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[1] I documenti più
antichi in nostro possesso sono papiri che contengono versi
euripidei corredati di note musicali, più precisamente il
papiro di Vienna G 2315 (che contiene i versi 338–344
dell’Oreste) e il papiro di Leida inv. 510 (in cui si
trovano, nell’ordine, i vv. 1499-1509 e 784-792
dell’Ifigenia in Aulide). La possibilità che tali
musiche siano originarie dello stesso Euripide non è però
dimostrabile con assoluta sicurezza: se tali papiri, come
suggerisce PÖHLMANN, Sulla preistoria della tradizione di
testi e musica per il teatro, in La musica in Grecia
(cit. alla nota seguente), sono i copioni di quelle compagnie
teatrali itineranti che tanta parte ebbero nella vita musicale
dell’età ellenistica, è più facile ipotizzare
che la musica ivi contenuta sia solo un vago ricordo delle melodie
più antiche (se non addirittura una rimessa in musica di versi
euripidei ad opera degli stessi tragodoí).
[2] Gli interventi sono
ora raccolti nel volume miscellaneo La musica in Grecia, a
cura di B. Gentili e R. Pretagostini, Roma-Bari, Laterza, 1988.
[3] ANDREW BARKER,
Greek Musical Writings I: The Musician and his Art,
Cambridge, Cambridge University Press, 1984; Greek Musical
Writings II: Harmonic and Acustic Theory, Cambridge, Cambridge
University Press, 1989. Alcuni dei trattati contenuti nel secondo
volume, come gli Harmoniká di Claudio Tolomeo e alcuni
estratti del relativo commentario di Porfirio, vengono in tale sede
tradotti per la prima volta.
[4] MARTIN L. WEST,
Ancient Greek Music, Oxford, Clarendon Press, 1992.
L’apertura di West alle influenze musicali che
l’Oriente esercitò sul mondo greco resta uno degli
aspetti più stimolanti e fecondi del suo approccio
all’argomento.
[5] ANNIE BÉLIS,
Auloi grecs du Louvre, «Bulletin de Corrispondance
Hellenique», CVIII, 1984, pp. 111–122; Fragments
d’auloi in L’Antre corycien II,
«Bulletin de Corrispondance Hellenique», suppl. IX, 1984,
pp. 176-181; La Phorbéia, «Bulletin de
Corrispondence Hellenique», CX, 1986, pp. 205-218;
L’Aulos phrygien, «Revue
Archéologique», ILVIII 1986, pp. 21-40;
Kroúpezai, scabellum, «Bulletin de Corrispondence
Hellenique», CXII 1988, pp. 323-339; L’organologie
des instruments de musique de l’antiquité: chronique
bibliographique, «Revue Archéologique», LIII,
1989, pp. 127-142.
[6] MARTHA MAAS –
JANE MCINTOSH SNYDER, Stringed Instruments in Ancient
Greece, New Haven and London, Yale University Press, 1989.
[7] Una recensione di
questo volume, a cura della scrivente, è in corso di
pubblicazione presso il «Journal of the American Musicological
Society».
[8] Cfr. J. G. LANDELS,
The Brauron Aulos, «Annual of the British School at
Athens», LVIII 1963, pp. 116-119 (materiale ripreso in una
delle appendici del volume); A Newly Discovered Aulos,
«Annual of the British School at Athens» LXIII, 1968, pp.
231-238; Fragments of auloi found in the Athenian Agora,
«Hesperia», XXXIII, 1964, pp. 392-400.
[9] Per fare un esempio
nel testo in questione, la lunga digressione sulle possibili
motivazioni all’origine dell’uso dell’aggettivo
polýchordos in riferimento all’aulo (cfr. p. 38)
avrebbe potuto essere evitata tenendo semplicemente presente lo
sviluppo semantico subito dalla parola chordé, che
già in Platone (Phil. 56a) ha esteso il proprio
significato da quello di ‘corda’ a quello di
‘nota’.
[10] NICOMACO,
Enchiridion 243, 16 seg. edizione Jan («toùs
plagiaúlous metà tôn photíngon»).
[11] ATENEO,
Deipnosophistae IV, 175e: «Ioba dice che secondo gli
Egizi il mónaulos è un’invenzione di Osiride
così come lo è il plagíaulos, il cosiddetto
fotinge». Cfr. il lessico di Esichio, s.v. phi 1135:
«phôtinx: syrinx, aulo di loto».
Questo strumento si può identificare con quello descritto da
APULEIO, Metamorphoses XI.9.6 («oblicum calamum ad
aurem porrectum dexteram») nell’ambito di una
processione in onore della dea Iside.
[12] Cfr. [Aristot.]
De audibilibus 801b: «è chiaro anche per quel che
riguarda gli auli. Infatti quelli che hanno ance inclinate
[tàs glóttas plagías] nell’imboccatura
[tôn zeugôn] producono un suono più dolce, ma
non ugualmente limpido; il fiato, infatti, viaggiando cade
direttamente in uno spazio aperto e non è più sottoposto
a tensione né viene contratto, ma si disperde. Nel caso invece
delle ance maggiormente battenti [synkrototérais] il
suono diventa più duro e più limpido, se uno le comprime
maggiormente con le labbra, perchè il fiato viaggia con
più sforzo. Quindi i suoni limpidi [lamprá] si
producono per i motivi appena detti».
[13] Così come
non è sicura la correzione zeugôn (cit.
supra) per il deutéron dei manoscritti. Su una
possibile correzione di sklerotérais in
synkrotetikaís si veda BARKER, Greek Musical
Writings II, cit., p. 103, n. 17, dove le
glóttas plagías vengono interpretate (basandosi
anche sul confronto con un passo di Teofrasto) come un diverso tipo
di ancia doppia i cui elementi presentavano una più ampia
angolatura. Non mi sembra, contrariamente a quanto afferma Landels
(p. 71 e relativa nota 5), che Barker interpreti il passo
aristotelico come un sicuro riferimento al plagíaulos e
che consideri quest’ultimo con certezza uno strumento ad
ancia (in proposito Greek Musical Writings I, cit.,
p. 264, nota 20).
[14] Su un
particolare tipo di plagíaulos egiziano avente un
piccolo tubo inclinato nell’imboccatura (elemento che rende
più credibile l’ipotesi di una presenza
dell’ancia) si veda H. HICKMANN, The antique
cross-flute, «Acta musicologica», XXIV/3-4 1952, pp.
108-112; più in generale sugli strumenti egiziani cfr. ID.,
Musicologie Pharaonique. Études sur l’évolution
de l’art musical dans l’Égypte ancienne,
Éditions Valentin Koerner, Baden-Baden – Bouxwiller,
1987.
[15] BIONE fr. X,7
seg. Gow: «…come Pan inventò il
plagíaulos, Atena invece l’aulós,
Ermes la chélys, e il dolce Apollo la
kítharis».
[16] Si vedano, ad
esempio, le osservazioni a p. 88 relative alla presunta
centralità del tetracordo (non riscontrabile in modo certo
prima di Aristosseno) nel sistema scalare antico e le pagine
dedicate, nello stesso capitolo, alla ricostruzione delle antiche
harmoniae (su questi argomenti cfr. ELEONORA ROCCONI, Harmoniai
e teoria dei gene musicali nella Grecia antica,
«Seminari Romani di cultura greca», I/2, 1998, pp.
345-363).
[17] Cfr. la
recensione di R. P. Winnington-Ingram, «Gnomon», XXX
1958, pp. 243–247 a M. I. HENDERSON, Ancient and Oriental
Music, in The New Oxford History of Music, vol. I, ed.
by E. Wellesz, Oxford University Press, London 1957, pp. 336-403.
Non è forse un caso se entrambi questi studiosi siano
ringraziati da Landes in prefazione per la parte avuta nella
propria formazione accademica.
[18] La formazione
classica che accomuna gran parte degli autori di manuali sulla
musica greca e romana ha impedito che venissero approfonditi il
passaggio e lo sviluppo dei principi musicali elaborati
dall’età antica in quella medievale e rinascimentale.
Taglio prettamente musicologico ha invece il sopra citato volume di
THOMAS J. MATHIESEN, Apollo’s Lyre. Greek Music and Music
Theory in Antiquity and the Middle Ages, Lincoln and
London,University of Nebraska Press, 1999.
[19] Cfr. GIOVANNI
COMOTTI, Un’antica arpa, la magadis, in un frammento di
Teleste (fr. 809 P.), «Quaderni Urbinati di Cultura
Classica», n.s. XV (XLIV) 1983, pp. 57–71, e ANDREW
BARKER, Heterophonia and Poikilia: Accompaniments to Greek
Melody, in Mousiké. Metrica, ritmica e musica Greca in
memoria di Giovanni Comotti, a cura di B. Gentili e F.
Perusino, Pisa-Roma Istituti editoriali e poligrafici
internazionali, 1995, pp. 41-60. La bibliografia utilizzata da
Landels si limita, secondo una caratteristica comune alla scuola
anglosassone, a pubblicazioni pressoché esclusivamente in
lingua inglese.
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