Mogens Pedersøn[1] fu il compositore danese più
importante del periodo del regno di re Cristiano IV (1588-1648). La
sua produzione, sia sacra che profana, fu molto apprezzata già
dai suoi contemporanei ed il compositore riuscì, grazie
soprattutto all’appoggio del suo mecenate, ad affermarsi non
soltanto in patria ma anche all’estero.
Per quanto riguarda la musica profana, molto
significativo è il rapporto che Mogens Pedersøn ebbe con
l’Italia: egli si formò infatti a Venezia presso
Giovanni Gabrieli e scrisse madrigali su testo italiano che furono
diffusi in varie parti d’Europa.
Nel presente articolo si intende dare una visione
generale della storia e della vita culturale danese al tempo di
Cristiano IV, nonché approfondire alcuni aspetti della
produzione profana di Mogens Pedersøn analizzandone in
particolare i rapporti con l’ambiente musicale italiano
dell’epoca.
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Il mecenate: re
Cristiano IV[2]
Cristiano IV nacque il 12 aprile 1577 nel castello di
Frederiksborg (a Hillerød, distante una quarantina di
chilometri da Copenaghen), come figlio primogenito del re Federico
II (1534-1588) e Sophie di Mecklenburg (1557-1631). Scelto nel 1580
come successore al trono del Regno di Danimarca-Norvegia, ottenne
l’acclamazione ufficiale danese nel 1584, quella norvegese, a
Oslo, soltanto nel 1591.
Alla morte di Federico II il principe Cristiano aveva
soltanto undici anni; per gestire il Paese nel periodo della minore
età del nuovo sovrano fu quindi istituito un Consiglio
governativo composto da membri della classe nobiliare. Cristiano IV
fu finalmente incoronato il 29 agosto 1596, non senza aver prima
garantito al Consiglio del Regno una parte del potere decisionale e
alla classe nobile molti privilegi. Si allineò con le scelte
politiche già proprie del Consiglio di reggenza, mirando
però, anche mediante l’affidamento di importanti
funzioni a collaboratori dalla forte personalità, ad una
sempre più fervida attività. Grazie alla sua notevole
disponibilità di denaro il re poté stringere favorevoli
rapporti non solo con la nobiltà danese, ma anche con molti
principi tedeschi; e una gran parte delle finanze del Regno fu
impiegata nella costruzione o ricostruzione di castelli, palazzi e
fortificazioni. Quanto alle costruzioni di difesa contro le potenze
straniere, queste furono quasi interamente rivolte verso la vicina
e pericolosa Svezia. In realtà Cristiano IV aspirava,
contrariamente a quanto voleva la politica più cauta del
Consiglio del Regno, ad osteggiare le tendenze espansionistiche
della Svezia con un conflitto armato che potesse dare al Regno di
Danimarca-Norvegia una priorità nell’Europa del Nord; in
risposta alle provocazioni svedesi arrivò ad imporre la guerra
nel 1611 (guerra ricordata come ‘Kalmar-krigen’).
Nessuna delle due potenze riuscì in realtà a primeggiare:
la pace fu stipulata a Knäred nel gennaio 1613; ciononostante
fu la Svezia a dover pagare una notevole somma di risarcimento e a
rinunciare ad alcuni territori norvegesi.
Nel lasso di tempo che intercorse tra la pace di
Knäred e l’intervento militare della Danimarca in
Germania (1625) durante la Guerra dei Trent’anni, Cristiano
IV si adoperò in nome di uno sviluppo del Regno sotto
molteplici aspetti, soprattutto dal punto di vista
dell’attività mercantile. In quest’ottica va vista
la fondazione di città e fortificazioni in luoghi strategici,
come ad esempio Glückstadt. Quest’ultima, con la sua
posizione sulla foce dell’Elba nei pressi di Amburgo,
chiaramente fu concepita con l’intento di togliere alla
città tedesca il primato di centro mercantile ed economico
nella Germania nordoccidentale (e in generale nell’Europa
settentrionale). Il re aveva in effetti da sempre preparato una sua
espansione nei territori tedeschi mediante legami di sangue e
soprattutto attraverso accordi di carattere economico
(prestiti).
L’intervento della Danimarca su suolo tedesco
nella Guerra dei Trent’anni (dal 1625 al 1629) fu richiesto
espressamente dai prìncipi protestanti della Germania
settentrionale che, spaventati dall’apparizione
dell’esercito della Lega cattolica nei loro territori,
ritennero di poter trovare aiuto nella vicina potenza di religione
luterana. Cristiano IV accettò la richiesta, mosso soprattutto
dalla speranza di approfittare della situazione per estendere il
proprio dominio verso Sud. Tale intervento non era ritenuto
opportuno dal Consiglio del Regno, ma si prospettava forse come
l’unica possibilità per il Regno di Danimarca-Norvegia
di porre rimedio alla sua infelice posizione di territorio stretto
tra la morsa di una duplice minaccia: la Svezia a Nord e la potenza
tedesca a Sud; tanto più che chi richiedeva aiuto dalla
Germania minacciava di rivolgere, in caso di rifiuto, il proprio
appello di soccorso alla potenza svedese. In ogni caso il Consiglio
era perfettamente consapevole dell’inadeguatezza dei mezzi
con cui l’audace Cristiano IV stava intraprendendo tale
iniziativa: né dal punto di vista militare né da quello
diplomatico la Danimarca poteva essere reputata pronta. A dispetto
delle sconfitte militari e dell’occupazione dello Jutland, al
termine della lotta il re riuscì, con la pace di Lubecca
(1629), a cavarsela senza perdite territoriali. Ma la guerra aveva
ormai seriamente intaccato il suo prestigio, sia sul piano militare
che su quello politico; ed era ormai stato reso chiaro agli occhi
di tutti quanto fosse difficile per i Danesi difendere la penisola
dello Jutland.
Nel periodo successivo Cristiano IV si mostrò
incurante dei pareri espressi dal Consiglio del Regno circa la
necessità di rafforzare le difese e diminuire le spinte
espansionistiche; eppure le sue condizioni erano ormai
profondamente mutate soprattutto dal punto di vista finanziario: le
enormi spese per gli armamenti non gli permettevano di ristabilire
quella supremazia economica che aveva avuto fino al 1625. Il
conflitto tra il Consiglio ed il re si acuì sempre più e
si accrebbe il numero dei personaggi potenti all’interno del
Consiglio stesso. E’ opportuno ricordare che benché
fosse lo stesso re a designare i membri del Consiglio, la sua
scelta doveva essere limitata agli esponenti della classe nobile; e
il tentativo di introdurvi alcuni componenti della sua famiglia (i
generi, mariti delle molte figlie avute dalla seconda moglie
Kirsten Munk) con la speranza di esserne sostenuto non ebbe
l’esito desiderato. Il Consiglio riuscì gradualmente a
porre un limite ai poteri militari e alla disponibilità
finanziaria del sovrano, in modo che questi non avesse più i
mezzi per pagare né i suoi fornitori né i suoi creditori.
Di fronte ad una crisi economica che si faceva sempre più
evidente, re e Consiglio obbligarono la nobiltà a rinunciare
ad alcuni privilegi e a versare delle tasse; ma i nobili ottennero
che tale denaro fosse versato in casse provinciali controllate da
commissari appartenenti alla nobiltà stessa, con un
conseguente decentramento politico e amministrativo che rese alcune
situazioni ancor più complicate, dato che i commissari
provinciali si ritennero in grado anche di formulare giudizi sulle
decisioni politiche sia del re che del Consiglio.
Il colpo finale alla politica estera del re fu
l’ultima guerra (1643-1645, detta
‘Torstenssonkrigen’ dal nome del generale svedese che
occupò lo Jutland) che egli condusse contro la Svezia, che in
concomitanza con la crisi danese aveva rafforzato il proprio potere
alleandosi con gli Stati protestanti della Germania. Non mancarono,
in realtà, momenti in cui sembrò rivivere l’eroismo
di un personaggio che aveva saputo rendere celebre il proprio nome,
quali ad esempio la cacciata di Gustaf Horn (comandante svedese)
dalla Scania e soprattutto la battaglia navale di Kolberger Heide
nel luglio 1644. E’ quest’ultimo uno dei momenti
più gloriosi della storia danese, commemorato tuttora assieme
all’audacia di Cristiano IV nell’inno nazionale reale:
«Kong Christian stod ved højen mast i røg og damp
[...]» («Il re Cristiano stava presso l’albero
maestro tra fumo e vapore [...]»); fu la battaglia in cui una
scheggia di granata procurò al sovrano, che combatteva sul
ponte della propria nave, quella ferita all’occhio destro che
sarebbe stata sottolineata da tutta l’iconografia successiva
e che lo fece sempre ricordare come guerriero audace e valoroso. Ma
la durissima pace di Brömsebro (agosto 1645), che impose alla
Danimarca ingenti perdite territoriali, rese assolutamente nulla la
posizione di potere che il Regno di Danimarca-Norvegia aveva fino
ad allora avuto nell’Europa del Nord.
E la figura del re era ormai compromessa anche nella
gestione interna: il Consiglio del Regno e la nobiltà avevano
ormai la meglio su di lui.
Il principe, figlio della prima moglie del re (Anna
Cathrine di Brandenburg, morta nel 1612) e anch’egli di nome
Christian, che già all’età di cinque anni, nel
1608, era stato prescelto dal Consiglio del Regno come successore
al trono, morì prima del padre, nell’estate 1647.
Nell’autunno 1634 per le nozze del principe con Magdalena
Sibylla di Sassonia era stata tenuta a corte una festa senza pari
(‘Det store Bilager’) della durata di ben due
settimane, con la quale Cristiano IV cercò di dare
un’immagine di fasto e di benessere all’Europa intera.
Ma la salute malsana e la condotta non del tutto irreprensibile del
giovane avevano poi fatto sì che al decesso di Cristiano IV,
avvenuto il 28 febbraio 1648 nel castello di Rosenborg
(Copenaghen), il trono fosse vacante. Fu nominato re, non senza
tentativi di impedimento da parte degli arrivisti generi di
Cristiano IV interni al Consiglio del Regno, l’unico altro
figlio rimasto dal primo matrimonio del sovrano: il duca Federico,
che avrebbe poi regnato fino al 1670 con il nome di re Federico
III.
Cristiano IV è ragionevolmente passato alla
storia come sovrano dotato di una personalità che ha lasciato
un’impronta indelebile: è il re di cui qualunque Danese
ha sentito maggiormente parlare. Si tratta in realtà di un
personaggio fortemente contraddittorio: da una parte il sovrano
più amato e conosciuto dal suo popolo, quasi un eroe,
protagonista di un mito certamente alimentato anche
dall’opera di molti artisti romantici; dall’altra colui
che portò allo sfacelo un Regno che prima di passare sotto la
sua guida era ricco e potente. E’ come se nelle mani di
Cristiano IV la parabola del Regno di Danimarca-Norvegia arrivasse
al culmine, imponendosi agli occhi dell’Europa intera, per
poi piombare però irreversibilmente in una condizione di crisi
economica e sociale.[3]
Ancora oggi ci si interroga sul perché del fallimento di un re
che comunque non può che essere ricordato con grande rispetto.
Molti ritengono che egli non abbia saputo intravedere, impegnato
nei suoi conflitti con il Consiglio e i nobili, i vantaggi che gli
sarebbero derivati da un’alleanza con la borghesia; ma
c’è chi osserva a tale proposito[4] che in realtà
un’ipotesi del genere non è realistica per il periodo di
Cristiano IV. La classe borghese infatti ancora non deteneva un
ruolo e una forza (soprattutto economica) sufficienti; li avrebbe
acquisiti pienamente nel periodo di regno di Federico III. E in
realtà la Danimarca, forse senza che vi avesse una
responsabilità diretta l’operato del re o quello dei
suoi collaboratori, attraversava un delicato momento in cui, come
in buona parte d’Europa, si stavano verificando profondi
mutamenti economici e sociali da lungo in incubazione.
E’ comunque opinione comune che questo sovrano
dal carattere fermo, pratico, volenteroso e anche valoroso,
possedesse risorse intellettuali abbastanza limitate; ciò gli
impediva di valutare realisticamente quali fossero le decisioni
migliori da prendere e spesso lo portava a cercare rimedi ai propri
errori mediante calcoli o programmi che in conclusione aggravavano
le stesse situazioni.
Vi sono però alcuni campi per i quali la
politica di Cristiano IV non solo non viene considerata
fallimentare, ma addirittura è ricordata come promotrice di un
periodo di crescita e sviluppo. La cultura e l’istruzione, ad
esempio, raggiunsero a quell’epoca un punto culminante; non
soltanto perché in Danimarca fiorirono scuole, palazzi e
castelli, si riformò l’università e si allevarono
artisti di ogni genere, ma soprattutto perché fu un periodo in
cui, come mai prima e come molto raramente dopo, la cultura danese
riuscì a conquistarsi un posto degno di rispetto in quella
europea. E se è vero, come sostengono in molti, che
personalmente Cristiano IV non aveva grande interesse o competenza
in materia e che tali iniziative ebbero perlopiù origine in
seno a quella parte del Consiglio che nutriva interessi umanistici,
bisogna almeno riconoscere al re il merito di aver capito che forse
proprio la cultura, e con essa le manifestazioni di fasto, più
del potere militare e delle guerre era il mezzo con il quale poteva
far parlare di sé e del suo Regno nelle varie corti
europee.
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La musica alla corte reale
Tra le manifestazioni artistiche e culturali che il
sovrano intendeva come mezzi rappresentativi della sua ricchezza e
della grandeur del
suo Regno, un posto particolare spettava alla musica, disciplina
per la quale, al di là della valenza glorificatrice, sembra
che egli avesse particolare predilezione. E’ infatti soltanto
nel periodo del suo regno che la Danimarca, pur lungi dal diventare
un grande centro musicale, riuscì a migliorare la propria
condizione di "piccola provincia" nel campo della musica e a
guadagnarsi una posizione che fu riconosciuta e ammirata. Prendendo
esempio soprattutto dai vicini principi tedeschi e dalle loro
spesso magnifiche residenze, Cristiano IV finanziò e sostenne
una propria vita musicale di corte, con una ben ponderata
compresenza di musicisti danesi e stranieri. Si preoccupò
sempre, per quanto possibile, di procurarsi i migliori musicisti
del momento, e le scelte nelle assunzioni sembrano molto oculate.
Si può stimare che complessivamente, Cristiano IV regnante,
lavorarono alla corte danese circa 350 musicisti.
Per quanto riguarda gli esecutori, già sotto il
re Federico II la corte aveva accresciuto la propria dotazione.
Fino ad allora era stata consuetudine che il sovrano avesse al
proprio servizio un gruppo di cantori (‘Kantori’)
prevalentemente dedito al repertorio sacro (ma in realtà
impegnato anche con quello profano) e un corpo di trombettieri per
occasioni militari o di rappresentanza
(‘Trompeterkorpset’). Federico II arricchì le
possibilità esecutive con la creazione di un ensemble strumentale composto da
strumenti a corde (ai suonatori venne dato il nome di
‘Giglere’) cui aggiunse anche alcuni fiati. Questo
nuovo gruppo, inizialmente inteso come una filiazione del corpo dei
trombettieri,[5]
conquistò in seguito un sempre maggiore prestigio e, unito con
la ‘Kantori’, formò ciò che prese poi il nome
di ‘Det kongelige Kapel’ (la Cappella Reale).
La storia della musica alla corte di Cristiano IV
può essere sinteticamente divisa in sette periodi, coincidenti
con i più significativi momenti storici:[6]
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- 1588-1596 (periodo della reggenza): il Consiglio di
reggenza ereditò la cappella musicale di Federico II e
cercò di mantenerla nelle medesime condizioni in cui
l’aveva ricevuta, nell’attesa che la gestione potesse
passare al nuovo sovrano. La cappella allora era composta da 47
musici. Non ancora maggiorenne, nel 1595 Cristiano IV intraprese un
viaggio in Germania, e fu quella l’occasione in cui per la
prima volta ebbe la possibilità di ammirare, in diverse corti,
le grandi manifestazioni di fasto musicale che avrebbe poi cercato
di ricreare già a partire dalla cerimonia per la propria
incoronazione.
- 1596-1611 (dall’incoronazione di Cristiano IV
all’inizio della ‘Kalmar-krigen’): per la
propria incoronazione Cristiano IV aumentò il numero dei
componenti della cappella fino ad arrivare a 61, e cercò poi
di mantenere questo organico in modo stabile.
- 1611-1613 (durante la ‘Kalmar-krigen’): la
guerra comportò gravi perdite per la cappella musicale, quali
il licenziamento del maestro di cappella (Gregorius Trehou) e di
altri musicisti.
- 1613-1625 (dal termine della ‘Kalmar-krigen’
all’intervento nella Guerra dei Trent’anni): fu
questo il periodo di massimo splendore alla corte di Cristiano IV.
Il ragguardevole risarcimento pagato dalla Svezia al termine della
guerra permise di provvedere a nuove assunzioni per le
attività musicali. In un primo momento un impulso particolare
fu dato alla musica strumentale: le impressioni ricevute in un
viaggio in Inghilterra presso la sorella Anna, moglie di Giacomo I,
furono tali che il re aumentò in breve tempo il numero dei
propri strumentisti da 9 a 20. Nel 1618 venne finalmente nuovamente
nominato un maestro di cappella nella persona di Melchior
Borchgrevinck, e come vice-maestro fu scelto Mogens Pedersøn;
nello stesso tempo si provvide ad accrescere il numero dei cantori.
Nel periodo di massimo splendore, tra 1618 e 1619, Cristiano IV
poteva vantarsi di avere alle proprie dipendenze ben 77 musici (31
cantori, 30 strumentisti e 16 trombettieri).
- 1625-1634: periodo di grande decadenza. La Danimarca si
impegnò nella guerra che maggiormente avrebbe intaccato la sua
potenza, sia politica che economica; ne risentirono di conseguenza
tutte le manifestazioni artistiche, per le quali mancavano le
risorse. In particolare gli anni 1627-1631 sono ricordati come un
momento di grave crisi, in cui il re talvolta non era in grado di
retribuire i musicisti al proprio servizio.
- 1634-1644: in occasione del matrimonio del principe
erede al trono con la principessa Magdalena Sybilla (1634) il re,
per le grandiose festività organizzate (‘Det Store
Bilager’), riportò la cappella musicale quasi alle
condizioni in cui era stata prima della guerra in Germania: la
presenza di Heinrich Schütz come maestro di cappella alla
corte di Cristiano IV (1633-1635) coincise con i festeggiamenti. Il
re cercò di mantenere alto lo status qualitativo e
quantitativo della cappella musicale anche negli anni successivi,
soprattutto in previsione delle nozze degli altri suoi figli.
Schütz fu nuovamente al suo servizio negli anni
1642-1644.
- 1644-1648: la ‘Torstenssonkrigen’ contro la
Svezia, ultima guerra condotta da Cristiano IV, interruppe il
rinnovato momento di gloria delle manifestazioni artistiche a corte
e si verificarono progressivi licenziamenti degli artisti. Già
quando Schütz lasciò l’impiego nel 1644, della
splendida cappella musicale di Cristiano IV non rimaneva quasi
più nulla.
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Al di là delle alterne vicende che seguirono
strettamente i vari eventi storici, la documentazione sulla vita
musicale a corte è abbondante, soprattutto se relativa a fatti
eccezionali, o in ogni caso considerati particolarmente degni di
nota: abbiamo informazioni (tratte da registri di vario tipo, ma
anche dalle lettere scritte dallo stesso re) su stipendi, su
assunzioni e su licenziamenti; oppure su allestimenti per grandi
feste, su cerimonie, e così via.[7] Più difficile è
riuscire a stabilire la quantità e il modo in cui nella vita
quotidiana la musica era presente a corte, ma si può con
certezza affermare che vi risuonassero quotidianamente musiche
cerimoniali (fanfare), militari, d’intrattenimento e di
accompagnamento alle funzioni religiose.[8] Tra le musiche eseguite a
corte ve ne erano certamente alcune composte dagli stessi musici
del re, ma la maggior parte proveniva dall’estero e circolava
sia in edizioni a stampa sia in copie manoscritte. Senza dubbio
molta musica è a noi oggi sconosciuta, poiché andata
persa.
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I musicisti stranieri a corte
Nel tentativo di elevare la vita musicale della
propria corte al livello di altre corti in Europa, Cristiano IV
provvide ad arricchire la sua cappella musicale con artisti di
notorietà internazionale. Li reclutò soprattutto
dall’Inghilterra, nonché dai Paesi Bassi e dalla
Germania; guardò con attenzione anche alla Polonia, che
eccelleva con la famosa cappella musicale di corte di Varsavia,
all’Italia e, pur se in misura minore, alla Francia.
I rapporti culturali tra la corte danese e quella
d’Inghilterra risalgono già al sec. XVI: suonatori e
interpreti inglesi erano frequentemente, e talvolta a lungo,
ospitati alla corte di Danimarca e ben retribuiti per le loro
rappresentazioni drammatiche e le esecuzioni musicali. Nel 1586, ad
esempio, William Kemp, collega di William Shakespeare al
Blackfriars Theatre di Londra, guidò in Danimarca un gruppo di
ballerini e strumentisti inglesi che si esibì al castello di
Kronborg (Helsingør), lo stesso castello in cui Shakespeare
avrebbe poi ambientato il suo Amleto.[9] Tali rapporti si
intensificarono durante il regno di Cristiano IV, sia perché
con il periodo elisabettiano l’Inghilterra si era ormai
affermata come un Paese in cui le manifestazioni artistiche avevano
raggiunto un altissimo livello ed era quindi uno splendido modello
per il re che voleva ottenere la fama di grande mecenate, sia
perché con la corte inglese il sovrano di Danimarca aveva uno
stretto legame, in virtù del matrimonio di sua sorella Anna
con Giacomo I, vincolo che Cristiano IV si curò sempre di
mantenere ben saldo e di far fruttare il più possibile.
Dell’Inghilterra Cristiano IV apprezzò soprattutto
l’abbondanza e la qualità della musica strumentale; non
stupisce quindi che i musicisti inglesi che assunse fossero
principalmente strumentisti. Il più significativo fu il
liutista John Dowland, che si trattenne alla corte reale danese per
ben otto anni (1598-1606) ricevendo uno stipendio eccezionalmente
alto, oltre a particolari riconoscimenti da parte del sovrano;
alcune composizioni di Dowland videro la luce durante il suo
periodo danese.[10]
Anche William Brade (violista e compositore) ebbe contatti con la
corte di Cristiano IV presso cui si recò tre volte, per
periodi più o meno lunghi, tra 1594 e 1622; suo figlio, il
liutista Christian Brade, fu al servizio del re danese per un paio
d’anni. Si possono inoltre ricordare i violisti Thomas
Simpson e Daniel Norcome, l’arpista Darby Scott e il liutista
Thomas Cuttings.[11]
I Paesi Bassi avevano occupato una posizione di primo
piano nel panorama musicale internazionale per lungo tempo; quando
la musica e lo stile della scuola franco-borgognona erano
considerati i migliori modelli in Europa, Cristiano III (al trono
dal 1534 al 1559) e Federico II (al trono dal 1559 al 1588)
capirono l’importanza di avere, alla guida dei propri musici,
maestri esponenti di quella cultura: l’esempio più
significativo è forse quello di Arnold de Fine, che fu assunto
come organista e come maestro di cappella ed ebbe grandi
riconoscimenti a corte.[12] All’epoca di Cristiano IV il
panorama della storia della musica era cambiato, nuove tendenze
avevano avuto il sopravvento e il primato dei Paesi Bassi era in
parte venuto meno. Ciononostante, forse in omaggio alla tradizione,
pure il nuovo sovrano ebbe alle sue dipendenze musicisti di quella
scuola, e li investì anche di ruoli importanti.[13] Arnold de Fine il Giovane
(figlio del sopraccitato Arnold de Fine), ad esempio, fu
strumentista al servizio del re dal 1603 al 1627. Il successore di
Arnold de Fine (il vecchio) come maestro di cappella fu Bonaventura
Borchgrevinck, nominato nel 1587, ancora vivente Federico II;
arrivò a corte portando al suo seguito dei giovani (fanciulli
cantori), alcuni dei quali vi rimasero anche dopo che egli,
già pochi mesi dopo, rinunciò all’incarico. Tra di
questi era Melchior Borchgrevinck (forse suo figlio), che sotto
Cristiano IV rivestì un ruolo importantissimo come maestro di
cappella proprio nel periodo di massimo splendore culturale del
Regno. Prima di lui un altro suo connazionale, Gregorius Trehou,
aveva ricoperto tale carica ed era stato tenuto nella massima
considerazione a corte fino al suo inevitabile licenziamento in
coincidenza con la ‘Kalmar-krigen’. Per tornare a
Melchior Borchgrevinck (ca. 1570-1632), questi fu un personaggio
particolarmente stimato da Cristiano IV, già da giovane.
Appena nominato organista della cappella nel 1596, ad esempio,
riceveva uno stipendio superiore a quello di tutti gli altri
strumentisti; fu anche più volte prescelto come inviato del re
in diverse città straniere. L’ammirazione particolare
che il re nutriva per il musicista divenne ancor più evidente
con la sua elevazione al rango di maestro di cappella nel 1618;
Borchgrevinck mantenne tale incarico fino alla morte, con una sola
interruzione (1627-1631) causa un licenziamento temporaneo dovuto
alle ristrettezze delle finanze reali durante la Guerra dei
Trent’anni. Del suo operato sono oggi rimaste due antologie
di madrigali a cinque voci da lui raccolti, pubblicate con il
titolo Giardino novo bellissimo di vari fiori musicali
scieltissimi dall’editore Henrico Waltkirch a Copenaghen
negli anni 1605 e 1606;[14] contengono brani di autori soprattutto
italiani tra cui spiccano Leone Leoni e Claudio Monteverdi, mentre
i soli Danesi rappresentati sono, oltre allo stesso Borchgrevinck
(con i madrigali Amatemi, ben mio e Baci amorosi e
cari), Hans Nielsen e Nicolas Gistou (anch’egli, in
realtà, non nato in Danimarca, bensì proveniente da
Bruxelles). I due libri sono dedicati a Cristiano IV (il primo) e a
Giacomo I d’Inghilterra (il secondo).
Tra i cantori, trombettieri e altri strumentisti
nella cappella musicale di Cristiano IV, molti provenivano dalla
Germania: contemporaneo al declino delle presenze fiamminghe si
verificò un accrescimento del valore e della quantità dei
musicisti tedeschi, che già da tempo comunque si distinguevano
come suonatori di trombe. Tra i trombettieri di Cristiano IV si
ricordano in particolare Henrik Lübeck, Magnus Thomsen e
Erhard Stärcke;[15] tra
gli strumentisti Johann Schop e Daniel Zellner, entrambi esperti
nell’uso di strumenti ad arco, il liutista Jørgen Rasch
e l’organista Johannes Meincke. Per istruire i suoi figli il
re scelse, dal 1626, il rinomato compositore tedesco Melchior
Schildt, che fu in servizio presso di lui tre anni.[16] La presenza tedesca
più interessante alla corte danese fu però senza dubbio
quella di Heinrich Schütz che, chiamato dal re su consiglio
dell’erede al trono principe Christian, partì dalla
cappella di Dresda per essere in Danimarca in occasione di
‘Det Store Bilager’ (1634) e ricoprì
l’incarico di maestro di cappella[17] per due anni.
Successivamente tornò alla corte danese nel 1642 per un altro
soggiorno di simile durata. Oltre alle musiche da lui composte per
le festività di corte, delle quali per altro nulla è
rimasto ad eccezione del canto strofico con intermezzi strumentali
Gesang der Venus-Kinder in der Invention genennet Thronus
Veneris [...] (København, H. Krusen, 1634),[18] sembra che Schütz
abbia concepito alcune sue opere importanti in Danimarca: le sue
Musikalische Exequien e la prima e seconda parte dei Kleine
geistliche Konzerte videro probabilmente la luce in territorio
danese, così come la seconda parte delle Symphoniae
Sacrae (dedicata al principe Christian).[19]
Dall’Italia il re si procurò soprattutto
cantanti; nei documenti emergono personaggi come Benedetto Bonaglia
(basso), Agostino Pisone (discantista), il castrato Gregorio Chelli
da Verona (contralto), e il contraltista Agostino Fontana che fu
maestro di cappella negli ultimi mesi di vita di Cristiano IV e
mantenne l’incarico nei primi anni di regno di Federico
III.[20] Ma i
rapporti con l’Italia si esplicarono soprattutto nella
direzione inversa, ossia mediante giovani compositori danesi che
venivano inviati nella Penisola per impadronirsi dello stile
musicale dei grandi maestri italiani.
Numerosi furono anche i musici polacchi a corte: in
particolare si ricordano Adam Pickerow, Jacob Merlis, il suonatore
di cornetto Christopher Zetzinsky e l’organista Vincentius
Bertholusius.[21]
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La musica strumentale: trombettieri e
strumentisti
Il gruppo dei trombettieri può essere
considerato il nucleo generativo del corpo musicale reale; sempre
gratificato di riconoscimenti particolari, per tradizione seguiva
il re in molti dei suoi spostamenti, così come accadeva per
tanti altri prìncipi e sovrani. Cristiano IV non volle mai
rinunciarvi né diminuirne l’organico e
l’importanza, nemmeno nei periodi di maggiore crisi, quando
le manifestazioni musicali vennero ridotte a ciò che era
considerato il minimo indispensabile; dotò persino i suoi
castelli più importanti di particolari pulpiti
(‘Trompeterstole’) atti a contenere i trombettieri,
cosicché la loro musica di intrattenimento o per danza potesse
diffondersi in tutta la sala.[22] Più che gli altri componenti della
cappella reale, il corpo dei trombettieri, che comprendeva anche
dei timpani, era ben adatto a rappresentare il potere del re, non
soltanto sul piano uditivo, ma anche su quello visivo (per
l’uso di uniformi, bandiere, stendardi e talvolta di
strumenti in argento). Oltre all’intrattenimento durante i
banchetti a corte, tale corpo musicale aveva molteplici compiti:
quelli a cui maggiormente era legata la sua origine (ossia le
fanfare, le musiche per cortei e processioni, i segnali musicali in
guerra) e quello più recente di esecuzione di musica di alto
livello, in chiesa e nelle sale d’onore e di banchetto,
talvolta in combinazione con altri strumenti. Fu infatti proprio
all’epoca di Cristiano IV o poco prima che ebbe diffusione in
Danimarca, importato dalla Germania, l’uso delle sonate per
tromba nel cosiddetto "stile italiano",[23] con la conseguente
valorizzazione della tromba e spesso la sua "promozione" a ruolo di
strumento solista per le esecuzioni in registro di clarino.
Distinto dal gruppo dei trombettieri era quello degli
altri strumentisti, atto ad eseguire musiche da camera e di
intrattenimento; la maggior parte delle musiche eseguite circolava
in forma manoscritta e questa produzione è in buona parte
andata persa. Ciononostante siamo oggi in grado di dire che le
forme strumentali maggiormente diffuse erano movimenti di danza,
eseguiti da piccoli consorts; in particolare sembrano aver
avuto fortuna Pavane e Gagliarde, nonché serie di variazioni
su temi famosi o su modelli polifonici preesistenti.
Anche il liuto era per la musica di intrattenimento
uno strumento molto usato, sia come strumento solista o in
combinazione con altri strumenti per l’esecuzione di brani
puramente strumentali, sia per l’accompagnamento del
canto.
Un’importante funzione rivestiva anche
l’organo.[24]
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La ‘Kantori’ e la musica vocale. I
compositori danesi e i loro viaggi in Europa
Eccezionalmente Cristiano IV arrivò ad avere una
‘Kantori’ formata da più di trenta membri, ma la
norma per le corti europee dell’epoca era quella di avere al
servizio una ventina di cantori; tra questi, otto erano
generalmente discantisti (voci bianche), mentre tra i rimanenti
erano ugualmente spartite le voci di alto, tenore e basso. Fu
questo lo standard al quale il sovrano danese cercò di
attenersi. La ‘Kantori’ di Cristiano IV, diversamente
dal gruppo degli strumentisti, era prevalentemente composta da
membri danesi. Ad alcuni di questi cantori e ad altri musici
connazionali il sovrano diede piena fiducia e appoggio; finanziando
viaggi di formazione all’estero diede loro
l’opportunità di venire a conoscenza delle diverse
tendenze musicali europee, cosicché taluni riuscirono nella
pubblicazione di opere che hanno permesso ai loro nomi di essere
ricordati fino ad oggi. Nel 1599 il re mandò a Venezia per un
anno, ad apprendere l’arte di Giovanni Gabrieli, Melchior
Borchgrevinck in compagnia dei cantanti Wilhelm Egbertssøn
(alto), Andreas Aagessøn (tenore) e dei giovani Hans Nielsen e
Mogens Pedersøn. Hans Nielsen vi ritornò per due anni
(1602-1604) assieme a Hans Brachrogge[25] e Niels Mortensen Kolding,
mentre in seguito venne dato il privilegio di un soggiorno italiano
di ben quattro anni (1605-1609) a Mogens Pedersøn, il cui
talento era molto promettente. Questi andò anche in
Inghilterra presso Anna, sorella di Cristiano IV e moglie di
Giacomo I, negli anni 1611-1614; assieme a lui furono Brachrogge,
Jacob Ørn, e il basso Martinus Otto. In realtà il motivo
di questo viaggio inglese non sembra essere stata la formazione e
la preparazione dei musicisti: ricordiamo infatti che Mogens
Pedersøn era da poco rientrato da un soggiorno di ben quattro
anni in Italia. La tesi proposta da John Bergsagel[26] è che i giovani
Danesi fossero stati mandati da Cristiano IV a consolare la sorella
Anna del suo stato di infelicità, come risulta da alcune
lettere e documenti. Il re danese era d'altra parte in quel periodo
impegnato nella ‘Kalmar-krigen’ contro la Svezia, ed
aveva presumibilmente poco tempo da dedicare alle manifestazioni e
ai fasti musicali. Della presenza di tali musicisti in territorio
inglese rimangono alcune testimonianze musicali, rinvenute in
manoscritti compilati in Inghilterra: nel manoscritto Egerton
3665 conservato alla British Library di Londra sono copiati
dieci madrigali di Mogens Pedersøn ed altri dal Giardino
novo pubblicato a cura di M. Borchgrevinck; per quanto riguarda
invece la musica strumentale, nei libri-parte manoscritti Add.
30826-8 della stessa biblioteca londinese si trovano, anche se
in forma incompleta (solo tre voci su cinque), due Pavane per
consort di viole composte da Mogens Pedersøn, mentre
nel Drexel MS 4302 della New York Public Library (detto ms
"Sambrooke") è contenuta una Pavana per sei viole di Jacob
Ørn.[27]
La musica sacra vocale era praticata alla corte ma
anche in larga misura fuori di essa. Oggi risulta abbastanza
difficile stabilire una distinzione tra la musica eseguita nelle
chiese cittadine e quella che si poteva udire durante le funzioni
religiose nelle cappelle delle varie residenze reali. Se ad una
messa solenne in una chiesa della capitale partecipava il sovrano,
la musica impiegata non era senza dubbio di minore prestigio di
quella usata a corte; anzi costituiva un mezzo di esaltazione della
presenza del sovrano stesso. Sarebbe del resto riduttivo credere
che le composizioni scritte dai musicisti di corte esaurissero la
loro circolazione in quel luogo, soprattutto se erano pubblicate a
stampa. Un ruolo del tutto particolare giocavano le musiche
eseguite in chiesa in occasione di feste regali, come ad esempio
battesimi, matrimoni, incoronazioni: in questi casi più che
mai la funzione della musica sacra diveniva soprattutto quella di
rappresentare un potere piuttosto che sottolineare gli aspetti
strettamente liturgici. In linea generale si può comunque
individuare il repertorio destinato alle chiese in cui si recava la
gente comune, soprattutto in campagna, e distinguerlo da uno
più "solenne", legato alla corte o alle più importanti
chiese della capitale e composto da musicisti al servizio del re.
Si analizza qui soprattutto il secondo repertorio, anche se in
realtà le testimonianze rimaste non sono molte.
Bisogna innanzitutto ricordare che in Danimarca la
Riforma luterana aveva trovato un territorio in cui attecchire in
modo saldo e il cattolicesimo era stato abolito già dal 1536.
La funzione religiosa luterana prevedeva l’uso di canti
collettivi e nella lingua madre del Paese; ciononostante
all’epoca di Cristiano IV in Danimarca erano ancora
tollerati, ed anzi addirittura espressamente richiesti per messe
solenni od occasioni particolari, mottetti e tempi di messa
polifonici in latino. In particolare si possono ricordare due messe
in lingua latina di questo periodo, che presumibilmente furono
eseguite dai cantori del re: la messa, attribuita a Gregorius
Trehou, del manoscritto Thott 152 di Det kongelige Bibliotek
a Copenaghen, e la messa a cinque voci di Mogens Pedersøn
contenuta nella sua raccolta del Pratum Spirituale
(København 1620). Interessante è anche la Missa Baci
amorosi a otto voci di Melchior Borchgrevinck, su un madrigale
preesistente dello stesso compositore, pervenutaci incompleta in
attestazione manoscritta.
Nel Pratum Spirituale di Mogens Pedersøn
è rappresentato anche il mottetto in lingua latina; altri
pezzi del genere, scritti da musicisti stranieri (pensiamo ad
esempio al sopraccitato Trehou) e magari dati alle stampe
all’estero, erano sicuramente in uso nelle occasioni più
importanti. Un esempio interessante di mottetto è la Cantio
Nova a sei voci del maestro di cappella di Wolfenbüttel
Thomas Mancinus, dedicata al re Cristiano IV in un bel manoscritto
miniato.[28]
Ma il Pratum Spirituale di Mogens
Pedersøn, di cui si parlerà più diffusamente nelle
pagine successive, è interessante anche perché presenta
una trentina di canti polifonici in lingua danese, perlopiù
rielaborazioni di melodie gregoriane o di corali preesistenti,
pensate senza dubbio espressamente per l’esecuzione a corte o
in qualche grande chiesa: necessitano infatti di un coro nutrito
(nella maggioranza dei casi a cinque voci) e ben preparato, quale
poteva essere quello della cappella reale, o quello composto dai
discepoli di un liceo. In questo senso l’opera di Mogens
Pedersøn si caratterizza rispetto ad altri due testi
fondamentali per la musica sacra danese di allora, che qui si
citano anche se non hanno uno stretto legame con le manifestazioni
musicali a corte e costituirono piuttosto il fondamento delle
celebrazioni religiose "comuni", fornendo musiche religiose
monodiche: si tratta di Den danske Psalmebog di Hans
Thomissøn (stampato in otto edizioni, dal 1569 al 1634, ed in
molteplici altre edizioni senza il testo musicale) e del
Gradual. En almindelig sangbog [...] di Niels
Jesperssøn (1573). Entrambe le opere ebbero il riconoscimento
reale (cioè furono autorizzate come ufficiali) in
un’epoca già anteriore a Cristiano IV e riportano testi
e musiche normalmente usati.
Per quanto riguarda invece la musica vocale profana,
il risultato degli studi dei sopracitati giovani musicisti danesi a
Venezia fu soprattutto la pubblicazione di madrigali: molti di
questi, assieme ad altri composti da musicisti stranieri, o magari
dagli stessi autori danesi ma a noi non pervenuti, sono senza
dubbio stati eseguiti a corte, costituendo la forma più comune
di musica vocale di intrattenimento. La già citata antologia
curata da Melchior Borchgrevinck (Giardino novo bellissimo di
vari fiori musicali scieltissimi) pubblicata presso il più
illustre stampatore musicale di Copenaghen, testimonia quanto un
repertorio come quello madrigalistico fosse diffuso e apprezzato
sia dal sovrano che dalla classe nobile. Quanto alla prassi
esecutiva di tali madrigali si può ritenere che avessero luogo
sia realizzazioni puramente vocali che miste, con il raddoppio o
addirittura la sostituzione di alcune voci mediante
strumenti;[29] questo
sembra suggerito ad esempio dall’illustrazione sul
frontespizio dello stesso Giardino novo: una viola da gamba
e due liuti suonano accompagnando il canto di due fanciulli.
Hans Nielsen pubblicò a Venezia nel 1606, sotto
il nome latinizzato di Giovanni Fonteiio, un libro di madrigali a
cinque voci;[30]
ugualmente fece Mogens Pedersøn, col nome Magno Petreo, nel
1608.[31] Di
Mogens Pedersøn sono rimasti anche dieci madrigali pervenutici
in un’unica attestazione manoscritta nel ms London, British
Library, Egerton 3665. Si cita infine un altro contributo di
musicista danese alla tradizione madrigalistica, ossia le Cantiones
trium vocum (Hamburg, thipis Philippi ab Ohr, impensis Samuelis
Jauchii, 1608) di Truid Aagesen, pubblicazione in cui il
compositore compare con il nome latinizzato di Theodoricus
Sistinus.[32]
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Vita e opere di Mogens Pedersøn
Il luogo e la data di nascita di Mogens Pedersøn
sono sconosciuti. La notizia più datata risale al 1599, anno
del suo primo viaggio d’istruzione in Italia al seguito di
Melchior Borchgrevinck. Tale viaggio fu la prima manifestazione
dell’intenzione del re di Danimarca di arricchire la vita
musicale della sua corte non soltanto chiamando a sé celebri
musici di risonanza internazionale, ma anche offrendo a quelli
danesi l’opportunità di istruirsi e far fiorire il
proprio talento. La meta cui da ogni dove, in Europa, si tendeva,
soprattutto per l’apprendimento di una consolidata tradizione
della musica vocale, era Venezia; in particolare godeva della
massima stima come insegnante Giovanni Gabrieli. La scelta di
Cristiano IV fu dunque molto oculata e al passo con i tempi.
Rientrato dall’Italia, Mogens Pedersøn
proseguì il periodo di apprendistato e solo nel 1603 fu
assunto ufficialmente nella cappella reale in qualità di
strumentista. Le date finora esposte hanno indotto gli studiosi a
stabilire, come anno di nascita indicativo per il musicista, il
1585; Jens Peter Jacobsen ha invece proposto il 1583, osservando
che per prendere parte ad un viaggio lungo e importante quale
quello del 1599, il giovane Mogens Pedersøn doveva almeno
avere sedici anni.[33]
L’età in cui venne assunto risulta comunque un fattore
secondario, poiché si può in ogni caso affermare che le
doti mostrate dal giovane Mogens Pedersøn furono senza dubbio
molte e ben apprezzate: nel 1605 egli fu infatti nuovamente inviato
in Italia per un periodo di studio presso Giovanni Gabrieli,
addirittura per quattro anni. Il musicista partì con una
lettera di raccomandazione redatta dallo stesso re in lingua
italiana.[34] A questo
secondo soggiorno veneziano di Mogens Pedersøn risale la sua
prima opera a stampa: una raccolta di 21 madrigali a 5 voci. Mogens
Pedersøn rimase poco in Danimarca dopo essere tornato da
Venezia nel settembre 1609, dato che nel 1611 partì alla volta
dell’Inghilterra per rimanervi fino all’agosto del 1614
circa.
Altre notizie[35] ci informano dell’affidamento di un
apprendista a Mogens Pedersøn nel 1616 e della sua nomina a
vice-maestro di cappella nel 1618: in conseguenza di tale incarico
gli fu dato il compito di tenere in casa propria e istruire sei
fanciulli. Ebbe anche un importante ruolo nell’educazione
musicale del principe Christian, erede al trono. Probabilmente
rientrava nei compiti del maestro di cappella o del vice-maestro
anche quello di comporre musica per i cortei trionfali del re e le
processioni; in una lettera di pugno di Cristiano IV del 1618 si
legge infatti l’ordine, rivolto a Mogens Pedersøn, di
far esercitare trombettieri e strumentisti, in modo che potessero
ben eseguire la nuova musica per processione che lo stesso
Pedersøn aveva composto. Anche se non sappiamo a quale
specifica occasione fosse destinata questa musica cui il re si
riferisce, la testimonianza è molto interessante, poiché
ci dà notizia di composizioni di Mogens Pedersøn di cui
non ci è rimasto nulla e getta ulteriore luce sulla funzione e
i doveri di un maestro o un vice-maestro di cappella presso
Cristiano IV.[36]
Dal febbraio 1623 il nome di Mogens Pedersøn non
figura più nei registi di contabilità della cappella
musicale reale; compare ancora, però, il nome di sua moglie
(Karine Ernstdatter, citata come «Karen Mogens
Pedersøns») che ritirò la somma mensile
corrispondente alle spese di vitto per i fanciulli apprendisti che
ospitava. Si può quindi desumere che Mogens Pedersøn,
anche se ancora in giovane età, fosse morto nel gennaio 1623.
Il suo successore come vice-maestro di cappella fu Hans Nielsen,
nominato nell’aprile dello stesso anno.
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La produzione strumentale
Ha sempre destato stupore il fatto che di Mogens
Pedersøn, assunto alla cappella di corte con il titolo di
strumentista finché non passò al rango di vice-maestro di
cappella, non ci sia giunta quasi alcuna musica strumentale.
Le uniche testimonianze rimaste sono le due Pavane
per consort di cinque viole pervenuteci in forma incompleta
nei tre libri-parte (Canto, Alto, Tenore) manoscritti conservati
alla British Library di Londra con segnatura Additional
30826-8. Il fatto che queste due composizioni strumentali siano
state copiate in un manoscritto inglese, pur essendo una chiara
spia della presenza di Mogens Pedersøn in quel Paese negli
anni 1611-1614, non permette comunque di affermare con sicurezza
che abbiano visto la luce proprio in Inghilterra: forme di danza
per ensembles strumentali dello stesso genere erano infatti
ben conosciute dai musicisti danesi anche in patria, poiché i
rapporti culturali tra Danimarca e Inghilterra erano da tempo
piuttosto stretti.
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La musica vocale sacra: il Pratum
Spirituale
L’opera più consistente di Mogens
Pedersøn, senza dubbio avvertita come la più
significativa ai suoi tempi, è la raccolta di musica sacra
Pratum Spirituale, pubblicata nel 1620.[37] Ancora oggi il Pratum
Spirituale è riconosciuto come la più antica grande
opera pervenutaci di musica sacra polifonica composta da un autore
danese e su testo danese. Si è già detto come tale
raccolta si inserisca nel contesto storico-religioso della
Danimarca dell’epoca e come si distingua dalle due raccolte
ufficiali di musica sacra in uso (Den danske Psalmebog di
Hans Thomissøn e il Gradual di Niels Jesperssøn)
in quanto propone musica "d’arte" oltre che "di consumo".
Ciò non toglie che il Pratum Spirituale abbia avuto un
impiego pratico non secondario; così infatti si augurava lo
stesso compositore, che sul frontespizio specificò che i brani
contenutivi potevano essere utilizzati in tutto il territorio del
Regno:
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PRATUM
SPIRITUALE
det er
Messer/ Psalmer/ Motteter/ som
brugelig ere udi Danmarck oc Norge/
Componerede med 5. Stemmer aff
Kong: May: Vice-Capel-
mester.
Mogns Pedersøn.
Prentet i Kiøbenhaffn hoss Henrich
Waldkirch.
ANNO M. DC. XX.
L’opera è dedicata al giovane principe
Christian.
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Le composizioni del Pratum Spirituale[38] sono complessivamente 37,
tutte a cinque voci ad eccezione della n. 7 che prevede l’uso
di sei voci. Solo le ultime 6 sono originali invenzioni di Mogens
Pedersøn: le prime 31 composizioni, in lingua danese, sono
infatti rielaborazioni di melodie gregoriane o di corali luterani;
le melodie prese come punto di partenza per le composizioni
polifoniche si trovano quindi tutte, con un’unica eccezione,
almeno in una delle due sopraccitate raccolte di Hans
Thomissøn e Niels Jesperssøn. Le 31 composizioni sono
disposte secondo il calendario liturgico: compaiono prima quelle
per la festa di Natale, poi quelle di Pasqua e quelle di Pentecoste
seguite infine da salmi non strettamente legati ad una
festività.
Tra queste composizioni in lingua danese ve ne sono
anche alcune che costituiscono tempi della messa luterana
(cosiddetta ‘Salmemesse’): compaiono tre Kyrie,
adatti ciascuno ad un determinato periodo dell’anno liturgico
in modo da non lasciare alcuna festività scoperta; come
Gloria nel Pratum Spirituale è proposto il salmo
Alleniste Gud i Himmerig e come Credo il salmo Wi
tro allesammen paa en Gud.
Le ultime composizioni della raccolta sono quelle che
maggiormente mostrano quanto le più antiche funzioni luterane
fossero ancora legate alla prassi ecclesiastica cattolica, in
quanto nel XVII secolo per le occasioni più solenni anche
nelle chiese protestanti si faceva uso della lingua latina. Mogens
Pedersøn ne diede un saggio, con i suoi tre mottetti latini
inclusi nel Pratum Spirituale e soprattutto con la Missa
quinque vocum. Tale messa risulta però abbreviata rispetto
all’Ordinarium cattolico: e non è casualmente
incompleta, bensì volontariamente aderente alle abitudini
danesi di eseguire soltanto il Kyrie, il Gloria e la
prima parte del Credo (fino a Et homo factus est);
anzi, particolarmente conservativo per il luogo e l’epoca
dovette apparire il comportamento di Mogens Pedersøn,
poiché vi inserì anche il Sanctus (ma senza
Benedictus).
Vi sono inoltre nel Pratum Spirituale due
gruppi di responsi corali scritti rispettivamente in lingua danese
(a conclusione della sezione danese della raccolta) e in lingua
latina. I sei Responsoria Latina sono: la risposta corale
Et cum spiritu tuo al Dominus vobiscum del
celebrante; il Gloria tibi Domine che segue
l’introduzione alla lettura del Vangelo (Sequentia sancti
Evangelii secundum N.); due Amen, di cui uno da eseguire
dopo la Colletta e il Padre Nostro, l’altro conclusivo
(Ultimum Amen), da cantare dopo la benedizione; due risposte
corali da eseguirsi nel dialogo che precede il Prefazio: Habemus
ad Dominum (da far seguire a Sursum corda) e Dignum
et justum est (risposta a Gratias agamus Domino Deo
nostro). Le prime quattro risposte corali latine hanno un
corrispettivo nei Responsoria Danica, a detta di Knud
Jeppesen brani magnifici e grandiosi, di grande valore artistico,
forse più che ogni altra composizione del Pratum
Spirituale.
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La musica vocale profana: madrigali e
madrigaletti
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Nel frontespizio del suo primo libro di madrigali a
cinque voci, pubblicato nel 1608 durante il suo secondo soggiorno
veneziano come saggio di quanto aveva appreso
dall’insegnamento di Giovanni Gabrieli, l’autore si
presentò con la versione latinizzata del suo nome:[39]
DI MAGNO
PETREO DANO.
MUSICO,
DELLA MAESTA
DI DANIA, NORVEGIA, ETC.
MADRIGALI A CINQUE VOCI.
LIBRO PRIMO.
Novamente Composti, et dati in Luce.
IN VENETIA,
APPRESSO ANGELO GARDANO ET FRATELLI.
MDCVIII.
Dedicò l’opera al suo mecenate
sottolineandone la liberalità e soprattutto il merito di aver
scelto per lui un grande maestro quale Giovanni Gabrieli,
«vero Lume della Musica»:
ALLA MAESTA
DELL’INVITTISSIMO
CHRISTIANO QUARTO
RE DI DANIA, E DI NORVEGIA, De Gotti, et de Vandali,
DUCA DI SLESVICH, D’HOLSATIA,
di Stomaria, et di Ditmarscia, Conte d’Oldenburg, et
Delmemherst etc.
VENGO devoto ad offerire alla Vostra Maestà
le primitie di que’ frutti, che fin hora ha potuto produrre
il Terreno del mio debil ingegno, se bene sterile da sé
stesso, pure fecondato da quella poca diligenza c’ho potuto
prestare coll’aiuto della sua liberalità, et col benigno
Cielo della sua gratia, senza la quale non haverei hauta
facoltà di palesar al mondo con queste prime fatiche
gl’infiniti oblighi, che mi fa tenerle lo havermi, tratto (si
può dir) dalle falcie, riceuto nella sua Corte; poscia
mantenuto fuori in Italia appresso quel vero Lume della Musica il
Signor Giovanni Gabrielli suo tanto devoto, a gli studij di questa
divina facoltà le cui lodi così sariami superfluo
narrare, come ella tra tutti i Principi, che di quella habbino
perfetta cognitione, il primo loco sen tenga. La prego dunque a
gradir quel, che le porgo, acciò che il Mondo conosca quanto
le son obligato et Servitore, et vasallo, et come intendo
similmente dedicar ogni mia fatica a cui da principio dedicai tutto
me stesso. Così Iddio le conceda longa vita, et a me dia
occasione di servirla sempre conforme al mio desiderio, col quale
alla Maestà Vostra humilissimamente m’inchino.
Di Venetia il dì primo Aprile. 1608.
Humiliss. et Devotiss. della Maestà Vostra
Magno Petreo Dano.
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L’opera, di cui ci è rimasto un unico
esemplare,[40] contiene
21 madrigali e si inserisce perfettamente nella tradizione
instaurata dai musicisti giunti a Venezia soprattutto dal
Nord-Europa per perfezionarsi nella composizione, in particolare
sotto la guida di Giovanni Gabrieli: era consuetudine che gli
allievi al termine del proprio periodo di studi (singolare in
questo senso è il fatto che i madrigali di Mogens
Pedersøn siano stati pubblicati quasi un anno e mezzo prima
che egli facesse rientro in patria) dessero alle stampe un libro di
madrigali su testo italiano, per mostrare di aver raggiunto una
certa abilità compositiva. Il madrigale, genere potenzialmente
aperto a qualsiasi tipo di sperimentazione e che aveva ormai alle
spalle una lunga tradizione, nonché forma in cui il rapporto
testo-musica era assolutamente fondamentale, costituiva infatti il
mezzo migliore, per un compositore "novello", per misurarsi con
diverse tecniche e vari stili e per mettere quindi in luce le
proprie capacità. Tali libri di madrigali scritti dai giovani
compositori costituivano spesso la loro "Opera I", ossia il primo
lavoro dato alle stampe, una sorta di carta da visita con la quale
presentarsi al mondo musicale: la buona o cattiva fortuna di questa
pubblicazione poteva decidere della carriera futura del
musicista.[41]
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Il manoscritto Egerton 3665 della British
Library di Londra (cosiddetto "Tregian Manuscript"), compilato
probabilmente negli anni 1609-1619, contiene dieci madrigali
attribuiti dal copista a Mogens Pedersøn. Tali madrigali si
individuano come un gruppo compatto, in quanto numerati
progressivamente da 1 a 10, oltre che con la numerazione
sequenziale propria della sezione del manoscritto cui appartengono
(nn. 625-634); ognuno di essi è preceduto dalla dicitura
Magno Petreio o Petreio Magno e alla conclusione
della serie dei madrigali si legge la rubrica Ex l. 2°.
1611. Magno Petreio. Dano.
Questo voluminoso manoscritto, riscoperto in
un’asta nel 1950, si è dimostrato assai prezioso per
molti studiosi della musica e della tradizione di alcuni testi
musicali.[42] Per
quanto riguarda le moderne conoscenze su Mogens Pedersøn si
è rivelato assolutamente fondamentale, in quanto riporta
l’unica attestazione di dieci madrigali del compositore di
cui non si aveva altrimenti alcuna traccia.
La rubrica in cui il copista parla di un Libro II del
1611 fa pensare infatti che di Mogens Pedersøn sia stata
pubblicata una raccolta di madrigali successiva a quella del 1608;
di tale stampa non è però finora stato possibile trovare
ulteriori notizie. Si potrebbe avanzare l’ipotesi che tali
composizioni abbiano avuto soltanto una circolazione manoscritta (e
che da un manoscritto, magari di pugno dello stesso autore, il
copista li abbia tratti),[43] oppure quella, in realtà più
plausibile, che esistesse una pubblicazione a stampa
(presumibilmente contenente più di dieci pezzi) andata poi
perduta.[44]
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Altre due composizioni vocali profane di Mogens
Pedersøn sono contenute in una raccolta di madrigaletti del
suo collega, musicista danese al servizio di Cristiano IV, Hans
Brachrogge.[45]
Così si presentano il frontespizio e la dedica della raccolta,
unica opera a noi nota del compositore:
DI
GIOVAN-
NI BRACHROG-
GE, MUSICO
della Maestà
Di Dania Norvegia etc.
Madrigaletti a III. voci.
LIBRO PRIMO.
Novamente composti et dati
in luce.
In Copenhagen,
Appresso
HENRICO WALDKIRCH.
M. DC. XIX.
Alla Maestà, del hinvitissimo
CHRISTIANO IV. RE DI
Dania, Norvegia de Gotti et de vandali, Duca
di Slesvich d’Holsatia Stormaria et Dithmar-
sia, Conte in Oldenburg et
Delmenhorst, etc.
Sacra
Maestà. Ho sempre
osservato, quanto ella si diletta in questa nobil et altre
virtù, il che mi trovo conbattuto d’un estremo
desiderio, di mostrarmegli affett.mo Servitore, et
publicare queste poche note, sotto la protettione di V:
Maestà. ma non potendo in tutto quel ch’io
vorrei, farò in ogni modo quel poco ch’io posso, del mio
giovenil et debil ingegno. Accioché V: Maestà
la vede quanto io sono devoto servidore, però non diffido la
V: Maestà se non con benigno viso accettarlo, non
guardando alla basezza del dono, ma alla grandezza dell’animo
suo, con che humilmente m’inchino, pregando Iddio, che gli
conceda longa vita, et ogni felice contento, Di Copenhagen alli 24.
di Aprile l’Anno 1619.
Humiliss: et Devotiss:
della Maestà vostra.
Giovanni Brachrogge.
Il libro contiene 21 composizioni di cui 19 dello
stesso Brachrogge e 2 di Mogens Pedersøn. I madrigaletti sono
a tre voci (Canto primo, Canto secondo e Basso); si tratta di
composizioni molto brevi, quasi tutte provviste del segno di
ritornello alla fine del pezzo, e talvolta anche all’interno
del pezzo stesso.
I due madrigaletti di Mogens Pedersøn sono i
numeri 8 e 17 all’interno della raccolta e portano
rispettivamente i titoli Non fuggir e L’amara
dipartita.
|
Relazioni musicali e testuali tra i madrigali di
Mogens Pedersøn e la musica vocale profana italiana
|
Si intende ora concentrare l'attenzione sul
significato dei soggiorni italiani di Mogens Pedersøn
nonché, tramite l'analisi di alcuni aspetti dei suoi
madrigali, sui rapporti da lui instaurati con la cultura e i
compositori italiani. Il clima che si respirava alla scuola di
Giovanni Gabrieli era, per così dire, piuttosto
tradizionalista; per alcuni anni, proprio a cavallo tra XVI e XVII
secolo, dopo la scomparsa di Zarlino e prima dell'arrivo di
Monteverdi, secondo alcuni studiosi Venezia fu, se paragonata a
Firenze o Roma, una «palude di conservatorismo».[46] Il nuovo stile italiano
della monodia accompagnata non figura nella produzione degli
allievi, e i madrigali dello stesso maestro non appaiono tra i
più innovativi. Sembra che l’intento di Gabrieli fosse
quello di rendere i propri apprendisti esperti nelle tecniche
compositive tradizionali, considerate basilari per affrontare
qualsiasi altro tipo di composizione particolare: era necessario,
cioè, che i giovani musicisti imparassero ad usare una
regolare e corretta condotta delle parti in un tradizionale
contesto plurivocale, senza basso continuo; la scelta del madrigale
polifonico come mezzo pedagogico derivava quindi dalla convinzione
che una dimestichezza con quella forma e quel genere potesse poi
anche permettere di comporre messe, mottetti e ricercari
strumentali. Non stupisce in effetti che la fama di Giovanni
Gabrieli come maestro fosse grande soprattutto all’estero,
dove ciò che nel paese di origine poteva ormai sembrare
obsoleto costituiva, invece, una novità.
In ogni caso il maestro si mostrò molto
tollerante con le diverse tendenze e le capacità di ogni
singolo allievo, tanto che ciascuno sviluppò un proprio modo
di rendere musicalmente il significato del testo poetico (elemento
fondamentale nel madrigale), facendo un uso molto limitato oppure
quasi estremistico di "madrigalismi". Si possono quindi individuare
nelle composizioni di Mogens Pedersøn alcuni tratti tipici in
comune con altri musicisti della scuola alla quale si formò,
ma non mancano caratteristiche del tutto personali, testimonianza
di un talento che non può passare inosservato, nonché del
fatto che durante i suoi soggiorni veneziani il compositore danese
ebbe molti più interessi e contatti con l’ambiente
culturale italiano di quanto non si sia creduto fino ad oggi. Punto
di partenza molto efficace per un’analisi in tal senso è
la valutazione dei testi poetici dei madrigali.
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I testi
poetici[47]
In nessuno dei testimoni che tramandano le musiche
vocali profane di Mogens Pedersøn i testi poetici portano
menzione d’autore, ma la ricerca condotta su incipitari e
repertori di musica vocale profana[48] ha permesso di attribuire alcuni testi, e
quindi di confrontare la versione contenuta nelle edizioni musicali
(sia a stampa che manoscritta) di Mogens Pedersøn con quelle
contenute in altre raccolte musicali o letterarie. Nella scelta dei
testi poetici da intonare Mogens Pedersøn non si mostrò
né particolarmente modernista, né troppo conservatore;
compaiono tra i suoi madrigali componimenti bucolici come Ecco
la primavera (I, 1) e Tra queste verdi fronde (I, 13)
che richiamano piuttosto la moda degli anni Ottanta del secolo XVI,
ma il compositore volle musicare anche cinque testi guariniani
("T’amo, mia vita!" - Libro I, n. 4; O, che soave
bacio - I, 5; Donna, mentre i’ vi miro - I, 15;
Udite, amanti! Udite - II, 3 e Lasso, perché mi
fuggi - II, 10), ed altri ricchi di ossimori e lirismo
espressivo come Come esser può (I, 9), Dimmi, caro
ben mio (I, 17) e "Son morta!" (II, 7).
L'edizione dei testi poetici, soprattutto se
adespoti, ha presentato diversi problemi; in particolare sono
risultati problematici i testi dei madrigali contenuti in unica
attestazione manoscritta nell’Egerton 3665. Ciò
è dovuto al fatto che il copista ha trascritto i madrigali
mettendoli in partitura, e ha sottoposto il testo poetico soltanto
alla voce di basso o, quando questa tace, alla voce di tenore,
ossia alla voce di volta in volta più grave. Ciò ha
comportato, per distrazione del copista stesso, alcune lacune nel
testo poetico, in punti in cui le voci gravi tacciono e una
porzione di testo è intonata dalle sole voci superiori. In
casi simili, se il testo poetico è sconosciuto alla tradizione
letteraria, l’unico aiuto per colmare le lacune è il
ricorso ad intonazioni del medesimo testo da parte di altri
compositori. Fortunatamente da un'indagine condotta da chi scrive
sulle intonazioni parallele è emerso che più di cento
compositori hanno messo in musica gli stessi testi usati da Mogens
Pedersøn, ciò che permette di avere termini di confronto
abbastanza consistenti. Ci si limiterà qui ad analizzare
alcuni casi salienti.
Si noti nell'esempio
1, al v. 7 di Poss’io prima morire[49] (nella colonna di
sinistra, testo utilizzato da Mogens Pedersøn in II, 2),
l’integrazione editoriale delle parole Ma meritò,
che corrispondono ad un inciso musicale di quattro note intonate da
Canto, Alto e Tenore; tali parole mancano nel manoscritto, e
nonostante la loro assenza possa non avvertirsi sul piano metrico
(dal momento che ci pone semplicemente in presenza di un settenario
anziché di un endecasillabo) è assolutamente evidente dal
punto di vista del significato, poiché fa venire a mancare la
proposizione principale del periodo. Colmare la lacuna in questione
è stato reso possibile proprio dal confronto con un brano
musicale composto sul medesimo testo, anche se con alcune
differenze di cui si parlerà più sotto, appartenente ai
Fioretti musicali del compositore mantovano Amante Franzoni
pubblicati nel 1605[50]
(esempio 1, colonna di destra).
Un’erronea lettura della grafia del manoscritto Egerton
3665 aveva fatto ritenere fino a questo momento agli studiosi
che il madrigale di Mogens Pedersøn avesse incipit Lasso io
prima morire (incipit peraltro privo di senso) e non aveva
quindi permesso confronti di questo genere che possono, come nella
fattispecie, rivelarsi assai utili ai fini della restituzione
testuale.
|
Esempio 1 |
..
|
Mogens
Pedersøn: |
Amante
Franzoni:[51] |
. |
. |
. |
. |
Poss’io prima morire
|
Poss’io prima
morire |
. |
di doglia e di martire,
|
di doglia e di
martìre, |
. |
e contra mi sia ’l
ciel ed ogni stella, |
e contro mi sia
’l ciel ed ogni stella, |
. |
che mai veda cangiar
faccia sì bella. |
che mai veda cangiar
faccia sì bella. |
5
|
Bella e cruda voi
sete |
Bella e cruda voi
sete |
. |
qual fu già
Anasserete. |
qual fu già
Anasserete. |
. |
[Ma meritò] la sua
crudel Natura, |
Ma meritò la sua
crudel Natura, |
.
|
che pietra diventasse fredda e dura!
|
che pietra diventasse
fredda e dura! |
. |
. |
Cruda Licori, i’ temo,
poiché ’l mio duol estremo
da voi qualche pietà mai non
m’impetra.
Non diventiate similmente pietra!
|
|
.Sempre dal confronto
dei madrigali di Pedersøn con le intonazioni parallele, o con
gli originali letterari dove possibile, risulta chiaro che il
compositore danese (o forse qualcun altro prima di lui o in sua
vece) ha riservato un trattamento abbastanza particolare ai testi
scelti per i madrigali: egli infatti spesso utilizza soltanto
alcune parti dei componimenti poetici, e non soltanto impiega, per
i suoi pezzi durchkomponiert, solo alcune sezioni di testi
strofici, ma addirittura accosta tra loro versi appartenenti a
poesie diverse o in ogni caso non contigui nel testo originale.
Nell'esempio
2 sono riportati due madrigali del libro I, che in
realtà, essendo chiamati I parte e II parte,
costituiscono un madrigale unico: il loro testo è attribuibile
a Livio Celiano[52]
(alias Angelo Grillo), il cui Canzoniere è stato edito da
Durante e Martellotti.[53] All'atto del confronto tra i testi
usati da Mogens Pedersøn e gli originali di Grillo risulta che
il testo 1 di Grillo è stato diviso in due parti,
corrispondenti ai due madrigali di Pedersøn; all’inizio
della seconda parte del madrigale sono stati però interpolati
due versi del testo 2 di Grillo, che in realtà non hanno alcun
rapporto diretto con il testo 1. Ne consegue, nella seconda parte
del madrigale di Mogens Pedersøn, un’assoluta mancanza
di senso e continuità.
|
Esempio 2
|
. |
Mogens
Pedersøn: |
Angelo
Grillo:[54] |
. |
. |
. |
. |
Care lagrime mie (I
parte) |
I |
. |
Care lagrime mie, |
Care lagrime
mie, |
. |
messi dolenti de mie pene
rie, |
messi dolenti di mie
pene rie; |
. |
poiché voi non
potete |
poi che voi non
potete |
. |
far molle, ohimè,
quel core |
far molle, ohimè,
quel core, |
5
|
che non ave pietà del
mio dolore. |
che non have pietà
del mio dolore, |
. |
. |
almen per
cortesia |
. |
Se del mio lagrimare
(II parte) |
ammorzate
l’accesa fiamma mia: |
. |
Se del mio lagrimare |
o pur crescete
tanto, |
. |
hai fatto Amor
colmare |
ch’io mi sommerga
nel mio stesso pianto. |
. |
dunque per cortesia |
. |
. |
ammorzate l'accesa fiamma
mia |
II |
10
|
oppur crescete tanto |
Se del mio
lagrimare |
. |
ch’io mi sommerga
nel mio stesso pianto. |
hai fatto, Amore, un
mare, |
. |
. |
deh perch’in duro
scoglio |
. |
.. |
non trasformi costei piena
d’orgoglio? |
. |
. |
Ché facil forse
fia, |
. |
. |
che così cruda, e
ria, |
. |
. |
mossa da l’onde del
mio pianto, ahi lasso, |
. |
. |
men rigida mi sia cangiata
in sasso. |
|
Altri due esempi di un trattamento particolare del
testo poetico da parte di Mogens Pedersøn sono il già
citato Poss’io prima morire nella duplice forma
intonata da Amante Franzoni e dal compositore danese (esempio 1), e Morirò, cor
mio, sempre intonato da entrambi (esempio 3). Si osservi come nel primo caso siano
utilizzate da Pedersøn solo due delle tre strofe del testo
della composizione franzoniana, ma come la continuità testuale
sia comunque conservata; nel secondo caso invece la seconda strofa
è omessa e, di quella conclusiva, è impiegata una parte
soltanto.
|
Esempio 3
|
...
|
Mogens Pedersøn:
|
Amante Franzoni:
|
.. |
Morirò, cor mio,
|
Morirò, cor
mio, |
.. |
se non soccorri alla mia stanca vita,
|
se non soccorri alla
mia stanca vita, |
.. |
ché nott’e giorno viv’in
pen’e guai.
|
ché notte e giorno
viv’in pene e guai; |
.. |
Amor, con che miracolo tu ’l fai?
|
Amor, con che miracolo
tu ’l fai? |
5
|
Mi vorrai mort’allora,
|
. |
.. |
per darmi dispietata ogni mercede!
|
Mancherò,
crudele, |
.. |
.. |
se tu non porgi aìta
a questo core, |
.. |
.. |
ché notte e giorno
vive in pene e guai; |
.. |
.. |
Amor, con che miracolo tu
’l fai? |
.. |
.. |
. |
.. |
.. |
Mi vorrai morto,
allora, |
.. |
.. |
per darmi dispietata
ogni mercede: |
.. |
.. |
non giovarà che tu mi
porgi aìta, |
.. |
.. |
ch’io sarò
morto, e non avrò più vita! |
.. |
In tutti i casi sinora citati l’interrogativo
interessante che si pone è se queste modifiche testuali siano
proprie ed esclusive di Mogens Pedersøn, oppure se esista una
vera e propria tradizione musicale, e perché no più
specificamente madrigalistica, dei testi poetici in questione;
tradizione musicale delle poesie da cui il compositore danese
potrebbe aver attinto, o alla quale avrebbe potuto dare inizio.
Sarebbe necessaria e auspicabile, per rispondere a tale quesito,
un’analisi più completa e globale sulle intonazioni
parallele, che prenda in considerazione molti altri
compositori.
Non è un caso che siano stati sopra
ripetutamente mostrati rapporti tra le musiche di Mogens
Pedersøn e quelle di Amante Franzoni: il Mantovano è
infatti il compositore che ha il maggior numero di intonazioni
parallele con l’autore danese; ben sei delle composizioni di
Mogens Pedersøn si ispirano ai Fioretti musicali di
Amante Franzoni.[55] E
non solo (ed è questo l’aspetto più notevole) dal
punto di vista poetico: dal confronto tra le intonazioni risulta
chiaro che Pedersøn deve aver conosciuto direttamente
l’opera di Amante Franzoni, e sembra abbia voluto in qualche
modo emularla. Gli incipit musicali di Possi’io prima
morire e di Morirò, cor mio sono evidentemente
derivati dalle omologhe composizioni franzoniane:[56] praticamente uguali sono
sia l’andamento ritmico che quello melodico; è
significativo, inoltre, che all’inizio di questi madrigali
Mogens Pedersøn faccia sentire soltanto tre delle cinque voci
dell’organico (esempi 4 e 5).
|
Esempio 4a Amante Franzoni: Poss’io prima
morire (batt. 1-6)
|
Esempio 4b Mogens Pedersøn: Poss’io
prima morire (batt. 1-7)
|
Esempio 5a Amante Franzoni: Morirò, cor
mio (batt. 1-4)
|
Esempio 5b Mogens Pedersøn: Morirò,
cor mio (batt. 1-6)
|
Qualora le somiglianze non siano così facilmente
individuabili, ad esempio dal punto di vista melodico, si può
comunque riscontrare un’ispirazione franzoniana di carattere
ritmico in Mogens Pedersøn: ne sia una prova il principio di
Io non credea giammai (esempio 6), in cui si può notare l’uso
comune del disegno acefalo, con quattro crome seguite da
semiminime, oltre che, ancora una volta, l'uso di sole tre delle
cinque voci.
|
Esempio 6a Amante Franzoni: Io non credéa
giammai (batt. 1-5)
|
Esempio 6b Mogens Pedersøn: Io non
credéa giammai (batt. 1-4)
|
Gli esempi riportati sono abbastanza significativi da
non rendere necessaria la citazione di altre simili situazioni.
Non è dato sapere in quale occasione Mogens
Pedersøn abbia conosciuto l’opera di Franzoni, ma che
questa sia stata pubblicata e poi ristampata a Venezia proprio
negli anni in cui Mogens Pedersøn vi si trovava costituisce un
dato molto indicativo. E nemmeno sembra casuale il fatto che
l’unico testimone pervenutoci del Libro I di madrigali di
Mogens Pedersøn sia rilegato in un volume contente altre
dodici raccolte madrigalistiche pubblicate a Venezia negli anni
1604-1612 e che tra queste ultime, oltre alle opere di Grabbe e
Schütz, compaiano anche i madrigali a cinque voci di Amante
Franzoni (1608): evidentemente la produzione del musicista
mantovano circolava nello stesso ambiente e nello stesso periodo
cui si possono ricondurre le opere dei tre più significativi
allievi "nordici" di Giovanni Gabrieli. Ciò non toglie che
possa apparire piuttosto curiosa la scelta di Mogens Pedersøn
di trarre ben sei, tra i testi da mettere in musica in una
realizzazione a cinque voci, proprio dal libro I dei Fioretti
musicali. Si può immaginare che abbia voluto cimentarsi
nell’esercizio di trasformare e rielaborare in un contesto
polifonico più ampio e complesso la semplice scrittura a tre
voci del compositore mantovano; o che forse abbia voluto in qualche
modo avvicinarsi, per studiarlo e conoscerlo, ad un repertorio per
lui nuovo: la musica vocale con accompagnamento di un basso
strumentale. In ogni caso, il fatto che il compositore nordico, che
si trovava a Venezia per impadronirsi del tipico stile
madrigalistico polifonico tardo-cinquecentesco di cui era
depositario Gabrieli, si sia voluto accostare ad un compositore
"minore", e non alla sua produzione più tradizionale
(cioè i madrigali a cinque voci), bensì a pezzi
"leggeri", strofici, vicini al genere della canzonetta e
accompagnati dal basso seguente, è di interesse
tutt’altro secondario non solo nello studio della biografia
del singolo compositore, bensì anche nell’ottica
più generale dell’apprendistato dei musicisti
d’oltralpe che si insediavano temporaneamente a Venezia.
Un ultimo esempio che qui si propone della
vivacità intellettuale e della versatilità del giovane
compositore danese è uno dei suoi due madrigaletti a 3 voci:
Non fuggir. Questo brano di Mogens Pedersøn mostra
affinità sorprendenti con un breve madrigale a 3 voci, scritto
sul medesimo testo, contenuto in una raccolta del 1588 e scritto da
Francesco Di Gregorii, compositore italiano noto soltanto per due
brevi brani vocali contenuti, appunto, in raccolte antologiche di
musica profana. La somiglianza tra le due composizioni è ancor
più degna di nota per il fatto che risulta che solo Di
Gregorii e Pedersøn abbiano messo in musica lo specifico testo
in questione.[57] Al di
là del medesimo impianto tonale, si può osservare
nell'esempio 7 un’affinità sorprendente nei due
madrigali. Gli andamenti melodico e ritmico dei due incipit sono
molto simili: pur facendo uso di valori notazionali più brevi,
dimezzati rispetto a Di Gregorii, il compositore danese ottiene il
medesimo risultato; Mogens Pedersøn concepisce inoltre le voci
in imitazione più rigorosa e serrata, ma l’imitazione
caratterizza anche la composizione di Di Gregorii. Le voci si
muovono nelle prime battute, in entrambi i pezzi, nella quinta
SOL-RE e concludono la frase sulla prima rilevante cadenza a SOL su
non fuggire.
|
Esempio 7a Francesco Di Gregorii: Non fuggir
(batt. 1-8)
|
Esempio 7b Mogens Pedersøn: Non fuggir
(batt. 1-4)
|
Anche in questo caso, il luogo e le modalità del
contatto tra i due compositori non sono conosciuti: si potrebbe
ipotizzare che Mogens Pedersøn abbia conosciuto l’opera
di Francesco Di Gregorii a Venezia, ma non si può escludere
che la conoscenza sia avvenuta in Inghilterra, dove il madrigale
italiano era assai diffuso e dove il compositore danese
soggiornò proprio prima della pubblicazione dei madrigaletti;
né si può immaginare il motivo del desiderio di rendere
omaggio ad un compositore che è, agli occhi di noi studiosi
moderni, ben poco rilevante.
Non può che colpire, in conclusione, tanta
vivacità nell'attività di un singolo compositore
straniero in Italia, che sembra testimoniare intensi rapporti
culturali tra personaggi e ambienti apparentemente lontani,
nonché una cospicua e ancora non sufficientemente indagata
circolazione e interrelazione di stili e di generi nel panorama
variegato e affascinante del primo Seicento italiano.
|
Visualizza gli esempi
4a-7b nella stessa tavola.
|
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Abstract
|
Mogens Pedersøn, a composer of remarkable talent
at the Court of King Christian IV, visited Italy twice,
specifically Venice, to learn the traditional compositional
technique of polyphonic madrigals from Giovanni Gabrieli. He
published one book with 21 five-voice madrigals, and presumably
another book, of which only ten five-voice madrigals have survived
in the English manuscript London, British Library Egerton
3665 (called "Tregian manuscript"); he composed also two small
three-voices madrigaletti. The essay analyses some aspects
of the history and the music culture in Denmark at the time of
Christian IV, as well as the life and works of the composer
himself. Finally, the comparison of some of Mogens Pedersøns
secular vocal compositions with music settings of the same poetical
texts by other Italian composers (particularly Amante Franzoni and
Francesco Di Gregorii) shows that Pedersøn knew and chose some
"lighter" genres (three-voice strophic songs, also with
instrumental accompaniment) as models for his five-voice and
three-voice madrigals.
|
|
Note
al testo |
* Il presente
articolo è un estratto dalla tesi di laurea in Musicologia:
Kitti Messina,
Mogens Pedersøn (Magno Petreo): edizione critica dei
madrigali e madrigaletti, discussa presso la Scuola di
Paleografia e Filologia musicale di Cremona (Università degli
Studi di Pavia) il 22 marzo 2000, relatrice Prof. Maria Caraci
Vela, correlatore Dott. Antonio Delfino. L’edizione di testi
e musiche contenuta in tale tesi è la fonte di tutti gli
esempi musicali contenuti nel presente articolo nonché, salvo
diversa segnalazione, delle citazioni di testi poetici; alla stessa
tesi di laurea si rimanda per una bibliografia esaustiva
sull’argomento.
[1] Si specifica
che per quanto riguarda il nome del compositore, in testimoni e
strumenti bibliografici compaiono indifferentemente le varianti
grafiche Mogens Pedersøn e Mogens Pedersen, nonché
la latinizzazione Magno Petreo. Nel presente articolo è
comunemente impiegata la forma Mogens Pedersøn, tranne
nei casi in cui si citi direttamente una parte di testo da una
fonte in cui il nome compaia scritto con altra grafia.
[2] La principale
fonte delle informazioni storico-biografiche relative a Cristiano
IV è: Steffen
Heiberg, s. v. «Christian IV» , in Dansk
Biografisk Leksicon, grundlagt 1887 af C. F. Bricka og
videført 1933-44 af Povl Engelstoft under medvirken af Svend
Dahl, 3. udgave red. Sv. Cedergreen Bech, 16 voll., København,
Gyldendal, 1979-1984, vol. III, pp. 303-309.
[3] Esiste un
piccolo aneddoto che testimonia una diffusa condizione di disagio:
una delle molte costruzioni volute e finanziate da Cristiano IV fu
la ‘Rundetårn’ (i. e. torre rotonda), edificata in
Copenaghen come osservatorio, assieme ad una chiesa
(‘Trinitatis Kirke’) che conteneva una ricca biblioteca
di carattere soprattutto scientifico: una specie di tempio della
cultura. Sulla torre, che fu terminata nel 1642, si osserva, oltre
ad un rebus formulato dallo stesso re, la ringhiera che circonda la
parte superiore della costruzione, e che contiene alcune lettere:
il monogramma di Cristiano IV assieme alla sigla RFP. Tali lettere
avevano la funzione di rappresentare il motto latino Regna
firmat pietas, ma l’interpretazione popolare loro data fu
decisamente diversa: "Riget fattes penge", ossia "al Regno mancano
i soldi"!
[4] v.
Heiberg, s. v.
«Christian IV», cit.
[5] Nei registri
della contabilità del periodo di Federico II, ad esempio, si
può osservare che, sia nel caso di assunzioni sia in altre
occasioni, i primi strumentisti di corte erano semplicemente detti
trombettieri e a questi ultimi erano assimilati.
[6] Ole Kongsted, Den verdslige
‘rex splendens’. Musikken som repræsentativ kunst
ved Christian IV’s hof, in Christian IVs Verden,
red. Svend Ellehøj, København, Busck, 1988, pp. 433-464.
Tale suddivisione deriva a sua volta dall’analisi fatta da
Angul Hammerich in Angul
Hammerich, Musiken ved Christian den Fjerdes Hof, et
bidrag til dansk musikhistorie, København, Wilhelm Hansen,
1892.
[7] v.
Hammerich,
Musiken ved Christian den Fjerdes Hof, cit., in particolare
gli allegati alle pp. 187-226.
[8] Un verosimile
elenco delle abitudini musicali alla residenza del re è
suggerito in Niels
Krabbe, Træk af musiklivet i Danmark på
Christian IVs tid, København, Engstrøm &
Sødrings, 1988 (Engstrøm & Sødrings
musikbibliotek 4), pp. 48-49.
[9] Si vedano
Angul Hammerich,
Musical Relations between England and Denmark in the Seventeenth
Century, «Sammelbände der Internationalen
Musikgesellschaft» XIII/1, 1911-1912, pp.114-119 e V.C.
Ravn, English
Instrumentalists at the danish Court in the Time of
Shakespeare, «Sammelbände der Internationale
Musikgesellschaft» VII, 1905/1906, pp. 550-563.
[10] Si
tratta di: la seconda e la terza parte dell’opera Songes
or Ayres of 2, 4 and 5 parts, with Tableture for the Lute or
Orpherion, with the Violl de Gamba [...] (London 1600 e 1603,
RISM D3438 e D3484), nonché le Lacrimae or seaven Teares,
figured in seaven passionate Pavans [...], set forth for the Lute,
Viols or Violins in five parts (London 1604, RISM D3485)
dedicate ad Anna d’Inghilterra.
[11]
Angul Hammerich,
Dansk Musik Historie indtil ca 1700, København, G. E.
C. Gad, 1921, pp. 152-154.
[12]
Hammerich, Dansk
Musik Historie, cit., pp. 135-141.
[13]
Hammerich, Dansk
Musik Historie, cit., pp. 155-160.
[14] RISM
16057 e RISM 16065.
[15] Si
sono conservati fino ad oggi due libri manoscritti, compilati
rispettivamente da Henrik Lübeck e Magnus Thomsen mentre si
trovavano al servizio di Cristiano IV, contenenti repertorio per
tromba (i mss sono conservati a Copenaghen, Det kongelige
Bibliotek, con segnatura GKS 1874 4° e GKS 1875 4°).
[16]
Krabbe, Træk
af musiklivet, cit., p. 60-66.
[17]
Melchior Borchgrevinck era infatti morto nell’anno
precedente.
[18] RISM
S2288. La composizione (SVW 278) è edita in Heinrich
Schütz, Neue Ausgabe sämtlicher Werke, vol.
37, Kassel, Bärenreiter, 1970.
[19]
Hammerich, Dansk
Musik Historie, cit., p. 168.
[20]
Hammerich, Dansk
Musik Historie, cit., pp. 173-174.
[21]
Hammerich, Dansk
Musik Historie, cit., pp. 172-173.
[22] Oggi i
pulpiti sono scomparsi, ma si può ammirare una ricostruzione
di ‘Trompeterstol’ nella sala d’onore del
castello di Frederiksborg (Hillerød).
[23] v.
Peter Downey, A
renaissance correspondence concerning trumpet music, «
Early Music» IX/3, 1981, pp. 325-329.
[24] A
corte si impiegava il ‘Compenius orgel’, costruito
intorno al 1610 dall’organaro tedesco Esaias Compenius. Tale
organo era già all’epoca molto celebre: è ad
esempio citato da Michael Praetorius nella parte II del suo
Syntagma Musicum (Syntagma Musicum II: De
organographia, Wolfenbüttel, 1619, p. 189).
[25] Nei
documenti compare in realtà il nome Hans Brackrhode, ma tutti
gli studiosi dell’argomento sono concordi
nell’identificare il personaggio con Hans Brachrogge.
[26]
John Bergsagel,
Anglo-Scandinavian Musical Relation before 1700 in
International Musicological Society Report of the Eleventh
Congress, Copenaghen 1972 [IMSCR XI], edit by Henrik Glahn,
Søren Sørensen and Peter Ryom, København, Wilhelm
Hansen, c1974, vol. 1, pp. 263-71.
[27] Per
ulteriori informazioni sull’attività dei musicisti
danesi in terra inglese si veda John Bergsagel, Danish
Musicians in England 1611-1614: Newly-Discovered Instrumental
Music, « Dansk Aarbog for Musikforskning» VII,
1973-1976, pp. 9-20.
[28]
København, kgl. Bibliotek, Ny kgl. Saml. 633g.
[29] v.
Krabbe, Træk
af musiklivet, cit., pp. 86-87.
[30] NV
2041.
[31] NV
2169.
[32] RISM
S3549.
[33]
Jens Peter Jacobsen,
Mogens Pedersøn, «Dansk Kirkesangs
Årsskrift», XVII, 1961-1962, pp.106-117.
[34]
Rigsarkivet. Latine Registr. 1605 Fol. 121. La lettera è
trascritta in Hammerich, Musiken ved
Christian den Fjerdes Hof, cit., p. 188.
[35] cfr.
Jacobsen, Mogens
Pedersøn, cit., p. 111.
[36] v.
Kongsted, Den
verdslige ‘rex splendens’, cit., pp. 456-457.
[37] RISM
P1133.
[38] Per
informazioni più dettagliate sul Pratum Spirituale e
per l’edizione delle musiche si rimanda a Knud Jeppesen, Dania sonans
I, Væreker af Mogens Pedersøn, København , Levin
og Munksgaard, 1933.
[39] NV
2169.
[40]
L’esemplare è conservato a Kassel, Murhardsche
Bibliothek der Stadt Kassel und Landesbibliothek.
[41] Oltre
a Mogens Pedersøn, gli alunni diretti di Giovanni Gabrieli che
pubblicarono madrigali a completamento dei loro studi veneziani
furono Gregor Aichinger (Venezia, 1590), Johann Grabbe (Venezia,
1609), Christoph Klemsee (Jena, 1613), Heinrich Schütz
(Venezia, 1611) e il danese Hans Nielsen (Giovanni Fonteiio,
Venezia, 1606): cfr. Konrad
Küster, Opus primum in Venedig. Traditionen des
Vokalsatzes 1590-1650, Laaber, Laaber-Verlag, 1995 (Freiburger
Beiträge zur Musikwissenschaft, 4), pp. 13-40.
[42] Per la
storia e il contenuto del manoscritto, che qui si tralasciano, si
vedano: Bertram Schofield -
Thurston Dart, Tregian’s Anthology, «Music
and Letters» 32, 1951, pp. 205-216; Elizabeth Cole, Seven
Problems of the Fitzwilliam Virginal Book, in Proceedings of
the Royal Musical Association, vol. 79, 1952-53, pp. 51-64;
Elizabeth Cole,
In search of Francis Tregian, «Music and Letters»
33, 1952, pp. 28-30; nonché le innovative scoperte e
considerazioni in: Anne
Cuneo, Francis Tregian the Younger: Musician, Collector
and Humanist?, «Music and Letters» 75, 1995, pp.
398-404; Ruby Reid
Thompson, The ‘Tregian’ Manuscripts: A Study
of Their Compilation, «The British Library Journal»
18, 1992, pp. 202-204; Ruby
Reid Thompson, Francis Tregian the younger as music
copyist: a legend and an alternative view, «Music and
Letters» 82, 2001/1, pp. 1-31.
[43] Si
ricordi infatti che Mogens Pedersøn si trovava proprio in
Inghilterra negli anni in cui sembra essere stato compilato il
manoscritto.
[44] Nelle
pagine successive di questo articolo, per questo gruppo di
madrigali verrà utilizzata la dicitura "Libro II", o
semplicemente "II".
[45] NV
421.
[46] v.
Denis Arnold, Gli
allievi di Giovanni Gabrieli, «Nuova Rivista Musicale
Italiana» V, 1971, pp. 943-972: 943.
[47] Si
specifica che nella tesi di laurea della scrivente, da cui è
tratto il presente articolo, compare una doppia edizione dei testi
poetici messi in musica da Mogens Pedersøn: una prima edizione
conservativa, rispettosa delle tradizioni grafiche del tempo, ed
una più "innovativa" (trascritta sotto le note in partitura)
con piccoli interventi editoriali, quali ad esempio
l’eliminazione della h etimologica o di geminazioni
oggi estranee all’uso linguistico, volti a suggerire
all’esecutore una corretta realizzazione fonetica delle
parole. Nel presente articolo viene impiegata, sia per gli incipit
che per citazioni più lunghe, nonché negli esempi
musicali, la versione "modernizzata".
[48]
Amedeo Quondam
(ed.), Archivio della tradizione lirica: da Petrarca a
Marino, Roma, LEXIS Progetti editoriali, c 1997 (cd-rom
aggiornato fino a febbraio 1998); Emil Vogel - Alfred Einstein -
François Lésure - Claudio Sartori, Bibliografia
della musica italiana vocale profana pubblicata dal 1500 al
1700, Pomezia, Staderini, 1977; Marco Santagata (ed.),
Incipitario unificato della poesia italiana, Edizioni
Panini, 1988.
[49] Nel
manoscritto Egerton 3665 come prima parola del testo si
legge in realtà Posso. Si tratta presumibilmente di un
errore del copista (o di qualcun altro prima di lui), che potrebbe
derivare da una falsa ricostruzione sulla forma elisa di
Possa seguita da una o! esclamativa; all’atto
dell’esecuzione musicale l’unica soluzione realmente
eseguibile è però Poss’io, che perciò
qui viene proposta.
[50] I
Nuovi Fioretti musicali a tre voci co ’l suo Basso Generale
per il Clavicimbalo, Chitarrone, et altri simili stromenti di
Amante Franzoni,
Venezia, Ricciardo Amadino, 1605 (NV 1015; ristampa del 1607: NV
1016).
[51] Nel
presente esempio e nei successivi è indicata in grassetto la
parte di testo comune alle due intonazioni.
[52] In
Küster, Opus
primum in Venedig, cit., p. 18, il testo musicato dal
compositore danese è attribuito a Isabella Andreini, ma non
è specificata la fonte di tale curiosa informazione.
[53]
Elio Durante - Anna
Martellotti, Don Angelo Grillo O. S. B. alias Livio
Celiano: poeta per musica del secolo decimosesto, Firenze,
SPES, 1989.
[54] I
testi riportati nella sottostante colonna sono tratti da
Durante -
Martellotti, Don Angelo Grillo, cit.
[55] Si
tratta di: Morirò, cor mio (Libro I, n. 3);
Poss’io prima morire (II, 2); Io non credea
già mai (I, 18); L’amara dipartita
(Madrigaletti, 2); Se nel partir da voi (I, 2); Son vivo
e non son vivo (I, 6).
[56] Non
avendo reperito alcuna edizione moderna del Libro I dei Fioretti
Musicali di Franzoni, la scrivente ha proceduto all'edizione
delle composizioni utili al confronto, da cui sono tratti gli
esempi musicali qui riportati.
[57] Nelle
Canzonette a sei voci di Orazio Vecchi è inclusa una
intonazione di un testo assai simile, anche se non uguale: Non
fuggir, non fuggir, ahi, non fuggire, Ladr’amorosa mia;
per l’edizione di tale canzonetta, cfr. ROSSANA DALMONTE -
MASSIMO PRIVITERA, Gitene, Canzonette. Studio e trascrizione
delle Canzonette a sei voci di Horatio Vecchi (1587),
Firenze, Olschki, 1996 (“Historiae musicae cultores”
Biblioteca, 78).
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