Recensione a cura di Laura Mauri
Vigevani
Il suono dell’arte. Gli organi antichi della
provincia di Chieti, a cura di Alberto Mammarella, con
prefazione di Oscar Mischiati, Fondazione Cassa di Risparmio della
Provincia di Chieti, [S. Atto di Teramo], Edigrafital, 2002, pp.
318.
Benedetta
Toni, La storia del pianoforte attraverso la collezione
di palazzo Monsignani-Sassatelli di Imola, Fondazione Cassa di
Risparmio di Imola, [Cremona], Cremonabooks, 2002, pp. 258.
Fabio
Perrone, Guida alle collezioni di strumenti musicali in
Italia, [Cremona], Cremonabooks, 2001, pp. 118.
Negli ultimi anni alcune iniziative hanno dato motivo
di sperare in una più attenta opera di valorizzazione del
nostro patrimonio organologico, tuttora ricchissimo nonostante
l’incuria e le manomissioni cui per lunghi decenni è
stato sottoposto (e piacerebbe poter davvero usare solo il tempo
passato). Si pensi, ad esempio, all’accordo del 1996 tra il
Ministero della Pubblica Istruzione e il Ministero dei Beni
Culturali, che, in virtù di una concessione in comodato, ha
reso possibile dal 2001 la permanente riesposizione al pubblico
presso la Galleria dell’Accademia della collezione
mediceo-lorenese di strumenti musicali di proprietà del
Conservatorio di Firenze (cfr. La musica e i suoi strumenti. La
collezione granducale del Conservatorio Cherubini, a cura di
Franca Falletti – Renato Meucci – Gabriele Rossi
Rognoni, Firenze, Giunti, 2001). Si pensi alla pubblicazione dei
cataloghi delle collezioni di Roma (La galleria armonica.
Catalogo del Museo Nazionale di strumenti musicali di Roma, a
cura di Luisa Cervelli, Roma, Istituto Poligrafico e Zecca dello
Stato, 1994) e di Milano (Musei e gallerie di Milano. Museo
degli strumenti musicali, a cura di Andrea Gatti, Milano,
Electa, 1997), al diretto coinvolgimento del Ministero dei Beni
Culturali e dell’Istituto Centrale per il Restauro nel
restauro (con annessa scuola per restauratori) dell’organo
romano di Santa Maria in Trastevere e nella pubblicazione di un
valido riferimento metodologico (Conservazione e restauro degli
organi storici. Problemi, metodi, strumenti, a cura di Giuseppe
Basile, Ministero per i Beni Culturali e Ambientali - Istituto
Centrale per il Restauro, Roma, De Luca, 1998).
Tuttavia altri segnali non sono stati ugualmente
positivi. La Commissione Nazionale per il restauro degli strumenti
musicali, nata dal decreto interministeriale del 1991, era già
morta nel 1994 e l’unico riferimento in materia rimane la
legge 1089 del 1939. I vari convegni dedicati al restauro degli
strumenti musicali non hanno portato a conclusioni condivise e
ancora non è disponibile una scheda di catalogazione unica,
conosciuta e in uso a livello nazionale. I curatori delle
istituzioni che conservano strumenti musicali, spesso sprovvisti di
competenze specifiche, non sono aiutati ad orientarsi nelle scelte
operative che pressoché quotidianamente devono prendere. Per
limitarsi a una tra le tante che potremmo considerare, la richiesta
di rilievi/esami di uno strumento, quanti tra loro conoscono le
direttive del CIMCIM, la Commissione Internazionale per le
Collezioni di Strumenti Musicali dell’ICOM, Consiglio
Internazionale dei Musei? Vogliamo pretendere siano autonomamente
informati magari addirittura della traduzione italiana di queste
direttive (Raccomandazioni per regolamentare l’accesso
agli strumenti musicali nelle collezioni pubbliche: 1985,
«Liuteria Musica e Cultura», 1996, pp. 118-123)?
L’esigenza maggiormente avvertita è quella
di un coordinamento a livello nazionale, che permetta la non
dispersione dei risultati delle spesso lodevoli attività.
A queste ultime appartengono i tre recenti e
interessanti contributi alla conoscenza degli strumenti musicali
segnalati in questa sede, frutto del paziente e intelligente lavoro
di censimento, catalogazione e studio di tre giovani appassionati
musicisti-musicologi.
I volumi di Mammarella e Toni hanno ricevuto il
sostegno della Fondazione della Cassa di Risparmio, rispettivamente
di Chieti e di Imola, sensibili al crescente interesse da parte di
pubblico e istituzioni verso questa parte della nostra cultura.
Alberto Mammarella rivolge la sua attenzione agli
organi della provincia di Chieti, fornendo le schede descrittive di
quasi settanta strumenti, compresi tra la fine del XVII e
l’inizio del XX secolo, il maggior numero dei quali
appartiene alla seconda metà del Settecento e a diverse
tipologie costruttivo-formali.
Dell’organo del 1690 (come si legge in
un’iscrizione sul prospetto) di Santa Maria Assunta in Gissi
risale alla prima fase costruttiva, come quasi sempre avviene, solo
la cassa, preziosamente intagliata e dorata, dalla struttura
inconsueta: sopra le due campate laterali troviamo timpani a
triangolo spezzato, mentre un cornicione rettilineo sovrasta la
campata centrale. Di monumentale imponenza l’organo di San
Francesco a Lanciano, dono di papa Clemente XIV (1769-1774), il cui
stemma corona il prospetto. Inconsuete le canne lavorate a
tortiglione nel prospetto dell’organo ottocentesco di San
Michele in Atessa.
Diversi strumenti erano dotati di positivi tergali,
dei quali rimangono perlopiù ruderi. L’organo di S.
Antonio a Montazzoli (attribuito a Francesco D’Onofrio I,
1741) presenta la prima ottava corta senza do diesis, caso non
unico nell’arte organaria italiana, che comunque non ha
ricevuto ancora unanime spiegazione.
Le canne del registro di zampogna sono imboccate da
due putti, dunque effettivamente suonatori, ben in evidenza in una
cassa sontuosa, grazie alla loro posizione laterale e
all’atteggiamento trionfante, nell’organo di San
Giovanni Battista a Carunchio, bellissimo strumento lodevolmente
recuperato all’ascolto e protagonista, dall’agosto
2002, di un concorso organistico internazionale dedicato a
Francesco D’Onofrio II, che lo costruì nel 1775 (un
particolare sistema costruttivo consente che il labbro inferiore
delle canne sia amovibile).
Dall’accurato e competente lavoro di
catalogazione emergono, tra le altre che potremmo citare, le
personalità dei D’Onofrio e dei Fedri (o Fedeli o
Federi) e i diversi influssi esercitati dall’organaria di
scuola veneto-marchigiana o di scuola abruzzese-napoletana,
individuabili nella presenza o assenza di più registri da
concerto.
Il volume, il cui apporto positivo è
sottolineato nella prefazione di Oscar Mischiati, è corredato
da un ottimo apparato fotografico, bibliografia, glossario, indici
onomastico e toponomastico, tabella cronologica. Riporta anche i
profili dei modiglioni posti a fianco della tastiere, integrazione
utilissima per riconoscere le botteghe di appartenenza (ogni
bottega aveva un modello di modiglione che era replicato
costantemente), già da qualche tempo usata nei migliori
cataloghi relativamente a spinette, clavicembali e clavicordi (cfr.
ANDREA GATTI – VALENTINA RICETTI, I profili delle
modanature e il problema dei calchi negli strumenti musicali:
approccio al problema, indagine scientifica e metodologia
impiegata, in Musei e gallerie di Milano, op. cit., pp.
484-507) e che qui per la prima volta si trova in riferimento agli
organi.
E’ veramente auspicabile che il lavoro prosegua
con altrettanto zelo per le altre province abruzzesi, affiancato da
nuove ricerche d’archivio. Sarà così possibile
avere un quadro delle caratteristiche peculiari degli strumenti di
questa zona, come sempre indissolubilmente legati alla musica e
alla cultura. La storia dell’arte organaria della provincia
di Chieti, tracciata da Alberto Mammarella in poche pregnanti
pagine, troverà così una configurazione precisa e il
respiro di un orizzonte di confronto più vasto.
La collezione di palazzo Monsignani-Sassatelli di
Imola comprende un clavicembalo attribuito a Francesco Fabbri (1630
circa) e oltre ottanta pianoforti di area italiana, viennese,
tedesca, francese, svedese, inglese e americana, che abbracciano un
arco di tempo che va dal tardo Settecento ai primi decenni del XX
secolo. Si tratta di una delle più importanti collezioni
italiane, insieme a quella di villa Giulini a Briosco (Milano) e a
quella del Museo del pianoforte antico di palazzo Pizzini a Ala
(Trento), raccolta e tenuta viva dall’iniziativa di
Temenuschka Vesselinova.
La collezione imolese è nata e si è
sviluppata grazie all’opera del maestro Franco Sala,
fondatore e direttore dell’Accademia pianistica di Imola, che
l’ha voluta in stretta connessione con quest’ultima e
con i restauratori.
Il volume di Benedetta Toni nasce dalla sua tesi di
laurea, recentemente discussa all’Università degli Studi
di Bologna. Le presentazioni di Mario Baroni, relatore della tesi,
di Emilia Fadini, di cui la Toni è allieva, e di Luigi
Ferdinando Tagliavini introducono a un saggio, che illustra con uno
stile espositivo scorrevole e brillante "Lo sviluppo del pianoforte
e la sua storia culturale". Il saggio è articolato in tre
sezioni:
1700-1770: il bisogno del pianoforte;
1770-1820: la rivoluzione del pianoforte
nell’età delle rivoluzioni;
1820-1870: dal fortepiano al pianoforte moderno.
Committenze, relazioni con musicisti esecutori e
compositori, ambientazioni storiche e connotazioni sociali
concorrono a offrire una visione d’insieme tanto più
apprezzabile in quanto non trascura nessuno di questi particolari
aspetti.
Sono poi dati gli elementi
costitutivi della collezione di palazzo Monsignani-Sassatelli e un
esauriente commento agli strumenti, suddivisi secondo le aree
geografiche di appartenenza.
Seguono 45 schede descrittive di pianoforti di
rilevante interesse, di cui due (pianoforte a tavolo Steinway &
Sons 1861 e pianoforte a coda Johann Broadwood 1870-1876 ca)
ripetute con maggior numero di dettagli tecnici e particolari
fotografici.
Citiamo i cinque pianoforti a coda Johann Schantz,
costruiti a Vienna nel primo trentennio dell’Ottocento e
restaurati da Donatella Degiampietro (Firenze) tra il 1997 e il
1998, i quattro pianoforti rettangolari di Muzio Clementi e il
pianoforte verticale attribuito a Clementi (Londra, primo
trentennio dell’Ottocento), gli otto John Brodwood
(rettangolari, verticale, a coda, ad armadio, costruiti a Londra
tra il terzo e il penultimo decennio dell’Ottocento) e gli
undici Steinway, rettangolare, a coda (di cui uno senza incrocio
delle corde), a grancoda, verticale, autopiano (sistema a rulli
Welte e Aeolian) costruiti a New York, Amburgo e Londra tra il 1861
e il 1927 circa.
L’idea di fondo, presentare gli strumenti della
collezione all’interno della storia culturale del pianoforte,
trova adeguata e piacevole realizzazione nel volume, che potrà
giovarsi, in una prossima edizione, di qualche integrazione (la
redazione è stata chiusa ben prima della data di stampa) e di
un indice dei nomi, che ne renderà più agevole la
consultazione.
L’agile Guida di Fabio Perrone alle collezioni
italiane visitabili costituisce uno strumento assai utile per
amatori e studiosi, che trovano un valido e aggiornato sussidio
alla valorizzazione e al godimento del nostro patrimonio
organologico.
Il volume si colloca nella scia delle ricerche
avviate dall’autore in occasione della tesi di Laurea in
Musicologia, dedicata a La conservazione degli strumenti
musicali in Italia: storia, normativa, prospettive.
Introdotta dalle presentazioni dei direttori dei due
principali musei italiani (Antonio Latanza, Museo nazionale di
strumenti musicali di Roma, e Claudio Salsi, Museo degli strumenti
musicali del Castello Sforzesco di Milano), la Guida riporta, in
ordine alfabetico per regione e per comune, i dati essenziali
relativi alle collezioni pubbliche e (nel caso sia stato
consentito) private, rilevati direttamente sul campo e attraverso
la revisione di precedenti censimenti, anzitutto quello pubblicato
nell’Annuario Musicale Italiano del CIDIM (III 1984-1985
Musei e collezioni di strumenti musicali, a cura di Luisa
Cervelli), poi aggiornato e ampliato da Renato Meucci (IV, 1989 e
V, 1993).
Bibliografia, cautamente denominata "Opere
consultate" ma in realtà contenente quasi tutti i principali
contributi di riferimento (piace in questa sede poter rilevare ben
tre tesi di laurea discusse presso la Facoltà di Musicologia
di Cremona), e indice alfabetico delle località aiutano il
lettore ad orientarsi.
Il panorama offerto è molto più ricco e
variegato di quanto anche gli addetti al mestiere potessero
aspettarsi.
Il fatto che la prossima edizione potrà ricevere
correzioni/integrazioni nulla toglie alla validità di questo
prezioso strumento bibliografico. E’ inevitabile, soprattutto
in questo genere di opere, e l’autore ne è ben
consapevole, dal momento che nell’ultima pagina
esplicitamente chiede di inviare a lui o all’editore
segnalazioni, integrazioni o correzioni. L’appello non è
rimasto senza risposta e Perrone continua a lavorare
all’aggiornamento dei dati coordinando un'iniziativa
denominata "Censimento nazionale delle collezioni di strumenti
musicali - anno 2002" patrocinata da Ministero per i Beni e le
Attività Culturali, Università degli Studi di Parma,
Centro di Musicologia Walter Stauffer e International Council of
Museums - Comitato Nazionale Italiano.
Lascia spazio ad alcune osservazioni il considerare
che la Guida nasce esclusivamente dalla personale iniziativa del
Perrone. Siamo ancora lontani da una presa di coscienza da parte
dei numerosi enti e istituzioni di quanto è necessario e
indispensabile per valorizzare questo aspetto della nostra
cultura?
Ci auguriamo, insieme a Claudio Salsi, che presto
siano avviati «mirati e sistematici interventi di
catalogazione», e che la Guida «costituisca la premessa
per una politica di salvaguardia del nostro patrimonio
organologico, inteso come categoria di bene culturale
specifica».
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