Gianmario Borio
Analisi ed esecuzione: note sulla
teoria dell’interpretazione musicale di Theodor W.
Adorno e Rudolf Kolisch
Il rapporto tra analisi ed esecuzione rappresenta un
nodo fondamentale nella filosofia della musica di Adorno. La sua
centralità è emersa con particolare evidenza di recente
grazie alla pubblicazione dei frammenti di un trattato Zu einer
Theorie der musikalischen Reproduktion, a cui il filosofo
lavorò a partire dal 1946.[1] L’esigenza di una teoria generale
dell’interpretazione era già stata sollevata da Adorno
in uno dei suoi primi articoli come critico musicale;[2] l’idea del libro
risale però al 1935, allorché egli concordò con
Rudolf Kolisch – entrambi erano esiliati negli Stati Uniti
– di scrivere un’opera a quattro mani sulle premesse di
un’autentica interpretazione. Il termine Reproduktion,
che Adorno impiega per designare la realizzazione sonora di
un’opera, appare forse per la prima volta in un appunto
redatto da Schönberg nel 1923 o 1924 in vista di un trattato
sull’interpretazione musicale;[3] esso viene impiegato dai componenti della
sua scuola come sinonimo di Aufführung, Vortrag,
Wiedergabe, Interpretation e talvolta persino
Darstellung. Negli scritti di Adorno Reproduktion
assume connotazioni filosofiche e sociali, fungendo da momento di
mediazione tra produzione e consumo. In un ampio saggio sulla
situazione sociale della musica, che egli pubblicò nella
Zeitschrift für Sozialforschung nel 1932,
l’interpretazione appare non solo il teatro in cui è
documentata la storia delle opere, ma anche come istituzione che,
in quanto tale, è soggetta al divenire storico.[4] Adorno non pensa qui tanto
al susseguirsi di stili interpretativi quanto a mutamenti
strutturali dell’interpretazione come forma sociale. Nella
prima fase della musica tonale, precedente alle rivoluzioni
liberali, non si possono tracciare nitidi confini tra produzione,
riproduzione e improvvisazione: la tradizione, i cui depositari
sono le corporazioni e talvolta persino le famiglie, garantisce un
passaggio fluido tra queste tre dimensioni. Una volta che la classe
borghese ha preso l’egemonia, si affermano le grandi
personalità di interpreti che tendono sempre più a
considerarsi ricreatori dell’opera; il ruolo della
tradizione, che assicurava una continuità tra intenzione
d’autore e realizzazione sonora, viene adombrato
dall’erompere di una libertà illimitata, fenomeno
parallelo all’imporsi delle istanze individuali in una
società dominata dal principio di concorrenza. Dopo la prima
guerra mondiale il rapporto tra testo e interpretazione muta
nuovamente: ora l’influenza decisiva è quella della
tecnica compositiva post-tonale che mira alla assoluta trasparenza
della scrittura: l’interprete diventa "esecutore
dell’inequivocabile volontà d’autore".[5] Le obbligazioni di assoluta
fedeltà al testo che richiedono le nuove composizioni si
riflette sulla prassi esecutiva: l’attributo di autentico
viene conferito solo a quelle interpretazioni che fanno emergere
con massima chiarezza la struttura dell’opera.
La particolare attenzione che Adorno dedica
all’interpretazione può essere anche effetto del
pensiero di Schönberg, la cui attività si muove in un
triangolo ai cui vertici vi sono teoria, composizione ed
esecuzione. La teoria è la via maestra per accedere alla
storia, per porre questioni al passato; la composizione è il
tentativo di dare una risposta adeguata alle questioni tecniche
individuate dalla teoria, di formulare un pensiero musicale che sia
insieme sintesi del passato e apertura verso il futuro;
l’esecuzione è l’inalterata trasmissione del senso
musicale che si è cristallizzato in questo pensiero. Non
è dunque un caso che alcune delle più dettagliate analisi
che Adorno abbia pubblicato siano scaturite in stretto contatto con
giovani interpreti, alla Hochschule für Musik di Francoforte,
e per la diffusione mediale presso il Norddeutscher
Rundfunk. Si tratta dei Lieder op. 3 e 12, dei Vier
Stücke op. 7 e delle Sechs Bagatellen op. 9 di
Webern; a queste si aggiungono la Phantasy di Schönberg
e il Concerto per violino di Berg. Per questi lavori, pubblicati
nel 1963 in Il fido maestro sostituto, Adorno ha coniato il
termine Interpretationsanalysen ovvero analisi finalizzate
alla messa a punto di un’interpretazione.[6] In un certo senso ci
troviamo di fronte a una nuova disciplina critica, anche se ha
significativi precedenti nell’Anleitung zum Vortrag
Beethovenscher Klavierwerke di Adolf Bernhard Marx e
soprattutto nelle Erläuterungsausgaben di Heinrich
Schenker.[7] Secondo
Hermann Danuser le Interpretationsanalysen rappresentano un
ambito intermedio tra interpretazione performativa e
interpretazione critica: non si articolano in suoni strumentali,
bensì in parole (lo stesso medium
dell’attività critica); al contempo hanno già
compiuto un passo al di fuori della teoria, in quanto fanno parte
integrante della preparazione all’esecuzione.[8] Va però aggiunto che
nei lavori di Adorno tale duplicità si risolve in un rapporto
di reciproca influenza. Innanzitutto le sue
Interpretationsanalysen sono rivolte a opere del Novecento
la cui distanza dal linguaggio tonale pone fondamentali problemi di
comprensione. L’esigenza di un’analisi di questo tipo
si pone ad Adorno in modo urgente, perché una buona parte
delle esecuzioni della nuova musica mostra una scarsa
consapevolezza delle relazioni strutturali dell’opera;
talvolta il grado di incompetenza degli interpreti è talmente
alto da pregiudicare la comprensione dell’opera, rafforzando
il pregiudizio, già di per sé assai diffuso nel pubblico,
che la nuova musica sia ermetica ed elitaria. L’indagine
analitica rappresenta per Adorno l’unica strada per giungere
ad esecuzioni che abbiano il grado di chiarezza e articolazione che
Schönberg e i suoi allievi richiedevano. Ristabilire il
rapporto tra analisi ed esecuzione avrebbe dunque anche
ripercussioni di ordine sociale, in quanto contribuirebbe a
infrangere il tabù dell’incomunicabilità della
nuova musica.
Non bisogna però dimenticare che le
Interpretationsanalysen di Adorno si collocano in un periodo
storico particolare. Nel decennio che precede la loro pubblicazione
Adorno fu invitato con una certa regolarità a tenere seminari
agli Internationale Ferienkurse für Neue Musik di
Darmstadt; quando la musica dei viennesi non veniva eseguita da
interpreti direttamente legati alla scuola di Schönberg, la
realizzazione sonora assumeva spesso i tratti di oggettivismo che
contrassegnavano l’estetica della serialità integrale.
Egli trova una conferma di questa tendenza alla pubblicazione delle
opere di Webern sotto la direzione di Robert Craft nel 1958, come
evidenziano gli appunti a questo proposito che si leggono in Zu
einer Teorie der musikalischen Reproduktion.[9] L’impegno che, in
questa fase, Adorno profuse per delucidare problemi interpretativi
va collocato nel contesto di un’ampia controffensiva nei
confronti dell’oggettivismo matematico che egli vedeva
imporsi con le tecniche seriali. Rudolf Kolisch ed Eduard
Steuermann, i due esecutori che condivisero con lui la
responsabilità del seminario sull’interpretazione del
1954, erano rappresentanti di un modo di comporre e interpretare la
musica in cui il lavoro strutturale era mediato da una concezione
paralinguistica della musica; la loro presenza in
un’importante manifestazione dei Ferienkurse doveva
anche servire da monito alle giovani generazioni. Il correlativo
teorico di questa strategia di difesa è rappresentato dalla
polemica contro la serialità integrale, che Adorno lanciò
proprio in quell’anno con l’articolo "Invecchiamento
della Nuova Musica" e poi dalle lezioni sulle opere giovanili di
Schönberg e sulla sua concezione del contrappunto, che Adorno
tenne a Darmstadt rispettivamente nel 1955 e nel 1956.[10]
Il seminario di Adorno, Kolisch e Steuermann
occupò una posizione centrale per i Ferienkurse del
1954, che erano incentrati sul tema "Nuova musica e
interpretazione", sia perché la prima seduta coincise con
l’apertura dei corsi, sia perché, articolandosi su ben
cinque giornate, esso costituì l’evento didattico
più rilevante della manifestazione. A quanto mi risulta, non
è rimasta alcuna documentazione su supporto cartaceo o sonoro
di questo evento; tuttavia le sue linee generali si possono
ricostruire ricorrendo a tre fonti: le critiche dei giornalisti,
gli appunti di Adorno (che sono pubblicati in appendice a Zu
einer Theorie der musikalischen Reproduktion) e la trasmissione
presso lo Hessischer Rundfunk dell’ottobre 1954 in cui
Adorno e Kolisch fanno esplicito riferimento a metodi e contenuti
del seminario.[11] Da
queste fonti si deduce che nella lezione introduttiva Adorno espose
i principi fondamentali della sua teoria
dell’interpretazione; nelle altre sedute si dedicò alla
realizzazione di diversi passaggi del Quartetto op. 59, n. 2 di
Beethoven. A parte il riferimento a un problema specifico
dell’op. 3 di Berg, il rapporto tra interpretazione e nuova
musica non ricevette l’attenzione che il titolo del seminario
prometteva. Le Interpretationsanalysen e Il fido maestro
sostituto nel suo complesso – libro non a caso
dedicato "A Rudolf Kolisch ed Eduard Steuermann, amici della
giovinezza" – rappresentano una sorta di continuazione e
completamento di quel seminario. Tuttavia la decisione di dedicare
gran parte del seminario a un’opera di Beethoven è
sintomatica per comprendere l’impostazione della teoria di
Adorno nel suo complesso. In diversi appunti e lettere di quel
periodo Adorno lamenta il fatto che la tradizione interpretativa
della Scuola di Vienna ha subito un arresto e il patrimonio di
quelle esperienze rischia di andare perduto. Uno degli ambiti in
cui quella tradizione si manifesta è l’esecuzione delle
opere di Beethoven; per giungere a un’interpretazione
adeguata di una composizione di Schönberg o Webern occorre
quindi familiarizzarsi con il particolare modo in cui gli
strumentisti del suo circolo interpretavano la musica della prima
scuola di Vienna, specialmente quella di Beethoven. Qui si profila
un evidente parallelismo tra teoria della musica e prassi
esecutiva: la musica strumentale di Beethoven costituisce il banco
di prova tanto per il rinnovamento della Formenlehre
ottocentesca quanto per il consolidarsi di una concezione
dell’interpretazione in cui il fraseggio,
l’interpunzione e l’articolazione paralinguistica
svolgono un ruolo fondamentale. Un principio di Kolisch, spesso
richiamato nelle riflessioni di Adorno, è che non esiste
differenza sostanziale tra l’interpretazione della musica
tonale e quella del presente. Anche qui vige una dialettica: la
musica del passato non può essere interpretata se non tenendo
conto dello stadio più avanzato della tecnica compositiva dei
nostri giorni. L’argomentazione di Adorno tocca il campo
dell’ermeneutica quando egli afferma che la storia degli
effetti di un’opera appartiene all’opera stessa: le
visioni della struttura musicale che sono maturate nel corso del
Novecento illuminano una tendenza già presente in Beethoven e
l’avanzamento delle cognizioni sonore fa emergere
potenzialità latenti nella sua opera.[12] Dal canto suo, ogni
composizione di avanguardia che abbia un senso è legata in
modo più o meno diretto a problemi che hanno una prospettiva
storico-temporale. Vi è dunque un rapporto di coappartenenza
tra esecuzione di musica tradizionale e tecnica compositiva
contemporanea: l’ideale di quella è infatti proprio la
rottura della facciata e l’emergere della dimensione
subcutanea, che è esattamente il processo che la nuova musica
ha compiuto sul piano della tecnica: "Interpretare la musica antica
a partire da quella nuova. Che cosa si può imparare su
Beethoven in Schönberg?".[13]
Nelle Interpretationsanalysen si intravede una
dimensione più profonda la cui delucidazione può
illuminare un aspetto fondamentale della filosofia della musica di
Adorno nel suo complesso. Si tratta del rapporto dialettico tra
teoria e prassi. Esso determina l’orientamento generale sia
dell’analisi sia della teoria della riproduzione. In una
conferenza del 1969 dedicata ai problemi dell’analisi
musicale ritorna un riferimento a Schenker che era già emerso
in Il fido maestro sostituto: "[…] malgrado tutto
bisogna riconoscere a Heinrich Schenker il merito di essere stato
il primo a richiamare l’attenzione sul fatto che
l’analisi è il prerequisito di un’adeguata
riproduzione".[14] Al
contempo Adorno tiene a sottolineare la sua visione fortemente
pragmatica dell’analisi. Due sono i momenti discriminanti di
tale pragmatismo: 1. Il compito dell’analisi non è
quello di studiare l’opera come esempio di applicazione di
norme generali del comporre o leggi astratte della musica; essa non
deve mirare all’universalità bensì a focalizzare il
"problema specifico" che ogni composizione affronta nella sua
individualità; 2. Un’analisi veramente produttiva non
è un esercizio intellettuale di confronto tra modelli
strutturali e manifestazioni concrete; essa non può muoversi
in un circolo vizioso all’interno della teoria, ma deve
essere orientata verso un fine esterno. Adorno precisa questa
impostazione indicando due campi di applicazione:
l’esecuzione e la critica musicale. Nelle
Interpretationsanalysen si può osservare passo a passo
come teoria e prassi si alimentino reciprocamente: da un lato
l’analisi, mettendo a fuoco i punti critici di una
composizione, è di giovamento alla sua realizzazione sonora;
dall’altro lato, il teorico trae profitto dal lavoro con gli
interpreti, visto che le prove di esecuzione rappresentano il luogo
privilegiato in cui le questioni compositive più rilevanti
emergono con vivida chiarezza. La difficoltà che uno
strumentista incontra nell’eseguire un passaggio è per
Adorno sempre intimamente connessa con un problema della tecnica
compositiva; il riconoscimento dell’ostacolo provoca la
discussione, la quale dal canto suo, illuminando un aspetto della
struttura musicale, crea le premesse del superamento della
difficoltà esecutiva.
Uno dei temi ricorrenti nei frammenti sulla teoria
della riproduzione è il rapporto di necessità
intercorrente tra analisi ed esecuzione. "La vera riproduzione
è l’immagine radiografica dell’opera" – la
frase con cui iniziano gli appunti di Adorno diventerà lo
slogan dei seminari di Darmstadt del 1954 – "Il suo compito
è di rendere tangibili tutte le relazioni, tutti gli aspetti
del nesso musicale, del contrasto, della costruzione che stanno al
di sotto della superficie – questo mediante
l’articolazione del fenomeno sensibile".[15] Rendere tangibili, ossia
ascoltabili, tutte le relazioni significa realizzare il senso
musicale, il quale è sì oggettivato nei segni scritti
sulla partitura ma vive unicamente nel fenomeno sonoro. La scelta
del termine senso (Sinn), anziché significato
(Bedeutung), è sintomatica: per Adorno la musica è
un linguaggio non-intenzionale; l’idea di un significato come
entità esterna alla musica alla quale i suoi segni farebbero
riferimento non gli è pertinente. L’aspetto linguistico
riguarda piuttosto la logica dell’artefatto, la sua coerenza
sintattica. E il senso si costituisce mediante l’interazione
di tre livelli dell’opera: mensurale, neumatico e idiomatico.
Il livello mensurale è quello della notazione; il livello
neumatico concerne la struttura rispetto alla quale la notazione
funge da medium; il livello idiomatico è invece
collegato all’hic et nunc dell’interpretazione,
alla soggettività dell’interprete, è lo strato
storico delle interpretazioni. L’analisi è "la
ricostruzione dell’elemento neumatico a partire da quello
mensurale";[16] ma
l’interpretazione non è semplice realizzazione
dell’esito analitico. Questo sarebbe arido razionalismo,
l’introneggiare della musicologia a discapito della
spontaneità dell’interprete, l’annichilamento
dell’istanza mimetica.
I concetti di mensurale, idiomatico e neumatico
appaiono anche in una serie di appunti di Kolisch redatti in lingua
tedesca, che sembrano risalire agli anni 1953-1955, e in altri
fogli in lingua inglese, originati anch’essi dalla didattica
nel corso degli anni Sessanta, che rappresentano abbozzi di una
Theory of Performance rimasta incompiuta. Alla sfera del
mensurale appartiene innanzitutto la "materia prima"
dell’esecuzione, quegli elementi cioè che sono fissati
dalla scrittura e oggettivamente determinabili: altezza e durata
(quest’ultima intesa sia come ritmo sia come tempo). Con
l’intensità si entra già nel campo dei valori che
non sono definiti in termini assoluti nella partitura: il segno
significa per
esempio che un certo suono deve essere eseguito in una dinamica
maggiore di quello indicato con , ma non ci dà informazione precise circa i
decibel che devono essere prodotti; la precisazione di questo campo
relativo della dinamica rientra tra i compiti principali
dell’interprete che deve scalarne i valori con un attento
studio della partitura e delle abitudini semiografiche del suo
compositore. Al di là della "materia prima" si collocano le
componenti dell’interpretazione che non sono definite in modo
preciso dalla partitura: fraseggio, punteggiatura, cesure, corone,
accentazione, in breve gli elementi che riguardano più
direttamente la costituzione linguistica dell’opera. Questo
rappresenta il terreno più delicato e impegnativo per
l’esecutore, perché è dalla corretta articolazione
del materiale composto che dipende la sua prestazione comunicativa.
La dimensione idiomatica ha invece a che fare con il medium
dell’esecuzione, lo strumento e il suo particolare colore.
Questo colore non è semplicemente un dato acustico che va
ricondotto alla liuteria, ma comprende anche il modo di suonare; lo
stile esecutivo rimanda a sua volta alla didattica strumentale,
alle scuole e ai princìpi verso cui esse si orientano. Tali
princìpi degenerano in ideologia, secondo Kolisch, quando la
tecnica strumentale si separa vistosamente dall’opera,
anteponendo criteri di brillantezza, eufonia o virtuosismo alla
realizzazione del senso musicale. Infine alla dimensione idiomatica
in senso lato appartengono i momenti per cui la partitura non offre
indicazioni quantitative: la qualità espressiva e il
carattere. Questa sfera non è indipendente dalla "materia
prima" e dallo stile esecutivo, tuttavia presenta una sua autonomia
ed è a essa che i maggiori sforzi dell’interprete
dovrebbero essere dedicati. L’accorto dosaggio di rubato,
vibrato e crescendo è tutt’altro che un’istanza
portata nella musica dall’esecutore e può essere appreso
mediante lo studio dell’opera. Per il carattere le partiture
offrono indicazioni come cantabile, dolce,
appassionato, mesto, lugubre per le quali va
egualmente individuato un correlato tecnico.
Kolisch non giunge a discutere la dimensione
neumatica; vi accenna però parlando dell’"idea", un
concetto chiave nella scuola di Schönberg, che sta a indicare
la sostanza spirituale della creazione musicale. La via maestra per
accedere all’"idea" è per Kolisch l’analisi delle
strutture dell’opera; essa informa l’esecutore sui
rapporti linguistici che presiedono al senso musicale e, di
conseguenza, sulle modalità di fraseggio, interpunzione e
inflessione. La posizione centrale dell’analisi, intesa come
mezzo per chiarificare i nessi linguistici, rappresenta un punto
fermo in tutte le teorie dell’interpretazione sorte nel
circolo di Schönberg. Hans Swarowsky intendeva
l’"analisi dei gruppi di battute"
(Taktgruppenanalyse), che aveva appreso da Schönberg e
poi gradualmente perfezionato nell’addestramento dei giovani
direttori di orchestra, come ricostruzione del "processo mentale"
che sta alla base della specifica forma di un’opera.[17] Erwin Stein dedicò un
intero libro ai rapporti tra forma ed esecuzione, sottolineando
l’imprescindibilità dell’analisi:
Il compositore dà una forma definita alle sue
idee, configurando e organizzando il materiale musicale.
L’esecutore riproduce quella forma al fine di trasmettere le
idee del compositore, ma fallirà nel suo compito se non
comprende come è organizzata la forma.[18]
Infine René Leibowitz concepisce
l’interprete come un "sosia" creato direttamente dal
compositore insieme all’opera. Egli "si rivela" mediante la
rivelazione del senso musicale; dunque "le conoscenze e le
riflessioni teoriche in merito alle strutture musicali e al loro
senso preciso sono condizioni necessarie per l’apprendimento
autentico della verità dell’opera, non sono però
condizioni sufficienti".[19] La Scuola di Vienna offre pertanto
un’immagine unitaria sulle questioni circa la necessità
e le funzioni dell’analisi musicale nella messa a punto di
un’esecuzione. Con diverse sfumature essa si ritrova in
più recenti teorie, quelle di Edward T. Cone, Eugene Narmour e
Wallace Berry.[20] La
concordanza di principio con Adorno e Kolisch dipende dal comune
riferimento alla teoria musicale di ambito tedesco: a Riemann,
Schenker e Schönberg. Alla base di questa tradizione si
può scorgere un principio filosofico: che tra senso e
verità vi sia una stretta relazione. Nel trattato Die Kunst
des Vortrags, pubblicato solo di recente, Schenker enuncia la
seguente massima: "La mano non può mentire: deve seguire il
significato della condotta delle parti".[21]
L’autorità di questa tradizione si è
andata però affievolendo negli ultimi decenni con il graduale
affermarsi del pensiero contestualista e postmoderno. La semplice
constatazione che esistono elementi di primaria importanza per
l’analisi i quali invece svolgono un ruolo secondario per
l’esecuzione è bastata a fare vacillare le certezze;
l’idea di una relativa autonomia della sfera interpretativa
ha preso consistenza. A questo si è collegata una maggiore
attenzione per l’aspetto intuitivo
dell’interpretazione. Tim Howell, per esempio, critica
l’equazione "analisi : razionalità = esecuzione :
intuizione"; i poli di razionalità e intuizione sarebbero
invece coinvolti in una medesima dialettica, sebbene le sue
manifestazioni varino a seconda che ci si trovi nell’ambito
dell’analisi o in quello dell’esecuzione:
"L’analista e l’esecutore lavorano in direzioni
‘opposte’: il primo razionalizza progressivamente la
sua reazione intuitiva con l’obiettivo di illuminare
l’astrazione, il secondo impiega una tecnica rigorosamente
acquisita in modo che ne risulti un’interpretazione che
comunichi un senso di spontaneità e di intuizione
naturale".[22]
Nell’affermazione di Howell riecheggia la dialettica di
mimesi e razionalità, che sta alla base di ogni considerazione
estetica di Adorno. Tuttavia Adorno non avrebbe impostato il
problema in questo modo: attribuire un valore all’intuizione
significherebbe rompere l’equilibrio dei tre elementi
fondamentali e decretare il primato della dimensione idiomatica;
separata dalle altre due, essa finirebbe per volgersi contro la
decifrazione del senso e dunque la possibilità di
concretizzarlo auralmente. Il primato della dimensione idiomatica
appartiene a quel modo della mercificazione che egli definisce
Musikantentum, il mondo dei virtuosi narcisisti il cui unico
scopo è quello di incrementare la brillantezza del suono e gli
effetti sensazionali della tecnica. Per designare la dimensione
della soggettività Adorno ha impiegato il termine "idiomatico"
probabilmente perché voleva sottolineare il carattere non puro
dell’intuizione, il fatto che essa (per effetto
dell’educazione, della socializzazione e dei vincoli
professionali) è sedimentazione di valenze culturali.
L’analisi, attività razionale, può avere per
l’interprete anche la funzione di autoanalisi e, come tale,
svelare le proprie strutture di pregiudizio.
La funzione prescrittiva dell’analisi è
uno di quei caratteri che la recente musicologia respinge nelle
tradizionali teorie dell’esecuzione. La posizione che
Nicholas Cook chiama "fondamentalista"[23] è quella in cui
Adorno si sarebbe sicuramente identificato: il senso è
individuabile con l’analisi e rappresentabile con il suono.
In Zur Theorie der musikalischen Reproduktion si legge la
seguente annotazione: "Ogni lavoro musicale presuppone la
possibilità di distinguere tra giusto e sbagliato,
nell’interprete non meno che nel compositore [...]".[24] Eseguire musica implica
che si eserciti questa facoltà di giudizio; il campo della sua
applicazione va dall’esattezza di intonazione
all’assoluta trasparenza della costruzione. In un altro
passaggio[25] Adorno
sottolinea che nell’interpretazione musicale non ci sono
valori approssimativi, non esiste un continuum tra
sbagliato, migliore ed esatto: se un dettaglio non è corretto,
ciò significa che l’esecuzione nel suo insieme è
inappropriata. Questo essenzialismo sembra essere in contraddizione
con altri princìpi enunciati da Adorno, come quello del
dispiegamento del contenuto delle opere nella storia oppure quello
delle ambiguità intrinseche della dimensione mensurale, del
testo. E’ vero che senso e verità si trovano in un campo
di oscillazione, ma esso è ben circoscritto. La distinzione
tra una lettura strutturale-analitica e una lettura
drammatico-performativa – come è stato proposto in
questi ultimi anni[26]
– equivarrebbe per Adorno a una distorsione della
realtà.
Un discorso analogo vale per il pluralismo
interpretativo che è stato invocato da molte parti a seguito
del poststrutturalismo, una corrente di pensiero che ha acuito la
consapevolezza della molteplicità e variabilità del
senso. I performance studies stanno oggi godendo di
un notevole favore; e questo lo si deve non solo al mutato clima
intellettuale ma anche al convergere di diverse istanze: i
tentativi di ricostruzione delle prassi storiche occupano da
decenni una posizione consolidata sullo scenario concertistico; la
quantità di materiale esecutivo e addirittura preparatorio
all’esecuzione presente negli archivi è aumentata in
modo considerevole; la generazione di solisti a cui appartengono
Glenn Gould, Alfred Brendel e Maurizio Pollini ha mostrato come
l’interpretazione possa essere considerata un progetto
autonomo che intrattiene un rapporto paritetico con il testo. Il
campo di plausibilità dell’esecuzione appare più
ampio di quello dell’analisi; e forse ciò ha a che fare
con quegli aspetti mediante cui l’interpretazione
performativa si distingue da quella critica. Una tale
molteplicità non troverebbe giustificazione nella teoria
dell’esecuzione di Adorno e, in generale, in coloro che
seguono i princìpi della Scuola di Vienna; sarebbe vista come
epifenomeno del relativismo che livella la forza specifica di ogni
valore, come sintomo di una separazione artificiale del soggetto
dell’interpretazione dal suo oggetto, come introduzione di un
momento di accidentalità e indifferenza che nega il rapporto
di necessità tra senso musicale e sua riproduzione sonora.
E’ consuetudine che la discussione sui rapporti
tra analisi ed esecuzione abbia come campo di riferimento la musica
strumentale dell’Ottocento: le composizioni più
rappresentative di quel settore sono infatti i principali oggetti
di studio della teoria musicale e al contempo occupano una
posizione di rilievo nelle stagioni concertistiche e
nell’industria discografica. Tuttavia una teoria
dell’interpretazione musicale, che per un ovvio principio di
economia metodologica si sviluppa a partire da un repertorio
specifico, dovrebbe lasciarsi applicare anche ad altri ambiti della
musica d’arte. Si pone per esempio la questione se nel caso
di opere del Novecento, che riflettono un mutamento del sistema
linguistico e non dispongono di una lunga tradizione
interpretativa, il rapporto tra analisi ed esecuzione si articoli
senza sostanziali differenze rispetto a ciò che avviene nella
musica tonale. Anche in questo ambito, Adorno e Kolisch condividono
lo stesso punto di vista: i problemi che si pongono
all’interprete di Schönberg non sono di principio
differenti da quelli sollevati da una partitura tonale. Tuttavia
nella breve storia dell’interpretazione della Scuola di
Vienna sono emersi ostacoli che possono essere rimossi solo
familiarizzandosi con il nuovo linguaggio – e il mezzo
più efficace di questa familiarizzazione è
l’analisi. Adorno si sofferma sui seguenti punti:
1. tenere il "filo rosso" ovvero non frammentare il
discorso in istantanee, ma rendere percettibile la continuità
che collega diverse voci e talvolta travalica le pause;
2. articolare le melodie con flessibilità e
mostrare una sensibilità per le curve paralinguistiche;
3. precisa differenziazione e gradazione delle voci
(con l’introduzione dei segni di Hauptstimme e
Nebenstimme Schönberg ha segnalato l’importanza
della gerarchia all’interno di una complessa polifonia);
4. suonare in modo tematico, rendendo evidenti i
legami motivici più nascosti;
5. attenersi rigorosamente ai tempi indicati sulla
partitura, evitando rubato e ritardando là dove esso non sia
richiesto dalla dinamica formale generale;
6. avere piena consapevolezza del fraseggio.[27]
L’ultimo aspetto è direttamente collegato
alla riproduzione del senso musicale. A questo proposito Adorno ama
citare un’osservazione di Steuermann: "Se una melodia
classica viene interpretata con un fraseggio inadeguato, può
perdere qualcosa della sua bellezza; invece quelle di
Schönberg sarebbero assolutamente incomprensibili".[28] Tuttavia il fraseggio non
si limita alla corretta distribuzione dei pesi nella melodia,
dunque alla preservazione dell’unità della
Gestalt, ma riguarda anche la concretizzazione sonora dei
rapporti tra le Gestalten. Esiste una tipologia
diversificata di nessi grammaticali mediante i quali si costituisce
la forma: virgole, punti e virgola, doppi punti e punti fermi,
parentesi ed inserti, congiunzioni e disgiunzioni. Tali fattori di
articolazione vanno accuratamente ponderati specialmente là
dove l’immagine notazionale non offre precise informazioni.
Il riconoscimento delle componenti fraseologiche è un momento
nevralgico dell’analisi intesa come strumento di
un’autentica interpretazione: "La totalità del fraseggio
coincide con la forma musicale".[29] Rendere chiara e coerente la forma
musicale è il massimo dovere dell’esecutore e al
contempo il suo obiettivo più nobile. Solo attraverso questa
resa la musica comincia a parlare.
Come oggetto delle Interpretationsanalysen
Adorno ha scelto composizioni che appaiono enigmatiche e offrono
pochi appigli a un interprete che non sia stato opportunamente
istruito. In particolare le Sechs Bagatellen di Webern e la
Phantasy di Schönberg sono opere che, pur nella
diversità della tecnica, riflettono una problematica
fondamentale per il Novecento: le categorie della composizione
motivico-tematica subiscono una trasformazione tale che diventano
irriconoscibili in superficie, pur continuando ad agire nel
profondo come princìpi della dinamica formale. Non è un
caso che nella conferenza sui problemi dell’analisi Adorno
abbia fatto riferimento proprio a queste due opere come esempi di
tecniche che deviano radicalmente dalle norme formali e in un modo
obliquo le rigenerano, creando una coerenza e un equilibrio di
forze di nuova qualità.[30] Questo procedimento sta in stretta
relazione con l’esigenza di una "teoria materiale delle
forme" che Adorno aveva posto nel libro su Mahler nel
1960.[31] Una
siffatta teoria avrebbe dovuto prendere il posto della
Formenlehre tradizionale che opera con schemi archetipici e
non tiene conto della continua evoluzione del materiale. Adorno
rileva che nelle Sinfonie di Mahler vi sono delle categorie formali
del tutto nuove – Durchbruch (sfondamento),
Suspension (sospensione), Erfüllung
(adempimento) e Einsturz (crollo) – che coesistono
accanto ai modelli tradizionali (forma sonata, forma tripartita del
tempo lento, rondò, ciclo di variazioni ecc.). Queste nuove
categorie non sono riconducibili a funzioni formali paragonabili a
presentazione, contrasto, sviluppo, transizione e ripresa; la loro
funzione si definisce nel contesto particolare in cui di volta in
volta si trovano. Il rapporto tra forma e carattere, così
fondamentale per la musica strumentale classico-romantica, viene
modificato: gli schemi formali, che nella musica precedente
venivano impiegati ai fini dell’organizzazione interna del
tempo musicale, non fungono più da veicoli per trasportare i
caratteri; qui i caratteri sono talmente specifici da essere
costretti a produrre essi stessi categorie formali che siano in
grado di veicolarli.
La problematica formale si radicalizza in opere come
la Phantasy di Schönberg. La scelta del genere –
su cui peraltro il compositore si era soffermato nel capitolo
dedicato alle "cosiddette forme libere" di Funzioni strutturali
dell’armonia[32] – è in stretta relazione con
il progetto di costruire un nuovo tipo di forma che sia al contempo
vincolante e libero, rigido e sciolto. L’analisi di Adorno si
propone di scoprire la "latente struttura formale"[33] che sta dietro al
succedersi quasi rapsodico degli eventi. Nella figura 1
fornisco una mia rappresentazione grafica della ricostruzione
formale di Adorno; le ho sottoposto la tavola delle regioni
elaborata da David Lewin[34] allo scopo di mettere in evidenza un
altro livello strutturale, che coincide in parte con
l’architettura formale descritta da Adorno. L’articolo
di Lewin rappresenta il primo importante contributo per comprendere
la disposizione e il concatenamento delle forme seriali della
Phantasy. Malgrado l’autore avverta di non volere
proporre un’analisi esaustiva dell’opera, il confronto
tra l’organizzazione delle regioni e l’articolazione
formale mi sembra essere il naturale sviluppo del suo lavoro;
è peraltro un’operazione in piena consonanza con i
procedimenti analitici dello Schönberg teorico, che non
mancava di sottolineare che la disposizione delle regioni armoniche
di un pezzo tonale è un fenomeno concomitante alle funzioni
formali. Nelle figure 2 e 3 si possono confrontare gli schemi formali di
René Leibowitz e Josef Rufer[35]; si noterà che i criteri analitici
della Scuola di Schönberg, se applicati alle opere del
maestro, possono dare luogo a interpretazioni non sempre
convergenti. Concentrerò l’attenzione su quella che da
tutti gli analisti viene considerata come la prima sezione (batt.
1-33). Voglio innanzitutto mostrare a quali esiti può condurre
un'analisi improntata ai princìpi della tradizionale
Formenlehre e poi saggiare, sulla base di un ascolto
dell’esecuzione che Kolisch e Steuermann fecero a Darmstadt
nel 1954,[36] quali
ripercussioni questo metodo analitico possa avere sulla prassi
esecutiva.
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Ascolto
dell’esecuzione di Kolisch e Steuermann
(battute 1-6_7-9 – file MP3 [dimensioni 328 KB])
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Figura 1
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Theodor W. Adorno, Analisi della Phantasy op. 47 di
Schönberg,
cfr. nota 34.
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Figura 2
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René Leibowitz, Analisi formale della Phantasy
op. 47 di Schönberg,
cfr. nota
35.
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Figura 3
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a) Josef Rufer, Analisi formale della Phantasy op.
47 di Schönberg,
cfr. nota
35.
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b) Josef Rufer, Analisi motivica e seriale delle
battute 1-6,
cfr. nota
35.
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Figura 4
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René Leibowitz, Traité de la composition avec
douze sons, facsimile dell'originale inedito (per gentile
concessione della Fondazione "Paul Sacher" di Basilea)
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Per precisare terminologicamente il distanziamento
dalle forme tradizionali, Adorno impiega il termine
"intonazione"[37] che
Bartók aveva presumibilmente introdotto per descrivere un
preludiare simile a quello con cui si aprono certe canzoni
popolari. Nel contesto della Phantasy, esso allude al fatto
che la sostanza tematica non viene presentata dal violino in un
unico getto e incapsulata in una struttura rigorosa, bensì si
dispiega in quattro decorsi ripercorrendo le modalità con cui
un improvvisatore cerca di fissare un tema. D'altro canto i termini
Vordersatz e Nachsatz (antecedente e conseguente),
che Adorno chiama in causa per definire la prima "intonazione",
rimandano alla forma del periodo. Anche Rufer e Leibowitz
individuano nelle batt. 1-6 una struttura tematica. Rufer non parla
esplicitamente di periodo, come Leibowitz; tuttavia lo schema
ritmico che egli colloca sopra la parte del violino (figura 3b) evidenzia i rapporti di corrispondenza tra
le due metà. Invece nel Traité de la composition avec
douze sons, il cui obiettivo è mostrare come le unità
sintattiche delle tradizione vengano riformulate sulla base della
dodecafonia, Leibowitz si sofferma sulle funzioni formali a diversi
livelli (figura 4). La proposizione di batt. 1-2/1 è
costituita dall'esacordo originale nel violino e dal suo
complemento inversionale nel pianoforte; ad essa segue il contrasto
(batt. 2-4/1), che si distingue dall'unità precedente per
l'impiego di nuove figure ritmiche e il capovolgimento delle
relazioni seriali. Il conseguente (batt. 4/2-6) ripresenta le due
unità in forma condensata; in particolare il motivo del
contrasto è appena accennato, peraltro in una forma piuttosto
lontana dall’originale (NB1 e NB2). Leibowitz individua
dunque le tipiche caratteristiche del periodo: 1. forte cesura in
batt. 3-4 dovuta alla ripetizione di La-Sol e alla comparsa delle terzine nell'accompagnamento; 2.
variazione della proposizione iniziale all'inizio del conseguente
mediante prolungamento della nota ribattuta; 3. trasformazione del
motivo di contrasto; 4. funzione cadenzale delle semicrome di
accompagnamento (NB3).
Mi sono soffermato sull'analisi di Leibowitz, in
quanto essa sembra essere molto più aderente all'esecuzione di
Darmstadt che non quella di Adorno. Per illustrare questo fatto,
bisogna prendere in considerazione la macroforma e riflettere sui
diversi modi con cui Adorno e Leibowitz intendono i suoi rapporti
interni. Questo passaggio dal particolare al generale è
saliente per la tradizionale teoria delle forme e presumibilmente
anche quella "materiale" prospettata da Adorno; infatti il suo
obiettivo primario è quello di stabilire le relazioni tra
parti e tutto e delle parti tra di loro.[38] Solo un'analisi
soddisfacente sotto questo profilo può costituire la solida
base di un'interpretazione paralinguistica del pezzo, il cui
compito è proprio quello di articolare in modo sensato,
sintatticamente corretto, le varie componenti del discorso. Per
Leibowitz la sezione che stiamo esaminando è un vero e proprio
tema; in quanto tale, egli lo include nella parte del trattato che
è dedicata alle "Structures expositionelles principales",
specificamente nel capitolo "Structures closes", termine che
corrisponde a quello che Schönberg chiamava "feste Formung"
ovvero "stable formation" [strutturazione rigida]. Invece per
Adorno è un'intonazione di tipo improvvisativo che contiene
però tracce delle tipiche strutture tematiche. I consigli che
egli dà agli interpreti per quanto concerne i dettagli (la
sottolineatura della ripetizione del primo suono come "mezzo di
aggluttinamento motivico",[39] l'attenzione per il gruppo di terzine al
pianoforte, il monito di non eccedere con il ritardando) non sono
fuorvianti; è piuttosto la direzione generale dell'analisi a
generare perplessità. Insistendo sugli elementi di
differenziazione delle quattro intonazioni e sui loro caratteri
individuali, Adorno induce gli esecutori a una realizzazione
aforistica dell'intera prima sezione. Nell’economia formale
dell’intero brano essa svolgerebbe la funzione di
un’"introduzione con carattere di recitativo", rispetto alla
quale l'Adagio rappresenta il principio della strutturazione rigida
("un consolidamento").[40]
L’idea della Fantasia – di una forma
libera in cui si susseguono episodi diversi per carattere e
dimensione – è per Adorno un punto fermo che non va
messo in discussione: tale principio introduce la
discontinuità e costituisce un dispositivo frenante rispetto
alla variazione in sviluppo. Invece Leibowitz individua una forma
globale ben precisa, che ha una propria storia: la "forma a doppia
funzione", il cui modello è rappresentato dalla Sonata per
pianoforte di Liszt. Schönberg vi aveva già fatto ricorso
nella fase tardo-tonale ed espressionista; tuttavia, a questo punto
dello sviluppo della sua tecnica compositiva, essa assume un senso
diverso; la dodecafonia contiene infatti l'idea della massima
diversificazione delle configurazioni topiche, le quali sono
comunque sempre riconducibili all’entità unificatrice:
la serie fondamentale. Se questa dimensione deve avere
ripercussioni a livello formale, ciò non può che avvenire
mediante la composizione di idee contrastanti che si concatenano
formando una totalità organica, sebbene difforme rispetto agli
schemi formali del linguaggio tonale. Questa tendenza è
dominante, secondo Leibowitz, in Schönberg a partire dal
Concerto per pianoforte op. 42. La "forma a doppia funzione" è
dunque lo schema più collaudato che permette di rappresentare
questo nuovo tipo di unità e al contempo di evidenziare i
doppi sensi di certe componenti sintattiche. Il caso del segmento
di batt. 1-6 non pone però, per Leibowitz, tali problemi in
quanto è un tema tout court. Ad esso seguono una serie
di liquidazioni in cui il materiale tematico è frammentato e
neutralizzato; la transizione, che si vale prevalentemente di un
motivo di semibiscrome, sfocia in una ripresa contratta del tema
che ha la funzione di "chiudere a metà" la prima parte della
Phantasy.
I rapporti tra una serie di intonazioni a carattere
di recitativo e quelli tra tema e liquidazione appartengono
compositivamente a due ordini diversi. Adorno e Leibowitz aderivano
entrambi all'idea che l'esecuzione non può essere altro che la
"autentica riproduzione delle Gestalten e dei caratteri
musicali";[41] entrambi
erano convinti che il pieno riconoscimento delle Gestalten
può avvenire solo mediante un'indagine sui rapporti funzionali
intercorrenti tra le sezioni formali. Gli interpreti che seguono
Adorno dovrebbero dunque suonare questa sezione in modo diverso da
coloro che aderiscono all'analisi di Leibowitz. L'esecuzione di Kolisch e Steuermann, che
avvenne nel quadro dei seminari con Adorno, sembra
paradossalmente seguire l'analisi di Leibowitz. La situazione
mostra tratti ancora più paradossali, se si tiene conto degli
appunti che Kolisch redasse in vista di una lezione-concerto
nell'ambito della Summer School of Music in Dartington Hall nel
1965 (figura
5). Regina Busch ha rimarcato l'influenza dell'analisi di
Adorno sia nell'articolazione formale sia nella concezione
generale.[42] Essa
emerge in affermazioni come: "Title deliberately chosen: Fantasy
style/ free Form but not unorganized/ Structurally oriented more on
baroque examples than classical / avoids any sonatalike
developpment " e più avanti: "Rather progressive
a-thematic". Leopold Spinner, l’allievo di Webern che era
presente al concerto, notò uno iato tra interpretazione
critica e performativa che comunicò al violinista con queste
parole: "I enjoyed your recital of Schönberg's Fantasy so much
[...], but how could you speak of this piece as athematic, you of
all!".
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Figura 5
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Rudolf Kolisch, Note per una lezione concerto (1965),
facsimile pubblicato in REGINA BUSCH, Thematisch oder
athematisch?,
cfr. nota
42.
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Lo sdoppiamento tra una concezione delle strutture
fondamentali, rispetto alla quale tutti gli indizi parlano di una
piena adesione di Kolisch all'analisi di Adorno, e una
realizzazione sonora che rimane fedele all'ideale dello stile
tematico sembra avvalorare il punto di vista più recente che
riabilita il ruolo dell'intuizione nel processo interpretativo. Il
campo di oscillazione non è ampissimo, perché in fondo
sia Adorno che Leibowitz intendono spiegare come Schönberg, a
partire dalla critica alle forme tradizionali abbia ideato una
nuova concezione formale in cui le norme fondamentali del
linguaggio musicale vivono una sorta di rigenerazione.
L’esecuzione di Kolisch e Steuermann manifesta comunque uno
scarto tra analisi delle strutture e loro rappresentazione sonora
che non può in alcun modo essere ricondotto a ciò che
Adorno chiamava "dimensione idiomatica". Un fattore determinante
nell'analisi di Leibowitz è che egli abbia cercato una
corrispondenza tra le funzioni formali e "funzioni seriali",
cioè le relazioni di parentela tra le trasposizioni e le
inversioni. Mettendo in relazione la planimetria seriale e le
sezioni formali, si apre la prospettiva su una dimensione
strutturale superiore. Quanto di questo possa essere esplicitato in
sede di esecuzione, è una questione che difficilmente
potrà trovare una risposta definitiva. E’ evidente
però che il dibattito sui rapporti tra analisi ed esecuzione
nella musica del Novecento assume connotati diversi a seconda del
mutare del concetto di struttura.
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Note
al testo
|
[1] Cfr.
Theodor W. Adorno,
Zu einer Theorie der musikalischen Reproduktion, hrsg. von
Henri Lonitz, Frankfurt am Main, Suhrkamp, 2001.
[2] Cfr.
Theodor W. Adorno,
Zum Problem der Reproduktion [1925], in Id., Gesammelte Schriften
19, hrsg. von Rolf Tiedemann, Frankfurt am Main, Suhrkamp,
1984, pp. 440-444.
[3] Cfr.
Arnold
Schönberg, For a Treatise on Performance, in Id.
Style and Idea, ed. by Leonard Stein, London & Boston,
Faber & Faber, 1984, pp. 319-320. Cfr. anche Hermann Danuser, La teoria
dell’interpretazione musicale di Schönberg, in
Schönberg, a cura di Gianmario Borio, Bologna, Il
Mulino, pp. 201-210.
[4] Cfr.
Theodor W. Adorno,
Zur gesellschaftlichen Lage der Musik [1932], in
Id., Gesammelte
Schriften 19, cit., pp. 729-777.
[5]
Ibidem, p. 755.
[6] Cfr.
Theodor W. Adorno,
Il fido maestro sostituto. Studi sulla comunicazione della
musica, introduzione e traduzione di Giacomo Manzoni, Torino,
Einaudi (Reprints), 1975, pp. 109-240.
[7] Cfr.
Adolf Bernhard Marx,
Anleitung zum Vortrag Beethovenscher Klavierwerke, nach der
Originalausgabe von 1863 neu herausgegeben von Eugen Schmitz,
Regensburg, Gustav Bosse Verlag, 1912; Heinrich Schenker,
Erläuterungsausgaben der letzten fünf Sonaten
Beethovens, Wien, Universal edition, 1913-1920.
[8] Cfr.
Hermann Danuser,
Musikalische Interpretation (Neues Handbuch der
Musikwissenschaft); e Id., Grundtypen der
Interpretationsanalyse, in Neue Musik und
Interpretation, hrsg. von Hermann Danuser und Siegfried Mauser,
Mainz, Schott, 1994, pp. 23-30.
[9] Cfr.
Adorno, Zu einer
Theorie der musikalischen Reproduktion, cit., pp. 194-195. Cfr.
anche Id., Musica
moderna, interpretazione e pubblico, in Id., Dissonanze, Milano,
Feltrinelli, 1974, pp. 189-202.
[10] Cfr.
Theodor W. Adorno,
Invecchiamento della Nuova Musica, in Id., Dissonanze, cit.,
pp. 157-186. Le lezioni su Schönberg non sono state redatte in
forma scritta bensì improvvisate sulla base di pochi appunti
(esse sono state però registrate su nastro magnetico; le
bobine sono conservate presso l’archivio
dell’Internationales Musikinstitut Darmstadt). Colgo l’occasione per
ringraziare i responsabili di questo archivio, della Fondazione
Paul Sacher di Basilea, del Theodor W. Adorno Archiv di
Francoforte sul Meno e della Kolisch Collection della
Houghton Library (Harvard) per avermi messo a disposizione
documentazioni e materiali.
[11] Cfr.
Theodor W. Adorno - Rudolf
Kolisch, Interpretation und neue Musik, Hessischer
Rundfunk, 24 novembre 1954 (una registrazione è conservata
presso il Theodor W. Adorno Archiv).
[12] Cfr.
Adorno, Zu einer
Theorie der musikalischen Reproduktion, cit., pp. 120, 147, 159
e specialmente 263-264.
[13]
Ibidem, p. 120.
[14]
Theodor W. Adorno,
Zum Problem der musikalischen Analyse, in Frankfurter
Adorno Blätter VII, hrsg. v. Rolf Tiedemann, München,
Edition text+kritik, 2001, pp. 73-89: 76; di questa conferenza
esiste anche una traduzione inglese: On the Problem of Musical
Analysis [1969], introduced and translated by Max Paddison,
«Music Analysis» 1/2, 1982, pp. 169-187: 173. Il
riferimento a Schenker in Il fido maestro sostituto si trova
a p. 273 dell’edizione citata.
[15]
Adorno, Zu einer
Theorie der musikalischen Reproduktion, cit., p. 9.
[16]
Ibidem, p. 125.
[17] Cfr.
Hans Swarowsky,
Wahrung der Gestalt. Schriften über Werk und Wiedergabe,
Stil und Interpretation in der Musik, hrsg. von Manfred Huss,
Wien, Universal Edition, 1979, pp. 15, 29-37 e 231.
[18]
Erwin Stein, Form
and Performance, with a forward by Benjamin Britten, New York,
Limelight Editions, 1989, p. 69. Stein ha lavorato a questo libro,
che è rimasto incompiuto, nei suoi ultimi anni di vita (fino
al 1958).
[19]
René Leibowitz,
Le compositeur et son double. Essays sur
l’interprétation musicale, Paris, Gallimard 1971, p.
28. Cfr. anche René
Leibowitz - Rudolf Kolisch, Aufführungsprobleme im
Violinkonzert von Beethoven, «Musica» 33/2, 1979, pp.
148-155.
[20] Cfr.
Edward T. Cone,
Musical Form and Musical Performance, New York, 1968.
EUGENE NARMOUR, On the Relationship of Analytical Theory
to Performance and Interpretation, in Explorations in Music,
the Arts, and Ideas: Essays in Honor of Leonard B. Meyer, ed.
by Eugene Narmour and Ruth A. Solie, Stuyvesant (New York),
Pendragon Press, 1988, pp. 317-340; WALLACE BERRY, Musical
Structure and Performance, New Haven, Yale University Press,
1989.
[21]
Heinrich Schenker,
The Art of Performance, ed. by Heribert Esser, translated by
Irene Schreier Scott, Oxford, Oxford University Press, 2000.
[22]
Tim Howell,
Analysis and Performance: The Search for a Middleground, in
Companion to Contemporary Musical Thought, II, ed. by John
Paynter, Tim Howell, Richard Orton and Peter Seymour, London - New
York, Routledge, 1992, p. 698.
[23] Cfr.
Nicholas Cook,
Analysing Performance and Performing Analysis, in
Rethinking Music, ed. by Nicholas Cook and Mark Everist,
Oxford - New York, Oxford University Press, 1999, pp. 239-261.
[24]
Adorno, Zu einer
Theorie der musikalischen Reproduktion, cit., p. 72.
[25]
Ibidem, p. 195.
[26] Cfr.
Jerrold Levinson,
Performative vs. Critical Interpretation of Music, in The
Interpretation of Music: Philosophical Essays, Oxford
University Press, Oxford/New York 1993, pp. 33-60.
[27] Cfr.,
ADORNO, Zu einer Theorie der musikalischen Reproduktion,
cit., pp. 147, 159-161, 171 e 195-196.
[28]
Ibidem, p. 272.
[29]
Ibidem, p. 144.
[30] Cfr.
Adorno, Zum
Problem der musikalischen Analyse, cit., pp. 84-85.
[31] Cfr.
Theodor W. Adorno,
Wagner.Mahler, Torino, Einaudi (Reprints), 1975, p. 177.
[32] Cfr.
Arnold
Schönberg, Funzioni strutturali
dell’armonia, Milano, Il Saggiatore, 1975, pp.
245-253.
[33]
Adorno, Il fido
maestro sostituto, cit., p. 183.
[34] Cfr.
David Lewin, A
Study of Hexachord Levels in Schönberg´s Violin
Fantasy [1968], in Perspectives on Schönberg and
Stravinsky, ed. by Benjamin Boretz and Edward T. Cone, Westport
Conn, Greenwood Press, 1983, pp. 78-92.
[35]
Cfr. René
Leibowitz, Traité de la composition avec douze
Sons, dattiloscritto datato 1950, conservato presso la
Fondazione Paul Sacher, in particolare pp. 33-34 e 100-101;
Id.,
Schönberg, Paris, Seuil, 1969, pp. 157-158;
Josef Rufer, Die
Komposition mit zwölf Tönen, Max Hesses Verlag,
Berlin/Wunsiedel 1952, traduzione italiana di Laura Dallapiccola,
Teoria della composizione dodecafonica, Milano, Il
Saggiatore, 1962, pp. 188-193, 206-209 e tavole
XVIII–XX. Sulle differenze di approccio tra Leibowitz e Rufer
cfr. Gianmario
Borio, Zwölftontechnik und Formenlehre. Die
Abhandlungen von René Leibowitz und Josef Rufer, in
Arnold Schönberg (1874-1951): Autorschaft als historische
Konstruktion: Vorgänger, Zeitgenossen, Nachfolger und
Interpreten, hrsg. von Andreas Meyer und Ullrich Scheideler,
Stuttgart, Metzler, 2001, pp. 287-321.
[36] Cfr.,
Phantasy for Violin and Piano Accompaniment, op. 47: Rudolf
Kolisch, violin; Eduard Steuermann, piano. Summer Courses for New
Music, Darmstadt, August, 15th 1954 (WWE 1CD 31894,
col legno, München).
[37]
Adorno, Il fido
maestro sostituto, cit., p. 183.
[38] Cfr.
Gianmario Borio,
La concezione dialettica della forma musicale da Adolf Bernhard
Marx a Erwin Ratz. Abbozzo di un decorso storico, in
Pensieri per un maestro. Studi in onore di Pierluigi
Petrobelli, a cura di Stefano La Via e Roger Parker, Torino,
EDT, 2002, pp. 361-386.
[39]
Adorno, Il fido
maestro sostituto, cit., p. 187 (ho rettificato qui la
traduzione “mezzo tematico di cementazione”; Adorno usa
“motivisches Bindemittel” in piena consapevolezza della
differenza tra motivo e tema).
[40]
Ibidem, p. 205.
[41]
René Leibowitz
– Rudolf Kolisch, Aufführungsprobleme im
Violinkonzert von Beethoven, «Musica» 33/2, 1979, p.
149.
[42] Cfr.
Regina Busch,
Thematisch oder athematisch?, in Mitteilungen der
Internationalen Schönberg-Gesellschaft, III-IV, 1989, pp.
5-9 (il facsimile riprodotto nella figura 5 è pubblicato a p.
8).
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degli Studi di Pavia
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Dipartimento di Scienze musicologiche e
paleografico-filologiche – Facoltà di
Musicologia
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