MARCO MANGANI, Alcuni aspetti del cromatismo di Gesualdo :: Philomusica on-line :: Rivista di musicologia dell'Università di Pavia

Contributo di Marco Mangani

 

 

Alcuni aspetti del cromatismo di Gesualdo

 

 

1.

L’approccio analitico al cromatismo gesualdiano si è fino ad oggi polarizzato attorno a due direttrici, tra loro sostanzialmente antitetiche: da un lato, la scrittura cromatica di Gesualdo è stata vista come un fenomeno sostanzialmente armonico, come deviazione da un percorso che si pretenderebbe già, di fatto, tonale;[1] dall’altro si è cercato di ricondurre l’essenza di tale scrittura nell’ambito del contrappunto, interpretando anche le successioni più audaci come deroghe operanti all’interno del sistema normativo della condotta lineare delle parti.[2]

Se in linea generale pare ormai assodato che la seconda interpretazione sia nettamente da prediligere, se non altro per la sua maggior pertinenza storiografica, ci sembra che anch’essa sia suscettibile di qualche aggiustamento. Sfugge, riteniamo, ad una tale lettura, che tra una concezione totalmente contrappuntistica (e modale) ed una totalmente armonica (e tonale) esistono, nella viva prassi compositiva, delle tappe intermedie, caratterizzate dall’impiego di strutture verticali che, in alcuni punti focali d’un brano polifonico, acquistano valore di per sé. Del resto, lo studio della trattatistica teorica, soprattutto tedesca, del primo Seicento, ha mostrato chiaramente quanto si andasse sviluppando in quella fase una coscienza verticale, spinta fino alla definizione del concetto di ‘rivolto'.[3]

In questo lavoro, cercheremo di mostrare, mediante l’analisi di alcuni significativi passi madrigalistici di Gesualdo, come il suo cromatismo possa in certi casi esser interpretato quale elusione dei procedimenti cadenzali, elusione motivata più o meno evidentemente dall’istanza di illustrazione del testo poetico. È opportuno, d’altro canto, precisare che lo studio dei procedimenti cadenzali gesualdiani gode di una letteratura significativa[4] il presente intervento non intende proporre alcun capovolgimento, ma si limita a poche esemplificazioni originali.

2.

Roland Jackson[5] ha riconosciuto la centralità di un modello cadenzale, quello con l’accordo di quarta e sesta, come una base normativa rispetto alla quale avvengono molte delle deviazioni riscontrabili nei madrigali del principe di Venosa. Tale modello, del tutto trascurato dalle definizioni zarliniane, è invece esposto chiaramente dal Vicentino[6] che lo definisce «all’antica», e prevede la preparazione del ritardo di quarta su tempo forte mediante una quarta su tempo debole, che risulta in genere (ma non sempre) inserita in un accordo di quarta e sesta[7]

 

(D – D4+6 – D4-3) – G.[8]

 

Questo modello cadenzale è presente in larga parte della produzione polifonica cinquecentesca, e non per il solo fatto di venir escluso dalla trattazione di Zarlino può esser definito un’eccezione. In particolare, alla fine del Cinquecento (a dispetto di Vicentino) questa formula risulta prediletta nell’ambito delle forme minori, dove conosce un ventaglio notevole di possibilità di realizzazione. Ricordando che il modello cadenzale di Zarlino prevede tre ‘accordi[9] su tre distinti suoni della voce più grave, il prolungamento del secondo di essi, che assume l’aspetto di un pedale, ne rafforza il senso di tensione; preparando la dissonanza al proprio interno, inoltre, nella cadenza con quarta e sesta il penultimo suono ‘sposta all’indietro’ la realizzazione del terzultimo (nell’esempio sottostante si è scelto un preciso accordo quale antepenultimo, ma le possibilità sono ovviamente molteplici):

 

 

 
Zarlino F (preparazione della dissonanza) G4-3 (percussione e risoluzione della dissonanza) C
Cadenza con quarta e sesta F [G – G4+6 (preparaz.) – G4-3 (percuss. e risol.)] C

 

Da ciò consegue la possibilità di individuare, in alcuni casi, dei tipi cadenzali che hanno in tutto e per tutto l’aspetto di cadenze tonali nel senso più preciso del termine, secondo la successione ‘sottodominante – breve pedale di dominante – tonica’. Ecco tre possibili schemi di cadenza, tratti dal repertorio mantovano di canzonette a tre voci prodotto nell’età del ducato di Vincenzo Gonzaga: accanto ad ogni formula, si fornisce l’equivalente in termini tonali;[10]

 

a.

 

C – (D – D4+6 – D4-3) – G = IV – (V – I46 – V4-3) – I (es. 1a)

Esempio 1a

b.

 

F6 – (E7 – e4+6 – E4-3) – aØ = IV6 – (V7 – I46 – V4-3) – I (es. 1b)

Esempio 1b

c.

 

G – (A7 – a4+6 – A4-3) – dØ = II6 – (V7 – I46 – V4-3) – I (es. 1c)

Esempio 1c

Naturalmente, le successioni qui presentate costituiscono solo una parte delle possibilità riscontrate nel campione mantovano; in particolare, la funzione di sottodominante, chiaramente emergente, è ben lungi dall’essere ancora stabile e definitiva. Ma ciò che qui preme rilevare è che un modello cadenzale diffuso conosce molteplici possibilità di realizzazione, alcune delle quali puntano già verso la definizione di quella che sarà la cadenza tonale. Senza contare che lo stesso repertorio di canzonette ci mostra chiari esempi di cadenze nelle quali il ‘pedale di dominante’ è assai più marcato, come in questo passo di Salomone Rossi, sul medesimo testo del precedente esempio di Gastoldi (es. mus. 2):

 

 

Es7-6 – (d – d8-7 – d5+6 – d4+6 – D4-3) – gØ

 

 

Esempio 2

 

3.

 

Per quanto concerne il repertorio madrigalistico, una breve disamina condotta su alcune importanti raccolte ci mostra un incremento della cadenza con «sincopa tutta cattiva» nel corso degli anni Novanta del Cinquecento. Per limitarci alle sole cadenze conclusive, constatiamo che nei due libri di madrigali a quattro voci di Palestrina tale formula ricorre sporadicamente: un caso nel primo libro (1555), dove prevalgono di gran lunga le cadenze plagali, e tre nel secondo (1586)[11]. Più istruttivo risulta il confronto fra i libri IX (1588) e X (1591) dei madrigali a cinque di Wert:[12] nel primo abbiamo quattro casi di cadenza conclusiva del tipo qui indagato, mentre nel secondo i casi ammontano a dieci. Analoga la situazione in Marenzio: dieci casi nella raccolta del 1588, quattordici nel VII a 5 (1595), dove non mancano esempi di pedale prolungato.[13]

Queste considerazioni, pur bisognose del supporto di un’indagine sistematica sul fenomeno,[14] consentono di ritenere che, all’epoca di Gesualdo, l’aspettativa dell’ascoltatore in relazione ai procedimenti cadenzali si fondasse ampiamente anche sulla percezione del ‘pedale’ e del suo trattamento conseguente; e dunque, che in presenza di tale fenomeno e secondo le esigenze espressive del testo, si ritenesse quanto mai efficace il ricorso a meccanismi di elusione, avvertiti come altrettante ‘cadenze fuggite’. ‘Fuggite’ in senso zarliniano, rispetto ad un modello che zarliniano non è. Né d’altra parte si può pensare che l’attenzione particolare richiamata dalla fase cadenzale, oltretutto in un’epoca assuefatta alle realizzazioni strumentali, non si appuntasse oramai anche, se non principalmente, sulla dimensione verticale.[15]

Vediamo allora alcuni esempi, tratti dai libri quarto, quinto e sesto di Gesualdo, che possono esser intesi come altrettanti casi del ‘fuggir la cadenza con quarta e sesta’.

 

4.

 

Sul madrigale Languisce alfin,[16] del quinto libro, esistono alcune interessanti considerazioni analitiche, specie per quanto concerne la cadenza finale.[17] In particolare, si è detto che questo brano mostra «debolissime tracce di definizione tonale» e che in esso «non […] compare una sola cadenza perfetta».[18] Vale la pena, tuttavia, di considerarne più attentamente i punti di articolazione. A bb. 3-4 si ha la conclusione del primo endecasillabo («Languisce alfin chi da la vita parte»), con una cadenza che non può esser definita ‘imperfetta’, a meno di non ritenere che ‘perfetta’, in quest’ambito stilstico, sia la sola cadenza V-I (come sembra fare Lowinsky). Eccone la formula accordale (es. mus. 3a):

 

cis6 – fis7->6 – E.

 

Esempio 3a

Come si vede, si tratta di una cadenza alla quale può esser imputata unicamente l’assenza di quella che Meier chiama ‘clausula basizans’;[19]  essa conferma subito pienamente, in realtà, la finalis del brano, anche se risulta attenuata dal simultaneo avvio della frase successiva. Lo stesso endecasillabo viene poi interamente riesposto, e concluso alle bb. 8-9 con una cadenza analoga, ma questa volta a re (es. mus. 3b):

 

h6 – e7->6 – D4-3.

 

Esempio 3b

 

La presenza del ritardo sull’ultimo accordo introduce tuttavia un elemento di ambiguità, che consente anche la seguente interpretazione:

 

 

e7->6 – D4-3 – [G];

 

 

ossia, si può intendere il procedimento come una cadenza sospesa a sol (d’ora in avanti, si racchiuderà tra parentesi quadre il mancato traguardo d’una cadenza sospesa o fuggita).
Più avanti, è possibile interpretare come variante d’un procedimento cadenzale la conclusione delle parole «l’affligge sì», alle bb. 13-14, solo che se ne consideri la struttura accordale (es. mus. 3c):

 

 

fis5+6 – (G – g4+6) – gis6.

 

Esempio 3c

Possiamo intendere il tutto come una cadenza a do,[20] resa con la sesta minore (mib) sopra il quinto grado, e poi ‘fuggita’ cromaticamente, per evidenti ragioni espressive. Le stesse ragioni espressive inducono poi Gesualdo a riproporre l’intera struttura come secondo termine d’una progressione (batt. 14-15), producendo così un ‘grande allontanamento’ verso sib, dall’esito ancora una volta ‘fuggito’ (es. mus. 3d):

 

E – (F – f4+6) – fis6

 

Esempio 3d

 

Del tutto analoga, ma al tempo stesso più articolata e complessa, si presenta la conclusione musicale in corrispondenza delle parole «che in crude pene more». Vediamone, alle bb. 16-18, la struttura accordale (es. mus. 3e):

 

 

h – (…D – D4+6 – D) – (Cis<6 – cis4+6 – Cis) – [fis]

Esempio 3e

Possiamo leggere questa successione come un innesto di due successive cadenze fuggite, una a sol e l’altra a fa#; quest’ultima risulta fuggita in quanto sospesa (ed è significativo che la frase musicale successiva si apra proprio con un fa# del basso[21]). Anche questa struttura è replicata in progressione: ecco la successione degli accordi alle bb. 19-20 (es. mus. 3f):

 

 

(G – G4+6 ... – G) – (Fis<6 – fis4+6 – Fis) – [h],[22]

 

Esempio 3f

interpretabile come il susseguirsi di due cadenze fuggite, rispettivamente a do e a si.

Anche in questo caso, come si vede, la scelta di procedimenti cromatici, o comunque comportanti accostamenti accordali audaci e inconsueti, si spiega perfettamente in base ai concetti espressi dal testo poetico.

Proviamo adesso a considerare ordinatamente quanto visto fin qui nell’ambito di questo decimo madrigale del quinto libro. Se l’esordio stabilisce subito la finalis del modo di mi, i procedimenti successivi, che abbiamo qui inteso come elusione di altrettante formule cadenzali, ruotano tutti attorno ai gradi do e sol. In particolare, la progressione di bb. 13-15 si presenta come un allontanamento dal do, mentre quella di bb. 17-20 si configura come un susseguirsi di aspettative deluse, in relazione, rispettivamente, al sol e al do. Certo, l’insistenza sul sol privilegia un grado non tra i primissimi, nell’ordinamento gerarchico del frigio, e tuttavia non certo peregrino; il do, poi, costituisce la corda di recita dell’autentico, cosa che si mostra in perfetta coerenza con l’ambitus del tenore di questo brano.

 

5.

 

Un altro esempio interessante di ‘indebolimento del centro tonale’ mediante una progressione di cadenze fuggite si riscontra nel madrigale Tu m’uccidi o crudele,[23] sempre dal quinto libro. Ben poco dell’inizio di questo brano lascia supporre il modo di la che si ricava dalla cadenza finale. Se consideriamo tuttavia la successione accordale delle bb. 7-9 (es. mus. 4a),

 

H – (E – e4+6) – e – a – d7 – G,

Esempio 4a

constatiamo il consueto meccanismo della «sincopa tutta cattiva», che può esser inteso come la mancata realizzazione di una cadenza a la, giustificata ancora una volta dal testo («d’amor empia homicida»). Segue un ‘grande allontanamento’, dovuto alla ripetizione del medesimo schema a distanza di sesta (es. mus. 4b):

 

G – (C – C4+6) – C – f – b7 – Es.

 

Esempio 4b

Il primo termine di questa progressione è anche il primo riferimento al centro tonale la che troviamo nel corso del brano. Poche battute prima (4-5) troviamo un altro pedale che dà luogo alla seguente successione di accordi (es. mus. 4c):

 

(G – G4+6 – G7 – G4+6).

 

Esempio 4c

Tale procedimento può esser riferito ad un mancato traguardo costituito dal do, che costituisce un grado importante dal punto di vista modale.[24]

 

 

6.

 

Vediamo ora un esempio tratto dal sesto libro, precisamente dal madrigale Io pur respiro.[25] Alla battuta 16 troviamo la seguente successione (es. mus. 5a):

 

 

(d – D4+6 – D4-3),

 

esempio 5a

corrispondente alle parole [E tu] pur vivi. Alla battuta 17, dopo una pausa in tutte le voci che costituisce il ‘fuggire’ la precedente cadenza a sol, prende avvio dall’accordo F6 il completamento della frase precedente («o dispietato core?»). Questa invocazione (es. mus. 5b) costituisce ancora un ‘grande allontanamento’ dal sol fuggito in precedenza e si chiude con la seguente cadenza sospesa:

 

D6 – (cis4+6 – Cis).

 

Esempio 5b

Ad una nuova pausa generalis segue ancora uno slittamento cromatico verso l’accordo C6, che sottolinea l’esclamazione («Ahi») dalla quale prende avvio la frase successiva (es. mus. 5c); questa frase recupera, nella sua conclusione, il tanto sospirato sol, raggiunto per mezzo d’una progressione di quinte discendenti (E – A – D – G) trattata omoritmicamente («di riveder il nostro amato bene!»).[26] Ancora una volta, l’elusione (sia pur temporanea) d’un traguardo fa perno sulla cadenza con quarta e sesta e rende perfettamente ragione del procedimento cromatico.

 

Esempio 5c

7.

 

Come ultimo esempio, proponiamo la cadenza conclusiva del madrigale Or che in gioia credea (seconda parte: «O sempre crudo Amore»).[27] L’essenza di questa conclusione sta nell’espressione del testo («amando languisca») mediante una cadenza frigia con clausole scambiate (fasol al basso, labsol all’alto). Tuttavia, se prescindiamo per un momento dal basso, constatiamo che il tenore presenta il consueto pedale di re (il brano è in sol con sib in chiave). Sempre prescindendo dal basso, avremmo la seguente successione accordale (es. mus. 6):

 

Es6 – (D – D4+6) – d<5,

 

Esempio 6

 

vale a dire, ancora un procedimento che evita la cadenza dopo averne impostato l’accordo di quarta e sesta.

L’intervento del basso trasforma però il D4+6 in G, e la cadenza nel suo complesso da fuggita in frigia ‘rovesciata’, concludendo con la successione f>6 – G.

Un caso del genere, analizzato nel modo che qui si è proposto , ci mostra quanto sia sottile in Gesualdo l’arte dell’espressione che passa attraverso la manipolazione dei procedimenti cadenzali; e senza bisogno di ricorrere a concetti anacronistici come quello di Molldominante.[28]

 

 

8.

 

Proviamo a questo punto a proporre una conclusione.

L’essenza dei procedimenti cromatici con funzione di rinvio, o indebolimento, della cadenza consiste nel presupporre alcune ‘norme’ (ma sarebbe forse più giusto parlare di ‘abitudini d’ascolto’) rispetto alle quali tali procedimenti costituiscono delle deviazioni. Le deviazioni, d’altra parte, sono avvertibili come tali solo da chi quelle abitudini abbia acquisito, potendo così operare il confronto necessario. In altre parole, non sembra che il cromatismo di Gesualdo sia da considerarsi come un fenomeno dirompente, ma piuttosto come l’estrema manifestazione d’una tendenza espressiva insita nel madrigale tardo d’estrazione più elevata.[29] In questo senso, l’operazione di Dahlhaus, che ha riportato l’essenza delle audacie gesualdiane ai consolidati meccanismi della scrittura contrappuntistica, è stata di fondamentale importanza. Tuttavia, accanto alle norme legittimate dall’ambito della teoria scritta, la composizione musicale poggia anche sulle acquisizioni dell’esperienza di cui l’epoca dell’artista è permeata. Questo, ci sembra, è il caso del meccanismo cadenzale con «sincopa tutta cattiva», un fenomeno che Gesualdo può (più o meno coscientemente) aver dato per acquisito e rispetto al quale ha posto in opera quelle deviazioni che gli ascoltatori avranno vissuto come altrettante metafore musicali.

 

________________________

[1] Si veda a tal proposito EDWARD E. LOWINSKY, Tonalità e atonalità nella musica del XVI secolo, in ID., Musica del Rinascimento. Tre saggi, a cura di Massimo Privitera, LIM, Lucca, 1997, pp. 3-115, in part. pp. 70-74; e JOHN CLOUGH, The leading tone in direct chromaticism: From Renaissance to Baroque, «Journal of Music Theory», I, 1957, pp. 2-21. La posizione di Clough, tuttavia, è forse meno radicale di quanto fosse apparsa a Carl Dahlhaus.

[2] CARL DAHLHAUS, Il cromatismo di Gesualdo, in Il madrigale tra Cinque e Seicento, a cura di Paolo Fabbri, Il Mulino, Bologna, 1988, pp. 207-228. Si veda anche PAOLO CECCHI, Cadenze e modalità nel «Quinto libro di madrigali a cinque voci» di Carlo Gesualdo, «Rivista Italiana di Musicologia», XXIII, 1988, pp. 93-131.

[3] BENITO V. RIVERA, German music theory in the early 17th century. The treatises of Johannes Lippius, UMI, Ann Arbor, 1980. Si veda anche l’edizione moderna di JOHANNES LIPPIUS, Synopsis of New Music (Synopsis musicae novae), ed. by Benito V. Rivera, Colorado College Music Press, Colorado Springs, 1977.

[4] Oltre a CECCHI, Cadenze e modalità, cit., si vedano: GLENN WATKINS, Gesualdo. The man and his music, 2nd ed., Clarendon Press, Oxford, 1991, pp. 185-194; KARIN WETTIG, Satztechnische Studien an den Madrigalen Carlo Gesualdos, Peter Lang, Frankfurt a. M. etc., 1990, pp. 169-198; ROLAND JACKSON, Gesualdo’s cadences: Innovation set against convention, in Musicologia Humana. Studies in honor of Warren and Ursula Kirkendale, ed. by Siegfried Gmeinwieser, David Hiley, Jörg Riedlbauer, Olschki, Firenze, 1994, pp. 275-289; JOHN H.ANDERSON, The cadence in the madrigals of Gesualdo, UMI, Ann Arbor, 1999.

[5] JACKSON, Gesualdo’s cadences, cit., p. 279.

[6] NICOLA VICENTINO, L’antica musica ridotta alla moderna prattica, Barrè, Roma, 1555 (facsimile ed. by Edward E. Lowinsky, Bärenreiter, Kassel 1959), II/6, f. 30v. In realtà, qui Vicentino non si occupa di cadenze, ma del trattamento delle dissonanze in generale; tuttavia più avanti (III/24, f. 51v) si legge che «alcuni altri hanno usato et usano la sincopa della cadentia tutta cattiva; questo non è moderno».

[7] Mediante la notazione alfabetica tedesca si indica sempre la classe d’altezze del basso reale. Una lettera senza ulteriori indicazioni indica l’accordo di terza e quinta; la lettera maiuscola indica la terza maggiore, la minuscola la terza minore (C = domisol, d = refala, etc.). Con ‘6’ in esponente, si indicano gli accordi di terza e sesta (C6 = do – mi – la, e6 = mi – sol – do, etc.: salvo indicazioni ulteriori, quindi, la lettera, maiuscola o minuscola, indica anche il modo della sesta), con ‘4+6’ quelli di quarta e sesta (C4+6 = dofala, a4+6 = la – re – fa, l’iniziale indica il modo della sesta), con ‘4-3’ e ‘7-6’ i ritardi seguiti da risoluzione, con ‘7’ gli accordi di settima. L’abbassamento si indica con ‘<’, l’innalzamento con ‘>’ (d<5 = refalab, e>6 = misoldo#, etc.). Il simbolo ‘Ø’ indica che, nell’accordo, non è presente alcun altro intervallo oltre quello espressamente indicato dall’esponente, a parte gli eventuali raddoppi d’ottava (C = domido, etc.).

[8] Esiste anche la possibilità che il ritardo sia preparato da una quarta vuota: (D – D – D4-3) – G. Inoltre, nelle cadenze dello stile tardo (Gesualdo, ma anche Marenzio) la quarta ‘tutta cattiva’ s’accompagna spesso ad altre dissonanze, che tolgono prevedibilità alle formule conclusive.

[9] GIOSEFFO ZARLINO, Istitutioni harmoniche… di nuovo in molti luoghi migliorate…, Francesco dei Franceschi Senese, Venezia 1573 (facsimile Gregg Press, Ridgewood, 1966), III/51-52. Sull’argomento si vedano anche SIEGFRIED HERMELINK, Über Zarlinos Kadenzbegriff, in Scritti in onore di Luigi Ronga, Ricciardi, Milano – Napoli, 1973, pp. 253-273 e STEFANO LA VIA, ‘Natura delle cadenze’ e ‘Natura contraria delli modi’, «Il Saggiatore Musicale», IV/1, 1997, pp. 5-51

[10] Gli esempi sono tratti dal repertorio di cui l’autore del presente saggio si è occupato nella dissertazione dottorale Per un’analisi delle forme minori tra Cinque e Seicento. Indagine su un campione mantovano, Università di Bologna, anno accademico 1996/97. Per le edizioni: SALAMONE ROSSI, Complete Works, ed. by Don Harrán, American Institute of Musicology, cmm 100, vol. VI, 1995; di entrambi i libri di canzonette a tre voci di Gastoldi è in fase di realizzazione l’edizione critica a cura di Isabella Grisanti (che vedrà la luce per i tipi della LIM di Lucca). Ringrazio la curatrice per aver consentito la consultazione delle trascrizioni.

[11] GIOVANNI PIERLUIGI DA PALESTRINA, Il libro primo dei madrigali a quattro voci, a cura di Raffaele Casimiri, Scalera, Roma 1939 e id., Il libro secondo dei madrigali a quattro voci, a cura di Lino Bianchi, Istituto Italiano per la Storia della Musica, Roma, 1965.

[12] GIACHES DE WERT, Opera omnia, ed. by Carol MacClintock, cmm 24/IX-X, American Institute of Musicology, 1970.

[13] LUCA MARENZIO, The Secular Works, ed by Steven Ledbetter and Patricia Myers, vol. 7, The Broude Brothers, New York, 1977 e vol. 14, ibid. 1980. Ancora nel Nono Libro di Marenzio (1599), pur nel contesto di una concezione assai varia della cadenza, la quarta ‘tutta cattiva’ mantiene un’incidenza significativa. Cfr. LUCA MARENZIO, Il nono libro de madrigali, a cura di Paolo Fabbri, Suvini Zerboni, Milano, 2000.

[14] È opportuno rilevare, ad esempio, che la cadenza in questione non sembra essere un procedimento particolarmente caro al ‘maestro’ di Gesualdo, Luzzaschi. Se ne vedano comunque alcuni esempi di varia foggia in ELIO DURANTE– ANNA MARTELLOTTI, Le due «scelte» napoletane di Luzzasco Luzzaschi, 2 voll., SPES, Firenze, 1998, vol. II: Itene a volo, bb. 7-8 (con la ‘sensibile’ che salta), p. 48; Ahi cruda sorte mia, bb. 16-17, p. 51; Vivo da voi lontana, bb. 19-20, p. 65; solo per citarne alcune. Che anche Luzzaschi fosse versatissimo nell’arte di manipolar la cadenza è comunque indubbio: si vedano, ad esempio, la cadenza che chiude la prima parte di O miracol d’amore, p. 80, e quella finale di Dopo lungo digiuno, p. 92.

[15] A sua volta, il linguaggio di Gesualdo influenza la produzione strumentale: si veda ROLAND JACKSON, On Frescobaldi’s chromaticism and its background, «The Musical Quarterly», LVII/2 1971, pp. 255-269, che avanza considerazioni interessanti anche in relazione a quanto si sta qui trattando.

[16] CARLO GESUALDO, Sämtliche Werke, hrsg. von Wilhelm Weismann (voll. I-VI) und Glenn Watkins (voll. VII-X), Ugrino, Hamburg, 1957-1966, vol. v, pp. 45-48. D’ora in poi ci si riferirà a questa edizione con la sigla GW, seguita dall’indicazione del volume interessato.

[17] Cfr. CECCHI, Cadenze e modalità, cit., p. 102. Sul soggetto iniziale del madrigale si veda anche JACKSON, On Frescobaldi’s chromaticism, cit., p. 265.

[18] LOWINSKY, Tonalità e atonalità, cit., p. 70.

[19] Non torniamo sulla legittimità delle pur comode definizioni di Meier. Per una recente disamina del problema si rinvia a ELISABETH SCHWIND – MICHAEL POLTH, Klausel und Kadenz, in MGG, 2a ed., Sachteil 5, Bärenreiter, Kassel etc., 1996, pp. 256-282.

[20] L’equivalente del ‘quarto grado innalzato’ è un fenomeno comprovato alla fine del Cinquecento. Oltre agli esempi contenuti nel citato MANGANI, Per un’analisi, si veda HERMELINK, Über Zarlinos Kadenzbegriff, cit., p. 266.

[21] Su questo tipo di risoluzione ‘parziale’ si veda JACKSON, Gesualdo’s cadences, cit., p. 281.

[22] Da rilevare la variante di battuta 19, che introduce una dissonanza espressiva aggiungendo la quinta re all’accordo di quarta e sesta.

[23] GW, V, pp. 60-63.

[24] Per i problemi riguardanti i modi con finalis a la si veda BERNHARD MEIER, Alte Tonarten dargestellt an der Instrumentalmusik des 16. und 17. Jahrhunderts, Bärenreiter, Kassel, 1994, pp. 86-95 e 135-140.

[25] GW, VI, pp. 44-48.

[26] È un altro caso in cui Gesualdo intona ‘madrigalisticamente’ un frammento di testo senza preoccuparsi del contesto: il rivestimento musicale di riveder il nostro amato bene è eufonico, come si conviene ad un sentimento positivo (e ci si potrebbe spingere fino ad identificare l’amato bene con il sol, fin lì perduto di vista). Solo che di rivedere, qui, non vi è più spene. Si veda un’analoga considerazione in DAHLHAUS, Il cromatismo, cit., pp. 207-8.

[27] GW, IV, pp. 33-37.

[28] Termine usato nel pur eccellente WETTIG, Satztechnische Studien, pp. 180-184.

[29] Come corollario, a chi scrive sembra assai più opportuno un parallelismo ‘Gesualdo/Tardo romanticismo’ che non il consueto ‘Gesualdo/Novecento’, sebbene quest’ultimo sia legittimato da una storia autorevole.

 

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