ad immagini
od espressioni di valenza negativa. È quindi lecito domandarsi se
la comparsa di questo modello non sia in contrasto con il clima
che pervade la lirica o, addirittura, con l’ipotesi stessa che Gesualdo
abbia inteso ivi servirsi delle cadenze a fini espressivi. Tuttavia,
se si analizza il contesto specifico in cui tali formule ricorrono,
vale a dire se si concentra l’attenzione sia sulla collocazione
loro attribuita sia sui requisiti dei gesti melodici, della scrittura
e della condotta delle parti ad esse associati, risulta chiaro come
le finalità che ne guidano l’impiego in Dolce spirto d’Amore
siano ben diverse da quelle rintracciabili in altri pezzi della
raccolta. Prive di tutti quegli elementi che altrove contribuiscono
ad esaltarne la connotazione patetica (concatenazioni dissonanti,
figure melodiche discendenti di tetracordo minore o di quarta diminuita,
«quantità de semituoni […] tra le parti estreme», ecc.), le risoluzioni
frigie intervengono qui a punteggiare frasi abbastanza neutre o
addirittura inversamente caratterizzate, senza mai assumere, peraltro,
un consistente rilievo strutturale.[19]
Si veda a titolo esemplificativo l’intonazione dei due versi che
aprono il componimento.
Esempio 1
È interessante notare che il ciclico progredire da
una flessione frigia fievole e minore ad una formula perfetta o
autentica, proposto da questo esordio, rispecchia una disposizione
delle cadenze rinvenibile nell’intero brano. Un processo analogo
regola, infatti, anche l’approccio musicale, poi ripetuto, ai due
versi finali (prima intonazione di 6c con flessione perfetta seguita
da pausa in tutte le voci – seconda intonazione di 6c con flessione
frigia – intonazione di 7c con flessione autentica). Inserita in
un contesto che ne attenua la potenziale carica negativa, la componente
frigia sembra quindi chiamata in causa allo scopo di introdurre
le sfumature di una sommessa commozione, che varia ed arricchisce
la tavolozza emotiva e sonora, ma non intacca il clima complessivamente
instaurato nel madrigale.
A determinare l’orientamento positivo dell’interpretazione
gesualdiana del testo poetico, concorrono, ovviamente, oltre alla
netta prevalenza numerica e strutturale delle cadenze autentiche
e perfette, anche altri procedimenti compositivi. Un apporto significativo
in tale direzione è fornito dalle modalità organizzative che disciplinano
l’incedere della compagine vocale. La conduzione del discorso poetico-musicale
è affidata in buona parte ad un andamento imitativo delle voci,
che si rivela controllato e movimentato allo stesso tempo. Da un
lato, infatti, la delimitazione abbastanza netta degli episodi operata
dalle cadenze, l’adozione di soggetti privi di rigoglio melismatico,
la presentazione del «conseguente» e/o della «guida» dell’imitazione
da parte di una coppia di voci e il reiterato madrigalismo (l’inserimento
di una pausa tra le prime due sillabe della parola «sospirando»)
che rende ansimante l’esecuzione del verso finale, sono tutti elementi
che impediscono alla trama sonora di divenire florida e lussureggiante
sotto il profilo contrappuntistico.[20]
Dall’altro lato, le continue variazioni dell’organico vocale nella
proposizione degli slanci imitativi e, soprattutto, l’animazione
ritmica delle linee melodiche, che avanzano spesso in moto «presto»
o «veloce», conferiscono vivacità agli episodi che si susseguono.[21]
Nel complesso, all’interno di una cornice piuttosto rilassata, costituita
dalla declamazione omoritmica del verso iniziale e dall’enfatico
rallentamento che caratterizza l’ultima enunciazione del settenario
conclusivo, si afferma una scrittura che, pur privilegiando il "dinamismo",
si sviluppa in maniera piuttosto omogenea, senza l’intervento di
slanci ornamentali o inaspettate accelerazioni che ne turbino la
regolarità. Ad un tale modo di procedere, si combina una condotta
consonante delle parti che non conosce praticamente alcuna deviazione
nell’intero corso del brano. In effetti, la comparsa degli intervalli
dissonanti si verifica nella forma di rapide "note di passaggio"
o, tutt’al più, è circoscritta alla preparazione delle cadenze «con
sincopa».
La natura positiva delle risoluzioni cadenzali più
utilizzate e più strutturalmente rilevanti, la vitalità ritmica
delle linee melodiche in imitazione e la costruzione di un ordito
polifonico consonante da cima a fondo, sono i principali strumenti
di cui Gesualdo si avvale al fine di manifestare il carattere lieto
e sereno della situazione illustrata dal madrigale guariniano.
Quanto sia stretto e poco casuale l’intreccio tra
queste soluzioni compositive e il testo poetico si evince con ancora
maggiore chiarezza dal confronto con la strategia interpretativa
da lui realizzata per Sospirav’il mio core.
Gesualdo mette in musica la lirica adespota suddividendola
in due parti, che corrispondono alle due fasi del discorso poetico
(descrizione/lamento-recriminazione). La tabella 3 mostra la struttura
generale dell’intonazione riconducibile al tonal type
-sol2-Mi/La.[22]
Tabella 3
Nell’ottica del sistema dodecacordale diventa legittima
l’ipotesi che nel porre in musica questo testo Gesualdo abbia inteso
fare riferimento alle categorie eolia-ipoeolia e, in particolare,
all’elemento plagale della coppia. Un’eventuale attribuzione a quest’ultimo
è suggerita non soltanto dagli ambiti delle cinque voci (illustrati
nella tabella 4), ma anche dal modo di procedere per larghi tratti
discendente dell’ordito polifonico. Tuttavia, soprattutto nella
prima parte, in ragione del parziale rilievo conferito alla sonorità
di Si, non è facile stabilire se siano più enfatizzate le specie
di quarta e di quinta dei modi nono e decimo o quelle dei modi terzo
e quarto (frigio-ipofrigio). Sulla base di quanto sostiene Zarlino
il possibile ricorso ad una tale forma di commistione non ha assolutamente
alcunché di eccezionale, ed anzi è riscontrabile con notevole frequenza.[23]
Tabella 4
Il regolare approccio alla lirica e il moderato codice
espressivo di Dolce spirto d’Amore lasciano il posto in
Sospirav’il mio core ad un fare compositivo più audace contrassegnato
dalla coesistenza di tendenze in apparenza opposte e difficilmente
conciliabili.
Da un lato, intensificando le propensioni alla segmentazione
insite in una materia poetica che prevede alcuni interventi di discorso
diretto ed è costruita sull’accumulo di termini e sintagmi dalla
forte connotazione emotiva, Gesualdo elabora un processo di individuazione
stilistica che nel variare la configurazione e la combinazione di
differenti parametri compositivi in relazione a circoscritte espressioni
della lirica, giunge a conferire una marcata identificazione musicale
a porzioni di testo che non coincidono necessariamente, non solo
con il lungo endecasillabo, ma talvolta nemmeno con il breve settenario.
Dall’altro lato, gli stessi procedimenti che concorrono alla caratterizzazione
degli episodi musicali associati alle singole immagini liriche,
contribuiscono, attraverso la costanza del loro ricorrere, all’unità
di un’intonazione percorsa da molteplici spinte alla disgregazione.
In altri termini, i contrasti riguardanti l’organico impiegato,
la scrittura e la condotta delle parti, che si verificano a livello
locale tra passaggi contigui di dimensioni talora piuttosto ridotte,
risultano convogliati e coordinati in un disegno complessivo che,
con coerenza, ne scandisce e ne regola la successione in base alla
carica affettiva dei vocaboli e delle locuzioni proposte dal testo
poetico.
Un ruolo senza dubbio fondamentale in entrambe le
direzioni è svolto dalle cadenze. Dal quadro illustrato dalla tabella
3 emergono con evidenza due dati. Innanzitutto, la cospicua quantità
di flessioni cadenzali, certo spesso assai deboli, cui si aggiungono
alcune fermate che non presentano in nessuna delle linee melodiche
una risoluzione di semitono, interviene per mezzo di una disseminazione
veramente capillare a punteggiare sintagma per sintagma, immagine
per immagine il decorso del dettato poetico. In questo caso più
che mai, l’uso intensivo delle cadenze sembra motivato dall’esigenza
di attribuire loro una funzione anche semantica. In secondo luogo,
lo schema proposto mette in luce una prevalenza schiacciante dei
modelli cadenzali negativi, contraddistinti dall’orientamento discendente
del semitono di risoluzione. La percentuale numerica e il rilievo
strutturale quasi assoluto assunto da queste formule appare sorprendente,
nonostante sia pienamente adeguato al clima affettivo di buona parte
della lirica. È in particolar modo degno di considerazione il fatto
che Gesualdo non abbia inteso operare una significativa differenziazione
della qualità delle risoluzioni cadenzali, né tra la prima e la
seconda parte in cui egli suddivide il brano, né tra i tre momenti
in cui si articola la progressione emotiva ed evenemenziale del
testo poetico.
Se un mutamento avviene, tra le due parti, questo
riguarda non tanto i modelli cadenzali quanto le sonorità, le classi
di altezze via via enfatizzate e dunque il complessivo orientamento
"tonale". La prima parte, a cominciare dalle deboli flessioni che
ne punteggiano l’esordio fino alle più marcate formule ritardate
che ne segnano la conclusione, vede principalmente affermarsi attraverso
le risoluzioni cadenzali la sonorità di Mi. Nella seconda parte,
inizialmente è confermato il rilievo di questa sonorità, ma nella
lunga fase finale (vale a dire nella ripetizione variata del nono
e decimo verso) le cadenze tendono a privilegiare la sonorità di
La con la quale si chiude l’intera composizione. Ad una tale individuazione
di due poli tonali, non corrisponde però una contrapposizione dei
modelli cadenzali ad essi associati, che in entrambe le sezioni
si confermano essere la mezzacadenza e, soprattutto, la risoluzione
frigia.[24]
L’adozione costante e pervasiva di queste formule conferisce un’uniforme
connotazione di languido patetismo all’intera situazione descritta
ed evocata dalla lirica.
La logica esegetica che sottende la lettura gesualdiana
può essere ancor meglio apprezzata se si esaminano alcune particolari
soluzioni escogitate dal Principe.
Tra gli espedienti di cui il compositore si serve
al fine di fornire una caratterizzazione espressiva agli episodi
poetico-musicali, un posto di sicuro rilievo è occupato dall’uso
della dissonanza, che in quest’occasione si rivela tutt’altro che
marginale. Alla condotta delle parti totalmente consonante delle
sezioni omoritmiche, infatti, si contrappone in alcune sezioni imitative
una proliferazione degli incontri dissonanti che non si limita alla
preparazione delle cadenze e non può essere considerata «accidentale».
Tuttavia, il processo di individuazione musicale delle immagini
liriche, ancor più che al semplice avvicendamento di differenti
modalità di organizzazione dei rapporti tra le parti, è connesso
ai mutamenti che coinvolgono, talvolta simultaneamente, anche le
forme della scrittura, le dimensioni della compagine vocale e la
conformazione melodico-ritmica dei soggetti utilizzati. Si pensi,
a tale proposito, a ciò che avviene nella seconda parte del brano,
laddove è possibile ascoltare consecutivamente l’intonazione dei
quattro versi finali. Nell’arco di dieci battute (batt. 9-19) si
susseguono ben cinque tipi di combinazioni tra questi parametri:
una sezione imitativa a cinque voci che procede nella fase iniziale
con uniforme andamento discendente ed è costellata da numerosi intervalli
dissonanti; un più rapido e tutto consonante recitativo corale a
cinque voci; un rilassato complesso pseudo-polifonico consonante
e discendente proposto dalle tre voci inferiori; un vivace e frammentario
episodio imitativo costruito sull’intreccio e sulla sovrapposizione
di concisi motivi aperti per salto ascendente e punteggiato da fuggevoli
dissonanze; un complesso a quattro voci tendenti all’omofonia, diviso
in due segmenti raccordati da una sola voce che effettua un salto
d’ottava. La creazione di un rapporto conflittuale tra porzioni
di testo adiacenti è qui chiaramente funzionale ad esprimere l’urgenza
emotiva che percorre la lirica, ed in modo particolare la sua conclusione.
Non meno efficace appare in quest’ottica la repentina riduzione
dell’organico con cui il Principe, passando da cinque voci in omoritmia
a due voci in imitazione stretta che sfociano nel silenzio di una
pausa, distingue la porzione narrativa («un sospir che dicea») e
quella in discorso diretto («"L’anima spiro"») che compongono il
terzo verso (prima parte, batt. 6-8) e, allo stesso tempo, rappresenta
musicalmente l’esanimarsi dell’amante.[25]
Al contempo, non pochi segnali testimoniano la volontà
del compositore di instaurare correlazioni e parallelismi tra immagini
distanti. Lo dimostrano le affinità ritmiche del recitativo corale
impiegato per i sintagmi «anch’ella sospirò» e «in vista sì cortesi»
e, in modo più stringente, alcuni passaggi connessi alle cadenze
più importanti del brano, sulle quali è bene concentrare l’attenzione.
Un’analisi di queste formule permette di osservare alcuni dei più
tipici procedimenti approntati da Gesualdo allo scopo di incrementare
la valenza espressiva dei modelli cadenzali.
Esempio 2a
- 2b
Le risoluzioni frigie illustrate dall’esempio 2, le
prime cadenze di un certo rilievo all’interno di ciascuna delle
due parti in cui è suddiviso il brano, sono accompagnate da un’analoga
gamma di stratagemmi volti ad accentuarne la carica negativa. I
due passaggi, rispettivamente l’intonazione del secondo verso e
la seconda esposizione del membro settenario del verso 7D, sono
contrassegnati dalla formazione di vere e proprie concatenazioni
dissonanti (di settime e none nell’es.
2a; soprattutto di settime nell’es.
2b). In entrambi i casi, la ricca trama di dissonanze è generata
dalla sovrapposizione di linee melodiche che, sviluppandosi attraverso
una discesa di grado, giungono nelle voci estreme a percorrere un
intervallo di sesta minore e sfociano nella formula frigia ritardandone
la risoluzione. Il contesto dissonante, la qualità dei disegni melodici
che contemplano all’interno di alcune voci le patetiche figure discendenti
di quarta diminuita (nell'Alto del primo passaggio, nel Canto del
secondo) e di tetracordo minore (nel Basso in ambedue gli episodi),
la quantità dei semitoni discendenti (tre e due rispettivamente)
e il ritardo della risoluzione, sono tutti elementi che insieme
associati esaltano il carattere doloroso tanto delle due immagini
quanto dei due differenti momenti della lirica (lo sfinimento iniziale
e la disillusione della seconda parte).[26]
Degna di considerazione è pure la cadenza che chiude
ma non conclude la prima occorrenza dell’invocazione «O mal nati
messaggi e mal intesi» (es.
2b).[27]
Si tratta di una debolissima flessione di una voce sola che probabilmente
si rifà, eludendolo, al modello della cadenza perfetta. Il raggiungimento
della risoluzione avviene a cavallo tra la fine del verso e la sua
nuova esposizione, in quanto sia l’incedere dell’Alto, sia il movimento
ascendente del semitono strutturale si>do ad opera del Basso risultano
interrotti da pause; di conseguenza, un maggiore risalto è conferito
al moto discendente del semitono non strutturale effettuato dal
Tenore. Qui, come in altri madrigali del Terzo Libro, si
ha la sensazione che a motivare il sabotaggio del modello perfetto
sia, oltre che l’ovvia esigenza di non spezzare il flusso musicale,
anche un intento espressivo: «mal intesi» sono sia i «messaggi»,
sia la risoluzione.
Esempio 3a
- 3b
L’esempio
3 mostra lo snodo cruciale del percorso affettivo di
Sospirav’il mio core, vale a dire il momento in cui le parole
proferite dalla donna rivelano il significato dei suoi precedenti
sospiri.
Gesualdo esalta la drammaticità dell’imperativo «Mori»
e della conseguente interiezione dell’amante attraverso un improvviso
restringimento dell’organico vocale, che isola e differenzia l’immagine
sia dalla compatta declamazione omoritmica antecedente, sia dal
vivace andamento imitativo con cui riprende l’enunciazione della
"condanna" da parte dell’amata. L’esposizione e la ripetizione variata
del breve passaggio sono affidate ad un complesso a tre parti che
si apre con un salto di terza operato da tutte le voci, e che si
chiude, attraverso l’incedere per lo più discendente e parallelo
delle linee melodiche, con una flessione frigia imperfetta. Nel
primo caso, un movimento diretto di semitono cromatico fa
fa effettuato dal Basso arricchisce la preparazione del movimento
cadenzale; nel secondo caso, la consecutiva proposizione dell’episodio
ad opera dapprima delle tre parti più acute ed in seguito di quelle
inferiori, determina un progressivo sprofondamento verso il grave
capace di accrescere ulteriormente il senso di contrizione e disfacimento
che contraddistingue la lettura gesualdiana di questa porzione di
testo. Per inciso, si può sottolineare come la modalità di approccio
alla prima cadenza riveli una parziale somiglianza con quella delle
«cadentie cromatiche» proposte da Vicentino. Gli esempi leggibili
al capitolo XLVIII del Terzo libro de L’Antica Musica ridotta
alla moderna prattica, si differenziano dal caso in esame in
quanto sono tutti impostati secondo il modello autentico e presentano
un cromatismo melodico ascendente nella voce superiore.[28]
Tuttavia, entrambi gli autori utilizzano il cromatismo come una
forma di avvicinamento alla risoluzione, giovandosi di uno slittamento
di semitono durante la preparazione della clausula tradizionale.
Molto più deflagrante sarà l’inserimento di tali movimenti melodici
all’interno di numerose cadenze rintracciabili in altri madrigali
gesualdiani, soprattutto dei libri Quinto e Sesto.[29]
Meritevoli di attenzione sono pure le cadenze che
chiudono le due parti in cui si articola la composizione. Anche
in questa circostanza le due formule mostrano tra loro più di una
analogia.[30]
Esempio 4a
- 4b
Gesualdo connota l’implorazione femminile «Non morir,
non morire» con una cadenza frigia particolarmente patetica (es.
4a), rivelando così di essere più interessato ad esprimere il
significato letterale del termine «morire» che il senso della negazione.
La tipica risoluzione ritardata re6>(la4)Mi,
peraltro già utilizzata dal compositore nella prima esposizione
di questa immagine, viene qui protratta con un’estensione che ne
acuisce il peso espressivo. Alle clausulae proprie del modello
frigio assegnate alle parti di Alto e di Basso, segue l’enfatico
gesto melodico del Canto e del Quinto che compiono un salto di ottava
per intonare un’ultima volta il sintagma «non morire». Poco dopo,
le medesime due voci superiori pongono un sigillo definitivo alla
risoluzione e alla prima sezione della lirica, con un doppio movimento
discendente di semitono.
La formula ideata dal Principe per terminare il brano
si rivela ancor più eloquente e teatrale (es.
4b). In primo luogo, Gesualdo abbandona l’animata scrittura
imitativa adoperata nell’intonazione della parte iniziale dell’ultimo
verso, per lasciare spazio ad una declamazione tendente all’omoritmia
dell’immagine conclusiva. In secondo luogo, egli spezza l’esecuzione
di questo sintagma finale («il tuo languire») in due movimenti cadenzali
separati da pause: la prima volta, una mezzacadenza semplice ed
una flessione frigia ritardata; la seconda volta, una mezzacadenza
semplice, che contempla al suo interno le clausulae frigie,
ed una cadenza frigia prolungata, ritardata e ribadita dall’intero
organico. Lo scarto intervallare che si produce in alcune voci tra
le altezze raggiunte dalla mezzacadenza e le sonorità con cui ha
inizio il successivo «languire», incrementa ulteriormente l’efficacia
retorica di questo finale.[31]
La caduta verso il grave che si crea tra i due segmenti del testo
e che, tra l’altro, è resa ancor più acre dal rapporto che intercorre
tra le altezze toccate dal Canto e dal Basso (si passa dal fa4
al si3
e dal do4
al fa3 nella voce superiore, dal fa2
al si1
in quella inferiore), esprime pienamente gli accenti emotivi che
accompagnano l’inesorabile punizione inflitta dalla donna all’amante.
Ad una valutazione complessiva, la marcata propensione
ad illuminare le potenzialità espressive di immagini poetiche di
estensione ridotta, non impedisce al compositore di elaborare un’interpretazione
musicale decisamente coerente di Sospirav’il mio core. La
qualità costante dei modelli cadenzali adottati e le sottili corrispondenze
stilistiche ravvisabili tra passaggi piuttosto distanti, fanno da
contrappeso al processo di individuazione musicale dei segmenti
testuali e contribuiscono ad instaurare un "clima" affettivo sostanzialmente
omogeneo per tutta la durata del brano. Il fatto che nel quadro
dei procedimenti compositivi utilizzati non siano riscontrabili
sensibili variazioni in rapporto alla sezione con cui si conclude
la prima parte dell’intonazione, induce a ritenere che in essa Gesualdo
non abbia inteso rispecchiare il mutamento parziale e momentaneo
della condizione dell’amante che è proposto dalla lirica. Egli sembra
piuttosto orientato a mettere in luce il tono accorato, contrito
e allo stesso tempo languido che si rinviene quasi ad ogni passo
del testo poetico, evidenziando così in forma continua l’urgenza
emotiva che sottende la situazione evocata. In questo modo, la lettura
musicale gesualdiana non giunge dunque a dirimere l’ambiguità di
fondo che contraddistingue i versi esaminati.
Conclusioni
La scelta dei modelli cadenzali operata da Gesualdo
nei due brani rispecchia efficacemente il diverso orientamento affettivo
dei testi poetici. Inoltre, il carattere di esemplarità di queste
intonazioni deriva dalla realizzazione di strategie compositive
che si contrappongono pure sotto altri profili. Certamente i piani
cadenzali dei madrigali del Terzo Libro non sono sempre così
uniformi dal punto di vista dei modelli selezionati, ma ciò non
toglie che la funzione e la connotazione espressiva loro attribuita
in Dolce spirto d’Amore e Sospirav’il mio core siano
perseguite con coerenza anche nel resto della raccolta. Un elemento
di conferma in tal senso proviene dalle costanti che si registrano
a livello micro-strutturale nel panorama dei procedimenti compositivi
approntati dal Principe allo scopo di incrementare le potenzialità
espressive delle formule cadenzali e, in particolare, di quelle
riconducibili ai modelli "negativi".
A conclusione del presente studio è mia intenzione
proporre un breve catalogo di cadenze che, pur non essendo esaustivo,
illustri tanto la pervasiva diffusione di questi procedimenti, alcuni
dei quali già incontrati nell’analisi di Sospirav’il mio core,
quanto la fitta rete di connessioni testuali-musicali da cui è percorsa
l’intera raccolta. Tra gli espedienti che ricorrono con maggiore
frequenza assumono notevole rilievo alcune figure melodiche (quarte
e quinte diminuite prese per salto o per grado, tetracordo minore
discendente, altri intervalli consonanti o dissonanti coperti per
salto), che il compositore utilizza di preferenza in relazione ai
movimenti di preparazione e risoluzione delle cadenze, laddove si
tratta di rimarcare immagini liriche di valenza patetica. L’impiego
di tali figure e, più in generale, il repertorio di soluzioni di
cui Gesualdo si serve a fini espressivi (quantità dei semitoni aggiuntivi
e ritardo della risoluzione, inserimento di semitoni cromatici nel
corso della preparazione, processi di evaporazione o elusione capaci
di rovesciare la forza positiva della risoluzione, proliferazione
degli incontri dissonanti in sede di preparazione), testimoniano
il suo radicamento nel solco di una tradizione che ha in Cipriano
de Rore un sicuro punto di riferimento.[32]
Allo stesso tempo, il processo di accumulo e d’intensificazione
cui egli sottopone strumenti compositivi già adottati in funzione
esegetica da altri musicisti, sembra preannunciare l’indirizzo stilistico
non soltanto del Quarto Libro (si pensi ad esempio alle formule
cadenzali escogitate in Cor mio deh non piangete e in
Ecco morirò dunque) ma anche dei più celebri e audaci libri
successivi.
Voi volete ch’io mora. «[mi farete morendo]
oimè sentire» (batt. 32-34, seconda parte). Il brano termina con
una mezzacadenza re>La arricchita di una componente frigia. Sovrapposto
all’abituale clausula basizans del Basso, un quadruplice,
non simultaneo, movimento di semitono chiude l’incedere discendente
delle quattro voci superiori, che nel Quinto e nel Tenore presentano
rispettivamente i gesti melodici di quarta diminuita fa>mi-re>do
e di tetracordo minore la-sol-fa>mi. L’elemento frigio è costituito
dal moto si>la
proposto dapprima dall’Alto ed in seguito dal Canto. In virtù di
questa mescolanza tra i due modelli, la formula mostra notevoli
affinità con la cadenza Sib>La elaborata da Cipriano de Rore per
concludere il celebre madrigale O sonno, o della queta, umida,
ombrosa.[33]
Languisco e moro, ahi cruda. «Languisc’e moro
[ahi cruda]» (batt. 1-3). Il madrigale si apre con un crollo del
Canto, del Quinto e del Tenore che dopo un salto di quarta discendono
in forma più graduale fino a coprire rispettivamente un intervallo
di settima diminuita, di ottava diminuita e di ottava giusta. A
punteggiare questo esordio è chiamata la flessione 0sol6
>La che si rifà
al modello perfetto eludendone però il movimento di risoluzione.
Infatti, a sigillare la figura di quarta diminuita do-si>la>sol
proposta dal Canto, non interviene l’atteso semitono strutturale
ascendente, ma una pausa. Della formula perfetta compaiono dunque
tutti gli elementi, meno quello essenziale; ad essere posto in evidenza
rimane il semitono non strutturale re>do
del Quinto. Come già in occasione del passaggio discusso nell’esempio
2b, lo "svuotamento" della risoluzione (la cui funzione è anche
quella di suggerire la sonorità di La quale principale polo tonale
del brano) sembra coniugare un intento espressivo all’esigenza di
evitare un’eccessiva frattura con lo sviluppo della frase successiva.
«deh per pietà [consola]» (batt. 12-14). Il crollo
simultaneo di più voci è impiegato successivamente anche nella doppia
esposizione di questo sintagma. In entrambi i casi, a sottolineare
il termine «pietà» interviene una cadenza negativa (frigia sol>La,
mezzacadenza la4>Mi) seguita da pause in tutte le voci.
«[or che pietosa sei] dolce’è il morire» (batt. 27-28).
Molto interessante è la chiusa del brano con la quale il compositore
sembra intenzionato a suggerire la duplice valenza affettiva della
"dolce morte" invocata dall’io-lirico. La "positiva" cadenza autentica
Mi>La che pone un sigillo definitivo all’intonazione è preceduta
non soltanto dalle clausulae proprie del modello frigio nell’Alto
e nel Basso, ma anche dal contemporaneo salto discendente di quinta
diminuita (fa-si, re-sol#) proposto dalle parti di Canto e di Tenore
nell’esecuzione del vocabolo «dolce».
Del bel de bei vostr’occhi. «Lasso ne mort’è
già [ch’el mio tormento]» (batt. 18-21). La prima intonazione del
sintagma è demarcata dalla formula mi9-Do6>Si
seguita da pause in tutte le voci. Anche in questo caso la componente
del modello frigio si somma agli elementi della mezzacadenza in
maniera tale da produrre una triplice risoluzione per semitono discendente.
Nel Quinto, voce superiore di questo passaggio, è posta in bella
evidenza la quarta diminuita sol>fa-mi>re.
La ripetizione della seconda parte del sintagma si chiude con una
formula che presenta analoghe caratteristiche.
Veggio sì dal mio sole. «[Amor non vuole] /
ch’io scopri i miei tormenti» (batt.15-18). L’intonazione del verso
è affidata ad un complesso di tre voci: le parti di Quinto e di
Tenore procedono in parallelo attraverso una discesa di grado che
le porta a coprire un intervallo di quinta giusta e di quinta diminuita
(mi>re-do-si>la,
destinata a formare un arco melodico con l’ascesa proposta nel sintagma
precedente); il Canto interviene con leggero sfasamento presentando
una figura di quarta diminuita discendente (si>la-sol>fa).
La formula perfetta 0fa6>sol,
preparata al termine della discesa, viene disattesa tramite l’inserimento
di una pausa in tutte le voci che interrompe il flusso polifonico
sulla sospensione dissonante. L’attacco del verso seguente avviene
con la prevista sonorità di arrivo, ma a proporlo è un diverso organico
costituito dalle tre voci inferiori. Pure in quest’occasione, dunque,
la preparazione e il moto discendente del semitono non strutturale
sono posti in risalto a discapito della risoluzione.
La flessione 0fa6>sol
compare successivamente in forma completa a concludere la seconda
esposizione del sintagma «qual empia sorte» (batt. 27-28), all’interno
di una fase del brano costellata da mezzecadenze. In tal caso la
preparazione della formula è preceduta da un duplice movimento di
semitono cromatico (fa-fanel
Canto, si-si
nel Basso).
"Non t’amo" ò voc'ingrata. «[Pur viss’et vivo;]
ahi non si può morire» (batt. 21-24) La declamazione del sintagma,
contrassegnata da una scrittura tendente all’omoritmia, viene una
prima volta affidata alle quattro voci superiori e, dopo un’interruzione
completa del flusso musicale, è ripetuta ad opera delle quattro
voci inferiori. L’esposizione e la ripetizione variata sono in stretta
correlazione tanto sul piano armonico quanto su quello melodico.
L’andamento discendente di tre linee melodiche su quattro, tra le
quali si registra l’immancabile quarta diminuita nel Quinto (sol-fa-mi-re),
contribuisce ulteriormente a creare una progressiva caduta verso
il grave della compagine vocale, del tutto simile a quella riscontrata
nel passaggio «"Mori" dicest’oimè» in Sospirav’il mio core.
In entrambi i casi, la frase si chiude con una cadenza frigia che
è arricchita da un duplice ritardo. All’accumulo di tre semitoni
discendenti durante la risoluzione, si aggiungono i cromatismi diretti
(do-do nel Canto
/fa-fa nell’Alto)
che precedono la clausula tenorizans della flessione cadenzale.
«[ahi non si può morire] / di duol e di martire» (batt.
27-30). Il madrigale si conclude con una complessa formula cadenzale
che compendia e riunisce le caratteristiche della risoluzione frigia
e della mezzacadenza. La compresenza dei due modelli si verifica
attraverso una ripartizione dei ruoli. Le clausulae della
cadenza frigia sono presentate dalle voci di Alto e di Basso per
due volte di seguito. In un primo tempo il semitono discendente
(fa-mi) è collocato nell’Alto, ma poi le funzioni delle due voci
si invertono di modo che la clausula tenorizans è assegnata
alla parte inferiore. A questo punto il Basso non compie l’abituale
movimento di semitono, ma sprofonda con un salto di nona minore
a raggiungere il mi1, l’altezza più grave dell’intero
brano; contemporaneamente il Canto ed il Tenore effettuano i movimenti
strutturali di una mezzacadenza.[34]
Il lento incedere discendente di quasi tutte le parti, tra le quali
spicca il Canto che nel coprire una sesta minore (mi-re-do>si-la>sol)
arriva alla risoluzione di semitono, e la densa presenza degli intervalli
dissonanti, accrescono il potenziale espressivo di questo finale.
Ancidetemi pur grievi martiri. «Ancidetemi
pur grievi martiri» (batt. 1-3). L’intonazione del verso si dipana
in due fasi non interrotte da una vera e propria cesura. La declamazione
omoritmica del sintagma «Ancidetemi pur» presenta le clausolae
di una flessione frigia «semplice» sulla base delle quali il Canto
effettua il salto discendente di quinta diminuita sol-do.
L’esposizione di «grievi martiri» con un’orchestrazione vocale leggermente
più screziata, si conclude con una mezzacadenza seguita da pause
in tutte le voci, e propone nell’Alto il graduale gesto melodico
di quarta diminuita fa>mi-re>do.
Identici procedimenti sono utilizzati nella ripetizione trasposta
dell’episodio (batt. 9-11).
Dolcissimo sospiro. «[deh vieni a raddolcire]
/ l’amaro mio dolore» (batt. 23-24). L’intonazione del verso si
conclude con una tipica formula frigia ritardata sol6>(re4)La
seguita da pause in tutte le voci. Nel raggiungere il movimento
semitonale di risoluzione le parti del Quinto e del Basso compiono
una discesa per gradi congiunti di settima diminuita (si-do)
e di settima minore (sol-la). È interessante notare che questo passaggio
viene citato da Athanasius Kircher all’interno della sezione della
Musurgia Universalis dedicata ad illustrare gli «exempla
affectus dolorosi» (paragrafo «De affectu doloris»).[35]
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Note al testo
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* Questo articolo è il frutto
di una ricerca che ho iniziato con la tesi di laurea Il tema
dell'amore non corrisposto nei madrigali di Gesualdo da Venosa:
analisi poetico-musicale dei libri Terzo e Quarto, Università
degli Studi di Pavia, Scuola di Paleografia e filologia musicale,
A.A. 2000-2001.
[1] La tecnica cadenzale gesualdiana
è stata indagata con premesse, terminologia e obiettivi differenti,
nei seguenti studi: GEORGE R. MARSHALL, The Harmonic Laws in
the Madrigals of Carlo Gesualdo, Ph. D. Dissertation,
New York University 1955, pp. 127-154; JOHN H. ANDERSON, The
Cadence in the Madrigals of Gesualdo, Ph. D. Dissertation, The
Catholic University of America, Washington D. C., 1964; GLENN E.
WATKINS, Gesualdo the Man and His Music, London, Oxford University
Press, 1973, pp. 185-194 (paragrafo Tonality and Cadence
dedicato alle cadenze nei libri Quinto e Sesto), pur
adottando una diversa metodologia sono guidati in primo luogo da
un interesse armonico; PAOLO CECCHI, Cadenze e modalità nel "Quinto
Libro di Madrigali a cinque voci" di Carlo Gesualdo, «Rivista
Italiana di Musicologia», XXII, 1988, pp. 93-131, sviluppa invece
un esame dei rapporti che intercorrono tra le cadenze e il testo
poetico da una prospettiva modale; ROLAND JACKSON, Gesualdo’s
Cadences: Innovation Set against Convention, in Musicologia
Humana. Studies in Honor of Warren and Ursula Kirkendale, ed.
by Siegfried Gmeinwieser, David Hiley, Jörg Riedlbauer, Firenze,
Olschki, 1994, pp. 275-288, focalizza l’attenzione anche su alcuni
aspetti di carattere contrappuntistico; MARCO MANGANI, Alcuni
aspetti del cromatismo di Gesualdo, «Philomusica online», I/1,
2001-2002, ha di recente proposto su questa rivista uno studio delle
relazioni tra uso del cromatismo ed elusione dei procedimenti cadenzali,
analizzando, in particolare, alcuni passaggi tratti da madrigali
dei libri Quarto, Quinto e Sesto.
[2] Si vedano WATKINS,
Gesualdo the Man, cit., pp. 111-132, 149-164; ANTHONY NEWCOMB,
The Madrigal at Ferrara 1579-1597, I, Princeton, Princeton University
Press, 1980, pp. 113-153, in part. pp. 126-131; ELIO DURANTE – ANNA
MARTELLOTTI, Introduzione a CARLO GESUALDO DA VENOSA,
Partitura delli sei libri de’ Madrigali a cinque voci, dell’Illustrissimo,
et Eccellentiss. Prencipe di Venosa, D. Carlo Gesualdo, Genova,
Pavoni, 1613, (facsimile, Firenze, S.P.E.S., 1987), pp. 7-54; ELIO
DURANTE - ANNA MARTELLOTTI, Tasso, Luzzaschi e il Principe di
Venosa, in Tasso, la musica, i musicisti a cura di Maria
Antonella Balsano e Thomas Walker, Firenze, Olschki, 1988, pp. 17-44;
PAOLO CECCHI, Le scelte poetiche di Carlo Gesualdo: fonti letterarie
e musicali, in La musica a Napoli durante il Seicento. Atti
del Convegno Internazionale di studi, a cura di Domenico Antonio
D’Alessandro e Agostino Ziino, Roma, Torre d’Orfeo, 1988, pp. 47-75.
[3] Si vedano STEFANO
LA VIA, «Concentus Iovis adversus Saturni Voces»: magia, musica
astrale e umanesimo nel IV Intermedio del 1589, «I Tatti Studies»,
V, 1994, pp. 111-156; ID., Il lamento di Venere abbandonata,
Lucca, LIM, 1994, capp. 4-5, pp. 35-81; ID., Origini del «recitativo
corale» monteverdiano: gli ultimi madrigali di Cipriano de Rore,
in Monteverdi: recitativo in monodia e polifonia, Roma, Accademia
Nazionale dei Lincei, 1996, pp. 23-58; ID., «Natura delle cadenze»
e «natura contraria delli modi». Punti di convergenza fra teoria
e prassi nel madrigale cinquecentesco, «Il Saggiatore Musicale»,
IV/1 1997, pp. 5-51; ID., Monteverdi esegeta: rilettura di «Cruda
Amarilli/O Mirtillo», in Intorno a Monteverdi,
a cura di Maria Caraci Vela e Rodobaldo Tibaldi, Lucca, LIM, 1999,
pp. 77-99; ID, Giovanni Bardi contrappuntista ed esegeta,
in Neoplatonismo, musica, letteratura nel Rinascimento. I Bardi
di Vernio e l’Accademia della Crusca, «Cahiers Accademia», 2000,
pp. 107-135; ID., «E’l mio duro martir vince ogni stile». Marenzio
e l’espressione musicale dell’inesprimibile petrarchesco, in
Luca Marenzio nel Rinascimento Italiano ed europeo. Atti del
Convegno Internazionale di studi (Coccaglio, 10-11 settembre 1999),
a cura di Iain Fenlon e Franco Piperno (in corso di stampa); ID.,
Eros and Thanatos. A Ficinian and Laurentian Reading of Verdelot’s
«Sì lieta e grata morte», «Early Music History», XXI (2002),
pp. 75-116. Nel delineare questo metodo in forma sintetica, mi baso
sulla sua formulazione leggibile in LA VIA «Natura delle cadenze»
cit., in part. pp. 22-42. In primo luogo, nell’assortimento delle
formule di risoluzione utilizzato da Rore, egli ha individuato la
ricorrenza di alcuni modelli cadenzali che si possono raggruppare
in due categorie fondamentali sulla base dell’orientamento ascendente
o discendente del semitono cadenzale. Nel fornire una descrizione
dettagliata di questi modelli di risoluzione, La Via specifica che
le definizioni ad essi applicate e le soluzioni grafiche adottate
nell’indicazione delle triadi sono prive di qualsiasi «implicazione
armonico-funzionale riferibile al moderno sistema tonale». Le loro
caratteristiche essenziali sono le seguenti: Autentica = la risoluzione
per semitono ascendente di una delle voci superiori è accompagnata
dal salto di quarta ascendente o quinta discendente della voce più
grave (tipo V>I, ad es. Do>Fa); Perfetta = la risoluzione per semitono
ascendente di una delle voci superiori è accompagnata dal moto per
tono discendente della voce più grave e, talvolta, da movimento
discendente di semitono non strutturale (tipo 0VII6
con quinta diminuita >I, ad es. 0mi6>Fa);
Plagale perfetta = simile all’autentica, ma il salto «è ora di quinta
ascendente o quarta discendente, e la risoluzione per semitono ascendente
è prodotta tramite nota di passaggio» (tipo IV>I, ad es. Sib [0mi4]>Fa);
Mezzacadenza = la risoluzione per semitono discendente di una delle
voci superiori è accompagnata dal salto di quarta discendente o
quinta ascendente della voce più grave (ad es, Fa>Do); Frigia =
la risoluzione per semitono discendente (spesso ma non sempre effettuata
dalla voce più grave) è accompagnata dal moto per tono ascendente
dell’altra voce strutturale (ad es, re6>Mi); Plagale
Imperfetta = simile alla mezzacadenza ma il semitono cadenzale «non
procede verso né proviene da ottava o unisono […] e la qualità di
entrambe le triadi, di partenza e di arrivo, è minore » (ad es,
re>la). In secondo luogo, La Via ha rilevato come Rore sia orientato
ad applicare i modelli con risoluzione per semitono ascendente a
"zone" dei testi poetici positive sul piano affettivo e a connettere
le risoluzioni per semitono discendente ad espressioni e concetti
di valenza negativa, conferendo alle cadenze una funzione che non
è riducibile a quella sintattico-modale descritta da teorici quali
Zarlino e Vicentino. L’impiego delle formule cadenzali come «ricchissimo
e sofisticato mezzo di espressione, di "lettura musicale" del testo
poetico», per il quale La Via ha trovato più di un elemento di conferma
nella teoria della «natura delle affezioni delle cadenze» codificata
da VINCENZO GALILEI, Il primo libro della prattica de contrapunto
e Discorso…intorno all’uso delle dissonanze (ms. Firenze,
1588-1591 ca.), ed. in Die Kontrappunkttraktate Vincenzo Galileis,
hrsg. von F. Rempp, Köln, Arno Volk-Hans Gerig, 1980, coinvolge
non soltanto il livello della micro-struttura, ma anche l’organizzazione
tonale dei brani. Infatti, «gli ultimi madrigali di Cipriano […]
sono spesso caratterizzati dall’alternanza o dalla contrapposizione
dialettica di due distinti poli tonali (tonal focuses) […].
Tale bipolarità altro non è che la fedele riproduzione musicale
dell’antitesi concettuale, del "contrapposto" affettivo rappresentato
nel testo poetico […]. A ciascun polo affettivo del testo poetico
il compositore tende ad associare non solo una determinata sonorità
strutturalmente rilevante, ma anche una determinata categoria di
modelli cadenzali» (pp. 32-33).
[4] Per l’analisi poetico-musicale
dei madrigali ho consultato: l’unico esemplare esistente della prima
edizione, CARLO GESUALDO DA VENOSA, Madrigali A Cinque Voci,
Ferrara, Vittorio Baldini, 1595, sopravvissuto con i soli libri-parte
del Canto e dell’Alto e custodito presso la Biblioteca del Conservatorio
San Pietro a Maiella di Napoli; l’esemplare completo dei cinque
libri-parte della prima ristampa ID., Madrigali A Cinque Voci.
Libro Terzo, Venezia, Angelo Gardano, 1603, conservato nella
Bibliothèque Nationale de France di Parigi; l’edizione in partitura
curata da Molinaro, ID., Partitura, cit.; l’edizione moderna
ID., Sämtliche Madrigale für fünf Stimmen, III, hrsg. von
Wilhelm Weismann, Hamburg, Ugrino, 1957-1962. Quest’ultima si fonda
sulla Partitura del 1613, tuttavia, da una lettura dell’apparato
volto ad indicare gli emendamenti apportati, emerge chiaramente
come Weismann, quantomeno per la parte musicale, abbia tenuto conto
anche delle edizioni precedenti. Nella trascrizione delle liriche
ho scelto di prendere come riferimento la prima ristampa del 1603,
dato che la prima edizione del 1595 risulta incompleta. Gli esempi
musicali sono prodotti nella forma del Mensurstrich che,
rispetto all’irregolare suddivisione delle battute approntata da
Molinaro nel disporre le voci in partitura e seguita da Weismann
nell’edizione moderna, risulta più idonea ai fini analitici di questo
studio, in quanto permette di rispecchiare meglio la configurazione
visiva del testo musicale originale. Nel corso delle analisi, la
disamina di episodi musicali di cui non viene proposto l’esempio,
vede la citazione dei numeri di battuta in riferimento all’edizione
moderna.
[5] Dolce spirto d’Amore
è incluso in GIOVAN BATTISTA GUARINI, Rime del molto illustre
Signor Cavalier Battista Guarini, Venezia, Ciotti, 1598, c.
72v; l’esemplare che ho consultato è conservato presso la Biblioteca
Nazionale di Torino.
[6] Oltre a Guarini si pensi
a GIOVAN BATTISTA PIGNA, Il ben divino, inedito a cura di
Neuro Bonifazi, Bologna, Commissione per i testi di lingua, 1965,
(ad esempio la ballata CLXIII e i tre madrigali CLXIV-CLXVI); GIOVAN
BATTISTA PIGNA Gli Amori – ORAZIO MAGNANINI, Discorso
sopra "Gli Amori", ed. critica a cura di David Nolan con la
revisione di Alan Bullock, Bologna, Commissione per i testi di lingua,
1991, (ad esempio il madrigale LXVI); e ad ANNIBALE POCATERRA,
Poesie Amorose di Annibale Pocaterra Ferrarese-Composizioni non
approvate dall’autore per digni e legitimi suoi parti, come li precedenti,
Ms. ital. 729=a .M.8.12., Biblioteca
Estense di Modena (ad esempio il madrigale Sospirava il ben mio),
di cui proprio nel Terzo Libro Gesualdo intona Dolcissimo
sospiro. A proposito dei temi trattati ne Il ben divino
di Pigna e nelle Poesie Amorose di Pocaterra, si veda anche
ARNALDO DI BENEDETTO, Due canzonieri ferraresi dell’età del Tasso,
in Tasso, minori e minimi a Ferrara, Torino, Genesi, 1989,
pp. 151-162.
[7] Rispetto alla versione
di Dolce spirto d’Amore proposta da 1603, le altre edizioni
di cui ho preso visione presentano soltanto alcune varianti nell’uso
delle elisioni. Inoltre, varianti di carattere esclusivamente formale
si registrano tra la versione del testo affrontata da Gesualdo e
quella rinvenibile nelle Rime guariniane.
[8] Il Gareggiamento poetico
del Confuso Accademico Ordito. Madrigali amorosi, gravi e
piacevoli ne’ quali si vede il bello, il leggiadro & il vivace dei
più illustri poeti d’Italia, Venezia, Barezzo Barezzi, 1611,
del quale ho consultato il testimone conservato presso l’Archivio
Storico della Biblioteca Civica de’ Gregoriana di Crescentino (VC),
è una raccolta miscellanea interamente dedicata al madrigale letterario
del secondo ‘500 e dei primissimi anni del ‘600. Uno dei principali
motivi di interesse della raccolta è costituito dal modulo ordinativo
delle liriche in essa elaborato. I madrigali nel Gareggiamento
non vengono disposti secondo la loro paternità, ma sono organizzati
in base a criteri di tipo contenutistico in nove macro-categorie
(denominate «Parte») così intitolate: «Bellezze», «Le Dependenze»,
«Le Imagini», «Le Lodi», «Varii», «I Misti», «Himenei», «Lo Scherzo»,
«Il Mausoleo». Ognuna di queste macro-categorie risulta anch’essa
suddivisa in un numero variabile di sezioni, segnalate da sintetiche
didascalie assai affini a quelle utilizzate nelle Rime del
Guarini. I singoli testi sono quindi radunati, in ragione dell’argomento
specifico e indipendentemente dall’autore, in raggruppamenti di
dimensioni diseguali (da un minimo di due o tre fino ad una ventina)
che a loro volta sommati vanno a comporre una delle nove categorie
generali. All’interno de «Le Dependenze», che per lo più hanno quali
occasioni poetiche le manifestazioni "dinamiche" delle «Bellezze»
celebrate nella prima «Parte», figurano, tra le altre, le sezioni
«Sospiri di amante» e «Sospiri d’amata». Si veda anche ALESSANDRO
MARTINI, Ritratto del madrigale poetico tra Cinque e Seicento,
«Lettere italiane», XXXIII, 1981, pp. 529-548.
[9] Anche in questo caso,
le varianti tra le edizioni sono limitate al campo delle elisioni.
Qui, come altrove, 1613 tende a ridurle al minimo.
[10] La nascita di una speranza
nell’io-lirico non viene espressa direttamente, ma si evince dalla
delusione che caratterizza la sezione successiva.
[11] I simboli e le abbreviazioni
utilizzati in questa tabella, e successivamente nella tabella 3,
sono in gran parte analoghi a quelli escogitati da LA VIA, «Natura
delle cadenze», cit., pp. 24, 35. Le prime due colonne propongono
l’una il numero dei versi e lo schema rimico, l’altra il testo poetico
vero e proprio. Le formule cadenzali sono ripartite in base alle
seguenti tipologie: Fr = (cadenza) Frigia; Mc = Mezzacadenza / Pl.
Imp. = Plagale Imperfetta; Au = Autentica / Perf. = Perfetta; Ferm.
= Fermata (non indica una vera e propria risoluzione cadenzale,
ma un’interruzione del flusso musicale che coinvolge l’intera compagine
vocale senza che sia rinvenibile in alcuna sua parte un movimento
di semitono strutturale). I simboli adottati nell’indicazione degli
accordi che si susseguono in una risoluzione cadenzale o in una
fermata, sono da intendere scevri da ogni riferimento al sistema
tonale moderno: La = triade maggiore di La con intervalli di terza
e di quinta tra il Basso e le voci superiori; la = triade minore
di La; La6 e la65 = triadi maggiore
o minore di La con intervalli di terza e sesta, e di terza, quinta
e sesta tra il Basso e le voci superiori; lav = triade
vuota su La; 0si6 = triade diminuita; x =
incontro verticale che oltre a proporre la sovrapposizione di uno
o più intervalli dissonanti, può essere privo degli elementi sufficienti
ad identificarlo come una triade, oppure è da considerare come un
triade incompleta (vuota) "allo stato di rivolto". Gli altri simboli
adottati sono: > = segnala la risoluzione di una triade in quella
che segue; - = indica la successione di due triadi; (la) oppure
(Mi > La) = l’inclusione tra parentesi indica la provvisorietà della
sonorità o della risoluzione; si6 > (Do)la6
= indica uno dei modi più classici di «fuggir la cadenza», la sonorità
posta in apice è quella che viene disattesa dal movimento del Basso
o di una delle altre voci; sol > la evap. = segnala una
evaporazione cadenzale (definizione coniata da NEWCOMB, The Madrigal,
cit. p. 120), vale a dire un affievolimento della cadenza, provocato
dall’assottigliarsi (improvviso o progressivo) dell’organico vocale
durante la preparazione o la risoluzione stessa; → = segnala una
successione di movimenti di risoluzione, riferibili a modelli cadenzali
diversi; * = l’asterisco posto sui simboli musicali e sul testo
poetico, segnala quei casi in cui la risoluzione avviene a cavallo
tra due episodi poetico-musicali differenti. Nella sezione della
tabella in cui compaiono le indicazioni concernenti le forme della
scrittura e la compagine vocale si è operata una distinzione molto
generale tra: Imit. = scrittura imitativa; Omof. = scrittura omofonica;
Imit.-Omof. = tale indicazione è adottata per denotare i numerosi
episodi poetico-musicali nei quali l’imitazione stringe ben presto,
perlopiù in vista di una cadenza, verso una completa o quasi completa
declamazione omofonica. La segnalazione dell’organico utilizza le
abbreviazioni C=Canto, A=Alto, Q=Quinto, T=Tenore, B=Basso. Anche
per quanto riguarda la condotta delle parti si è operata una distinzione
molto generale tra: Cons. = passaggi in cui prevale una condotta
delle parti consonante, l’eventuale presenza di intervalli dissonanti
ha uno scarso peso nella caratterizzazione di questi episodi; Diss.
= passaggi in cui prevale nettamente una condotta delle parti dissonante;
Cons.-Diss. = episodi nei quali il rilievo qualitativo o quantitativo
assunto dagli intervalli dissonanti è tale da apparire un elemento
caratterizzante degli stessi, in altri termini, questa indicazione
ricorre sia laddove gli incontri dissonanti, pur non emergendo dal
punto di vista numerico, spiccano sotto altri profili (collocazione,
preparazione, risoluzione, ecc.) sia nei casi in cui la diffusione
di tali intervalli si fa pervasiva, ma le modalità del loro trattamento
risultano abbastanza tradizionali. Le definizioni delle clausulae
cadenzali (cantizans, altizans, tenorizans
e basizans) più oltre impiegate nella descrizione di singoli
passaggi sono tratte da BERNHARD MEIER, The Modes of Classical
Polyphony Described According to the Sources, New York, Broude
Brothers 1988, pp. 89-segg..
[12] Per quanto concerne
la definizione e le implicazioni del concetto di tonal type,
si veda HAROLD S. POWERS, Tonal Types and Modal Categories in
Renaissance Polyphony, «JAMS», XXXIV/3, 1981, pp. 428-470.
[13] L’approccio a questo
aspetto dell’analisi è volutamente ipotetico, in quanto si tiene
conto delle considerazioni effettuate da POWERS, Tonal Types,
cit., a proposito della problematicità del rapporto esistente tra
teoria e prassi polifonica e della distinzione che egli stabilisce
tra emic modal categories ed etic tonal types.
[14] Per quel che riguarda
la diffusa associazione di questo tonal type al modo lidio
e le strategie volte ad indicare il contrasto autentico-plagale
tra i modi quinto e sesto, si veda POWERS, Tonal Types, cit.,
pp. 437-segg. A proposito dell’origine medievale dell’ "essenzialità"
del sib nei modi con finalis fa, si veda HAROLD S. POWERS
– FRANS WIERING, s.v. « Mode», in The New Grove Dictionary
of Music and Musicians, XVI, London, Macmillan, 2001, pp. 775-823:779.
[15] A proposito del Modo
Ionio, GIOSEFFO ZARLINO, Le Istitutioni, Venezia, Franceschi,
1558, (facsimile, New York, Broude Brothers, 1965), Quarta Parte,
cap. 28, pp. 333-334, afferma che esso «si trasporta fuori delle
sue Chorde naturali per una Diatessaron nell’acuto; passando per
le chorde del Tetrachordo Synemennon, overo per una Diapente nel
grave, con l’aiuto della corda b». Egli indica come cadenze regolari
per l’undicesimo modo non trasposto quelle che si fanno sulle corde
C, E, G, c. Per quel che riguarda la definizione glareanica di «nuovo
modo quinto» e il problema della differente distribuzione delle
categorie modali tra il sistema tradizionale e quello dodecacordale,
si veda POWERS, Mode, cit., pp. 808-segg..
[16] L’annotazione sullo
scarso impiego all’interno del brano di stratagemmi volti ad indebolire
le cadenze deve essere rimarcata. NEWCOMB, The Madrigal,
cit. pp. 129-130, ha rilevato come l’ampio utilizzo di tali espedienti
costituisca uno dei principali tratti stilistici sia del Terzo
Libro gesualdiano sia, più in generale, della produzione madrigalistica
ferrarese degli anni ’90 del ‘500. Inoltre, più avanti si potrà
osservare come non di rado in altre intonazioni Gesualdo si serva
dei procedimenti riconducibili alla tecnica del «fuggir la cadenza»,
al fine di "sovvertire" la valenza positiva delle formule autentica
o perfetta in corrispondenza di immagini liriche che indicano sfinimento,
languore, ecc. Per quanto riguarda la distinzione zarliniana tra
cadenza «semplice» e cadenza «diminuita» («con sincopa») e le considerazioni
sulla maggiore forza conclusiva di quest’ultima si veda LA VIA,
«Natura delle cadenze», cit., pp. 9-11. Si veda a tale proposito
anche la nota 18.
[17] Il testo poetico di
Ridolfo Arlotti celebra la bellezza di una donna sviluppando il
tipico motivo dell’«aura»-Laura. Anche il lessico di questa lirica,
come già osservato da ALFRED EINSTEIN, The Italian Madrigal,
II, transl. by Alexander Krappe, Roger H. Sessions and Oliver Strunk,
Princeton, Princeton University Press, 1949, p. 706, è privo delle
consuete figure patetiche (morte, dolore, languore, pietà ecc).
Einstein, peraltro, riteneva che l’intonazione di Meraviglia
d’Amore facesse parte di un gruppo di brani composto più anticamente
degli altri inseriti nella terza raccolta.
[18] Si veda LA VIA, «Natura
delle cadenze», cit., pp. 28-29. GALILEI, Discorso, cit.,
pp. 144-145, definisce in questo modo due cadenze «con sincopa»
di tipo autentico e prosegue sostenendo che «le Cadenze dove per
l’ordinario interviene la Quarta o la sua replicata» (proprio quanto
avviene nella maggior parte delle formule qui approntate da Gesualdo)
«poi ch’elle così bene concludono, essere cosa ragionevole di usarle
nel fine dell’Oratione, et nel mezzo di essa le altre. Il che verrà
ottimamente fatto, sempre ch’elle siano informate da concetti conformi
alla natura loro».
[19] GALILEI, Discorso
cit., p. 144, proponendo tre esempi di cadenza di cui l’ultima è
una formula frigia, afferma che «la natura dell’affettioni loro
sono molto difficili da introdursi negl’animi quieti […] difficile
è parimente a introdurvi quella della terza, come lasciva et effeminata;
parturita dalla mollitie, et quantità de semituoni, che si trovano
tra le parti estreme dell’arte prodotti: per cagione di che il Genere
Cromatico è sì fatto». L’esempio di Galilei, oltre al movimento
del semitono strutturale che chiude nel Basso un tetracordo minore
discendente, è contraddistinto, come ha già sottolineato LA VIA,
«Natura delle cadenze», cit., p. 29, dall’ulteriore semitono
discendente posto in evidenza nella voce superiore.
[20] «Guida» e «Conseguente»
sono i termini che ZARLINO, Le Istitutioni, cit. Terza Parte,
cap. 51-52, pp. 212-220, utilizza per differenziare un soggetto
dalle parti che lo «replicano» in una fuga o in un’imitazione. Si
veda anche JAMES HAAR, Zarlino’s Definition of Fugue and Imitation,
«JAMS», XXIV/2, 1971, pp. 226-254. La tendenza di Gesualdo ad accorpare
le entrate delle voci in imitazione è stata sottolineata da MARSHALL,
The Harmonic Laws, cit. pp. 97-98. Marshall ritiene che questo
orientamento sia tipico delle prime quattro raccolte gesualdiane
e che esso risponda a «the need of establishing a precise harmonic
structure early in the phrase together with a flowing polyphonic
texture». La convenzionalità del madrigalismo proposto è dimostrata
ad esempio dalla lettura di un passaggio di NICOLA VICENTINO,
L’Antica Musica ridotta alla moderna prattica, Roma,
Antonio Barrè, 1555, (Facsimile-Neudruck, hrsg. von Edward E. Lowinsky,
Kassel, Bärenreiter-Verlag, 1959). Libro IV, cap. XXIX, c. 87 v.,
che recita: «[…] et quando le parole parleranno di riposso, si potrà
far una pausa, e quando di sospiri, far de sospiri per imitare le
parole […]». WATKINS, Gesualdo the Man, cit., pp. 170-175,
ha riscontrato che un tale stratagemma ritorna in diverse composizioni
del Principe, sempre in corrispondenza di termini quali «sospiro»
e «respiro». Il medesimo madrigalismo è utilizzato nell’esordio
di Sospirav’il mio core.
[21] VICENTINO,
L’Antica Musica cit., Libro II, cap. XXI, c. 42 r-v, definisce
otto modi di usare il «Moto»; tra questi indica il «presto» e il
«veloce», costituiti rispettivamente dalle figure di semiminima
e di croma.
[22] Per quanto riguarda
il particolare ruolo assunto dal tonal type♮-g2-A
in alcune raccolte cinquecentesche, non tutte necessariamente ordinate
secondo il sistema degli otto modi tradizionali, si veda POWERS,
Tonal Types cit., pp. 449-450, 452-455, 463-466.
[23] ZARLINO, Le Istitutioni
cit., Quarta Parte, capp. 20-21, 26-27. pp. 323-325, 329-333, ritiene
sia più facile rintracciare i modi terzo e quarto mescolati con
elementi quali la diapente e la «cadenza che si fa in a» dei modi
nono e decimo, che nella forma semplice. Inoltre, nel cap. 30, pp.
336-337, dedicato ai criteri in base ai quali «far giuditio delli
Modi», al fine di dimostrare che la finalis non può essere
assunta come unico elemento per «venire in cognitione del modo»,
prende a spunto il caso di «cantilene» in cui il terzo modo si trova
mescolato con il decimo.
[24] In altri termini,
la strategia interpretativa elaborata dal Principe non è paragonabile
a quella rinvenuta da LA VIA, Il lamento cit., pp. 35-58,
ID., "Natura delle cadenze"cit., pp. 32-42, in Dalle belle
contrade d’oriente e O sonno, o della queta, umida, ombrosa,
due tra i più celebri madrigali di Cipriano de Rore. In entrambi
questi madrigali, infatti, l’analisi di La Via ha dimostrato l’esistenza
di una sistematica correlazione tra poli affettivi del testo poetico,
sonorità affermate e modelli cadenzali di opposta natura. Una tale
correlazione non è ravvisabile nell’intonazione gesualdiana di
Sospirav’il mio core.
[25] È questo uno dei
passaggi di Sospirav’il mio core che NEWCOMB, The Madrigal
cit., pp. 129-130, cita al fine di illustrare la prossimità stilistica
tra le opere ferraresi del Principe e la produzione madrigalistica
di Luzzasco Luzzaschi (nel caso specifico per «Luzzaschi’s tension-filled
silences»).
[26] A proposito dell’adozione
in funzione espressiva delle figure discendenti di quarta diminuita
e tetracordo minore rimando alla nota 32.
[27] NEWCOMB, The Madrigal
cit., pp. 129-130, indica questa flessione come «particularly striking
exemple» di indebolimento cadenzale. Il fa
(semiminima) con cui si apre la linea del Basso è la lezione proposta
da 1603, laddove 1613 presenta fa naturale.
[28] VICENTINO,
L’Antica Musica, cit., c. 61r-v.
[29] Si vedano ad esempio
i passaggi discussi da CECCHI, Cadenze e modalità, cit.,
pp. 106-113; JACKSON, Gesualdo’s Cadences, cit., pp. 280-segg.;
MANGANI, Alcuni aspetti del cromatismo, cit., (in particolare
l’analisi di Languisce al fin chi da la vita parte, Quinto
Libro).
[30] MARSHALL, The
Harmonic Laws, cit., pp. 148-149, ha sottolineato come la cadenza
finale del brano e quella che chiude la prima parte siano «harmonically
[…] identical except for the use of the Picardy third […]».
[31] WATKINS, Gesualdo
the Man, pp. 157-158, ha osservato come «unusual intervallic
treatment of word "languire" can be seen in a number of madrigals»,
tra i passaggi citati figurano, oltre a quello in esame, un episodio
di Cor mio, deh, non languire (Quarto Libro) e l’esordio
di Languisce al fin (Quinto Libro).
[32] Per quanto riguarda
la funzione strutturale ed espressiva attribuita da Rore, Monteverdi
e Marenzio a gesti melodici quali i salti di quarta o di quinta
diminuita, di sesta e di settima, la discesa per grado di quarta
diminuita e il tetracordo minore discendente, si vedano LA VIA,
Il Lamento, cit., pp. 56-58, 70-73, 79-80; ID., Origini,
cit., pp. 55-57; ID., "Natura delle cadenze", cit., pp. 39-41;
ID., "E’l mio duro martir", cit., (in corso di stampa). A
proposito dell’intervallo di quarta diminuita, si consideri la "disputa"
tra l’Artusi e l’Accademico Ottuso riportata in GIOVANNI MARIA ARTUSI,
L’Artusi overo Delle Imperfettioni della Moderna Musica,
In Venetia, Appresso Giacomo Vincenti, 1600, e Seconda Parte
dell’Artusi overo Delle Imperfettioni della moderna musica,
Venezia, Vincenti, 1603, (rist. fotomeccanica, Bologna, Forni, 1968),
c. 48r e pp. 9-10, 14-16. La «nova modulatione» contrastata dall’Artusi
in ragione della sua «deformità» è difesa dall’Ottuso in quanto
«piena di novo affetto, per imitare […] la natura del verso, et
giustamente rappresentare il senso vero del Poeta». Alla domanda
di Artusi: «Quello intervallo che non è ne quarta, ne terza posto
fra due corde una Diatonica, e l’altra Cromatica, che cosa sarà
egli ?», l’Ottuso in primo luogo risponde «ciò essere una nuova
modulatione, per trovare con la novità sua, novo concento, et novo
affetto», e poco dopo, presentando alcuni estratti musicali che
ne mostrano l’utilizzo, «apporto perciò l’autorità del medesimo
Fogliari […], et per esempio Cipriano; poiche m’invita Amore nella
parola dolce mia vita. Et il signor Giaches [Wert] nel Madrigale:
Misera non credea nell’ottavo libro, et nella parola essangue […]»;
e infine conclude che «non deve ella dire, che se bene il moto suo
non è d’intervalli sonori per se, egli è nondimeno usato da molti
Eccellentissimi Autori, et non come ella dice lontano da ogni Harmonia,
et da ogni genere […]».
[33] Si veda LA VIA,
"Natura delle cadenze", cit., pp. 39-41.
[34] Questo balzo di
nona ha attirato l’attenzione anche di EINSTEIN, The Italian
Madrigal, p. 707, e di WATKINS, Gesualdo the Man, p.
155.
[35] ATHANASIUS KIRCHER,
Musurgia Universalis, Roma, 1650 (rist. fotomeccanica, Hildesheim-New
York, Georg Olms Verlag, 1970), Liber Septimus, Pars Tertia, pp.
600-segg.
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