Alessandro Bratus e Michela Niccolai
Lo specchio e la realtà:
Louise di Gustave Charpentier [*]
1. La realtà: l’ambiente culturale
della Parigi fin de siècle
Forse foriero degli eventi che, durante la prima
metà del XX secolo avrebbero cambiato irrimediabilmente la
storia di tutta l’Europa, il clima politico francese tra 1870
e 1900 era in preda ad una crisi d’ansia. Il proletariato di
tutta la Francia, risvegliato e scosso dagli avvenimenti della
Comune, era continuamente in tensione a causa dei ripetuti attacchi
all’ordine della Terza Repubblica da parte delle forze
militari e reazionarie.
Le tensioni sociali di questo periodo sono legate ad
una serie di circostanze che portarono il clima politico ad una
temperatura rovente. Sono gli anni dei sanguinosi scontri a
Fourmier per le celebrazioni del Primo Maggio, lo scandalo
conseguente al crack della Compagnia del Canale di Panama,
che coinvolse nomi molto importanti a livello istituzionale, gli
attentati anarchici a personaggi politici, culminati con
l’omicidio del Presidente della Repubblica Sadi Carnot da
parte dell’italiano Sante Caserio. Sono gli anni
dell’Affaire Dreyfus, caso rappresentativo della
spregiudicatezza di un sistema di potere che non vuole ammettere la
sua fine, che ebbe l’effetto di polarizzare maggiormente le
tensioni di una situazione già esplosiva.[1]
L’ascesa irrefrenabile di violenze ebbe il suo culmine tra il
1892 e l’inizio del secolo XX, fino a quando il ministero
Waldeck-Rousseau, di «difesa repubblicana», tentò di
contenere da un lato le tendenze autoritarie dell’esercito,
dall’altro di rendere inoffensivi gli autori di azioni
destabilizzanti nei confronti dello Stato.
Parigi, centro della Francia per elezione e
vocazione, si trovò coinvolta fin dal principio in tanti e
tali rivolgimenti. Numerosi erano i circoli anarchici in
città, che contavano tra i loro frequentatori soprattutto
artisti, giornalisti ed intellettuali in genere. Il movimento non
aveva una vera e propria unità, dal punto di vista ideologico
e programmatico, ma serviva come valvola di sfogo per
l’insoddisfazione diffusa tra i bohémiens che si
ritrovavano tra Le Chat Noir ed il Cafè du Delta
a Montmartre.[2] Questo
l’ambiente in cui il giovane Charpentier, lo scrittore
Saint-Pol-Roux, il pittore Paul Signac ed altri, si trovarono a
vivere durante quegli anni che videro la genesi di Louise.
Tra i più coinvolti in questa presa di posizione politica
erano i Simbolisti, come Camille Mauclair, Pierre Quillard, Adolphe
Retté. La saldatura, a livello ideale, tra questi scrittori e
gli anarchici, era insita nel concetto di «distruzione della
forma», praticata dagli uni nella produzione letteraria, dagli
altri nella prassi terroristica. La figura di riferimento di questi
intellettuali, per l’azione diretta, era un misterioso
individuo soprannominato «Le Ravachol»: ladro,
contrabbandiere, assassino, bombarolo e nemico d’ogni
autorità costituita. Il suo processo e la condanna a morte da
parte dello Stato lo fecero assurgere a martire
dell’Individualismo di matrice kropotkiniana, tendenza
dominante nei circoli di contestazione della Parigi
fin-de-siécle.
Per quel che riguarda la musica, durante gli ultimi
anni del Novecento, l’uomo di punta nelle relazioni tra le
massime autorità dello Stato e l’ambiente del
Conservatoire fu Alfred Bruneau,[3] convinto assertore
delle tesi del Naturalismo di matrice zoliana, nell’arte,
nonché sostenitore di Charpentier. Come referente della
Commission des Grands Auditions Musicales de l’Exposition
Universelle de 1900,[4] Bruneau comprese
che la commistione fra ideologia e forma musicale, propria di
Louise, si attagliava perfettamente alla linea di condotta
del governo Waldeck-Rousseau, nell’ambito dell’attesa
ed invocata riconciliazione tra lo Stato e le irrequiete masse
popolari. La fama di anarchico, e la simpatia del compositore per
la causa popolare, faceva di lui l’uomo su cui puntare per
riuscire a dare dello Stato un’immagine positiva nei
confronti delle classi economicamente più deboli. Charpentier
si avviava così a diventare parte di quel meccanismo statale
che aveva contestato più volte. Basti pensare che il suo
Couronnement de la Muse, che in origine accompagnò la
Valchalade del 1897,[5] già nel 1898
fu rappresentato davanti all’Hôtel de la Ville di Parigi
per il centenario dalla nascita dello storico Jules Michelet, alla
presenza di un pubblico arrivato da tutta la Francia. Si stava
aprendo per il compositore la strada del successo, che avrebbe
dischiuso alla sua Louise, cominciata, scritta e ritoccata
mille volte fin dai primi anni Novanta, le porte
dell’Opéra Comique, sotto la direzione di Albert
Carré, personalità fondamentale del teatro musicale
parigino d’inizio Novecento. Dal punto di vista
drammaturgico, il teatro francese contemporaneo alla gestazione di
Louise di Charpentier è il «teatro
dell’immagine» in cui gli attori non sono interpreti di
personaggi, ma solo indossatori, soprattutto indossatrici di abiti
lussuosi e bellissimi che vengono esibiti sul proscenio. Per
offrire un ulteriore piacere della vista agli spettatori, il
décor della scena è dato dall’impiego di
macchinari capaci di realizzare effetti spettacolari, come
naufragi, tempeste… Il conflitto tra il divismo imperante e
l’eccessiva cura del décor portano
inevitabilmente alla decadenza del teatro, svuotando la valenza
drammaturgica delle pièces, ridotte ad una mera
sfilata. Paradossalmente sarà proprio da questo secondo
aspetto che partirà l’idea di un nuovo sistema teatrale,
il cui punto cardine non sarà più dato dal singolo
protagonista, bensì da un ensemble di personaggi che
collaborano tutti allo stesso livello: il protagonista è
primus inter pares. Zola si rende portavoce del vento di
rinnovamento del teatro e, oltre all’esigenza di un una
prassi scenica d’ensemble, sente sempre più
pressante la necessità di un nuovo modo di recitare, nella
quale l’attore viva la sua parte, senza limitarsi a
declamarla. Per organizzare la scena Zola profetizza la figura del
metteur en scène, che dall’esterno coordina e
muove gli attori all’interno di un décor che
racconti le abitudini dei personaggi, fornendo all’opera
vitalità. L’opera teatrale, infatti, è data dalla
compresenza sulla scena di una molteplicità di elementi
(testo, attori, décor…) che sono collocati sullo
stesso piano.
Il rinnovamento teatrale proposto da Zola trovò
piena attuazione con la nascita del Théâtre Libre
di André Antoine, che iniziò ad operare a Parigi il 30
marzo 1887. La sede era una piccola sala in affitto che funzionava
come club privato per soci che si impegnavano a pagare un
abbonamento annuo a sette o otto spettacoli unici. Il carattere
privato dell’associazione garantiva maggiore libertà
rispetto al controllo della censura, a cui veniva affiancata la
libertà dalla tradizione e dai condizionamenti del mercato
teatrale.
Merito di Antoine è di aver introdotto a Parigi
alcuni autori stranieri come Tolstoj, Ibsen, Strindberg, Hauptmann,
Verga, accanto naturalmente ai grandi nomi del Naturalismo
francese. Il teatro deve essere libero, sciolto da lacci, da
stereotipi, da servitù all’idea di successo di pubblico,
deve essere in grado di mostrare la pienezza dell’esistenza
genuina, psicologica e sociale degli individui posti sul
palcoscenico.
Il suo punto di partenza è la diagnosi della
crisi teatrale delineata da Zola: di fronte al teatro del primo
attore si riformula una prassi di ensemble, un lavoro di
gruppo capace di valorizzare la struttura drammaturgica. Il
protagonista non si esibisce più davanti alla
scenografia, ma dentro la scenografia; può abbandonare
il proscenio, girare le spalle al pubblico, risalire verso il fondo
della piattaforma. Il messaggio passa
all’interno di un effetto complesso di
composizione dato dalla coralità della scena. Lo
spettatore assiste allo spettacolo dalla quarta parete che
risulta trasparente per il pubblico e che gli permette di
«entrare» nelle vicende rappresentate sul palco.
In questa ottica di ensemble, in cui i
protagonisti non sono situati su un piano diverso dagli altri
attori, si muove anche Louise di Charpentier, che si
presenta come prosecuzione delle idee teoriche del teatro di prosa
nell’ambito dell’opera in musica e lascia comprendere
come una singola opera sia anche lo specchio del fermento
culturale, politico e sociale in cui questa viene prodotta.
Un altro problema drammaturgico con cui si confronta
Charpentier riguarda il modo di narrare:
intendendo per dramma la riproduzione del rapporto
intersoggettivo che ha per oggetto ciò che si manifesta in
questa sfera. […] Il dramma è una dialettica conchiusa
in se stessa, ma libera, e che si determina di nuovo in ogni
momento. […] Il dramma non è scritto, ma
«posto». Le parole dette nel dramma sono tutte
«decisioni»; sono sviluppi della situazione e rimangono
in essa; in nessun caso devono essere concepite come emananti
direttamente dall’autore. Il dramma appartiene
all’autore solo nel suo insieme, e questo rapporto non è
essenziale alla sua realtà di opera. […] Lo spettatore
assiste al dialogo drammatico in silenzio, con le mani legate,
paralizzato alla vista di un escondo mondo. […] Il rapporto
spettatore-dramma conosce solo la completa separazione o la
completa identificazione, ma non l’intrusione dello
spettatore nel dramma o il rivolgersi del dramma allo
spettatore.[6]
In quanto forma assoluta il dramma è sempre
ambientato al tempo presente, questo non esclude che vi siano
più episodi che danno luogo ad una «successione di
presenti», poiché l’antefatto e la conseguenza del
dramma, in una condizione temporale di passato e futuro,
rimanderebbero al di fuori della rappresentazione relativizzando
tutta quanta la scena. Alla fine dell’Ottocento ancora si
presenta questo tipo di drammaturgia, incentrata sullo schema della
tragedia classica, che non è più in grado di soddisfare,
o che lo è ma forzatamente, le esigenze contenutistiche del
dramma borghese. In questo senso si attua una forte discrepanza tra
forma e contenuto, che tenta di creare un edificio nuovo ed
autonomo, ma ancora troppo precario per soppiantare completamente
la tradizione. Si apre così un ventaglio di soluzioni via via
presentate dai vari autori, che si differenziano tanto più si
differenzia la loro poetica, ma che mirano a trovare una qualche
soluzione formale alla crisi interna del dramma. Il compito del
dramma è quello di riferire, ma questo è possibile solo
attraverso una forma letteraria che ne mantenga costante la sua
struttura interna, questa forma è il romanzo:
Nel dramma e nell’epopea il passato o non
esiste o è del tutto presente. Dal momento che tali forme non
conoscono il fluire del tempo, non v’ha in esse alcuna
differenza qualitativa dell’esperienza di passato e presente;
il tempo non possiede alcuna forza di mutazione, dal tempo non
viene ad essere esaltata né sminuita l’importanza
d’alcunchè.[7]
2. Lo specchio: un romanzo intitolato
Parigi
Un esempio di come Charpentier fonda il roman
musical è dato dalla prima scena del II atto, che
idealmente prosegue con il Couronnement de la Muse (III
atto); tuttavia questo non è stato preso in considerazione
poiché presenta problematiche diverse dal resto
dell’opera. Il Couronnement è, infatti, un
componimento autonomo, che già godeva di grande
popolarità al momento della prima dell’opera
all’Opéra Comique.
In realtà Louise si apre con il II atto,
poiché il I può essere inteso come prologo che si svolge
tra le mura domestiche, al quale segue il Preludio «Paris
s’éveille» e la scena I in cui la città prende
vita e comincia a popolarsi, in contrapposizione allo spazio chiuso
dell’atto precedente.
Viene a questo punto presentato le Noctambule,
anarchico rispetto ai valori borghesi, simbolo di Montmartre e dei
bohémiens, il cui tema è inserito come citazione sotto la
parola folie del protagonista, come ponte tra questo
personaggio e la vita spensierata degli artisti, che non rispettano
le convenzioni sociali dell’ideale di vita medio -
borghese:
ESEMPIO 1
Il Noctambule oscilla sempre tra realtà ed
irrealtà e sembra continuare letterariamente la fase finale
dei Rougon–Macquart di Zola, Le Rêve, per la
valenza simbolica ed impalpabile del
personaggio.[8] Qui Charpentier
rappresenta visivamente il trionfo del kitsch, facendo arrivare in
mezzo alla scena il Noctambule che si toglie il mantello e svela un
costume con una P (come Parigi, Plaisir, o entrambe?) rossa con
piccole lampadine luminose. La sua ambiguità è resa
musicalmente dall’alternanza tra condotta cromatica, nella
parte del basso, e diatonica, nella melodia e negli arpeggi che
introducono i versi cantati dal Noctambule. A sottolineare le due
polarità tra le quali questo personaggio si muove: la
realtà (accordi appartenenti alla tonalità) e la finzione
scenica (con una minore stabilità data dal cromatismo). Anche
l’orchestrazione sottolinea l’elemento surreale del
protagonista della scena, utilizzando strumenti come l’arpa e
la celesta, evocativi dell’atmosfera fantastica introdotta
dal Noctambule che ritornaneranno alla fine della scena, dopo il
discorso dello Chiffonnier a evidenziare le parole del Bricoleur:
«Bah! Dans toutes les familles c’est la même chose!
[…] Faut pas leur en vouloir si elles préfèr’
à notre vie d’enfer le paradis qui les appelle
là-bas»:
ESEMPIO 2
Opposto al Noctambule è lo Chiffonnier, che
introduce il secondo nodo drammaturgico e musicale della scena.
Centro di questo secondo momento è il racconto dello
Chiffonnier, la cui figlia è stata rapita dal Noctambule.
Questa narrazione interrompe il clima spensierato della prima parte
della scena e prefigura quella che sarà la fine
dell’opera stessa: Louise infatti abbandonerà la
famiglia, ed il padre soprattutto (è anche l’ultimo
personaggio che parla con lei), per andare a Parigi. Abbiamo anche
in questo caso un artificio romanzesco, la prolessi, che anticipa
lo scioglimento del nodo narrativo.
I due nodi drammaturgici sono sottolineati ancora
dallo schema tonale dell’intera scena, costruito attraverso
modulazioni che portano da Re Maggiore a Re minore. Il percorso
armonico non presenta notevoli irregolarità, procedendo per
tonalità vicine (relativa minore, relativa maggiore,
dominante, modo maggiore e modo minore rispetto alla stessa
fondamentale) o, al massimo, per affinità di terza:
Batt.
|
Tonalità
|
Plot
|
II,
114
|
Re
maggiore
|
Introduzione (Le petite
chiffonniè-re, La glanueuse de charbon, Le Noctambule)
|
II, 8
dopo 115
|
La
maggiore
|
Aria del
Noctambule
|
II,
120
|
Fa
minore
|
|
II,
121
|
Fa
maggiore
|
|
II,
123
|
La
minore
|
|
II,
126
|
Do
maggiore
|
|
II,
128
|
Instabilità tonale (tritoni)
|
Risposta
dello Chiffonnier
|
II,
131
|
Fa# minore
|
|
II,
133
|
Re
minore
|
|
Le due aree di influenza, rispettivamente del
Noctambule e dello Chiffonnier, sono separate da una zona centrale
che introduce gradatamente alla rottura drammaturgica della scena
mediante la presenza di una serie di tritoni, che conducono dalla
tonalità di Do a Fa#, le cui fondamentali sono in
rapporto tritonale, sottolineando ulteriormente la contrapposizione
tra i due personaggi.
3. Louise
Il 2 febbraio del 1900, al teatro
dell’Opéra Comique di Parigi, va in scena la
Louise di Gustave Charpentier,[9] ambizioso tentativo
di rivoluzionare dall’interno i canoni estetici ed etici
dell’opera in musica. Ritenuta da gran parte della
storiografia musicale il primo esempio di opera socialista, aveva
lo scopo di avvicinare le classi sociali più deboli al
Bello artistico e aprire nuovi spazi autonomi nella vita
degli operai.
Il tentativo di Charpentier s’inquadra nella
prospettiva della ricerca del realismo in musica, che è uno
dei nodi portanti del dibattito estetico sull’opera del
secondo Ottocento e del primo Novecento. Si avverte una somiglianza
tra le posizioni di Charpentier con quelle assunte da Modest
Mussorgskij nel Boris Godunov, da un lato, e quelle
di Giacomo Puccini espresse nella Bohème,
dall’altro. Nel primo caso è condiviso l’aspetto
di musica del popolo per il popolo, attribuendo una funzione attiva
alle masse proletarie solo da un punto di vista rivoluzionario e
non nazionalista. Nel secondo caso abbiamo un’identica
divisione in quadri, e non in atti, che conferisce maggior
importanza all’ambiente che non al dramma stesso. Un dato di
forte differenza tra le opere citate e Louise è lo
scopo che si prefiggono i rispettivi autori e l’ambientazione
storica cui fanno riferimento, proiettata nel passato remoto nel
caso di Boris e in uno più recente per
Bohème, contemporanea a Charpentier e alle
problematiche del suo tempo, in Louise.
Nel campo dell’opera si tentano soluzioni
formali nuove che si ispirano alle attuali tendenze di rinnovamento
della forma drammaturgica, uno di questi «esperimenti»
è la forma del Roman musical utilizzata da Gustave
Charpentier come sottotitolo dell’opera Louise,
intendendo far appunto riferimento alla forma principale del
Naturalismo letterario: il romanzo. L’impiego di personaggi
presi dai ceti più umili della popolazione, operai, popolo
minuto e bohémiens, permette a Charpentier di
conferire una maggiore consistenza alle teorie estetiche cui si
riferisce. Questa forma caratterizza, infatti, non solo
l’ambientazione dell’intreccio, ma anche la struttura
drammaturgica dell’opera: la suddivisione in quadri
anziché in atti permette una condotta drammatica più
libera, svincolata da ogni rigida norma di narrazione classica. Non
c’è una netta scansione tra parti in recitativo e arie
liriche, rendendo la Louise una specie di Musikdrama
di ascendenza wagneriana. La forma scenica è quella che
scandisce le azioni, l’ambiente passa da sfondo a
protagonista del racconto teatrale e l’attenzione è
incentrata sulla coralità delle scene. L’ambientazione
passa dal mondo mitologico, nel senso più ampio possibile,
alla metropoli moderna, citando l’opinione di Carl
Dahlhaus:
Dal punto di vista drammaturgico il panorama della
metropoli, che si presenta in Charpentier come grande confusione -
un caos che risucchia -, non è un’aggiunta
all’azione ma la sua sostanza. Il duetto tra Louise e Julien
con cui si chiude il secondo quadro non è il centro
drammaturgico della scena a cui la descrizione dell’ambiente
fornisca soltanto lo sfondo, ma rende esplicito in forma di dialogo
un evento il cui personaggio principale è la città di
Parigi, la quale, come in Zola, da uno scenario descritto
realisticamente diventa alla fine un mito.[10]
Il legame con le tendenze drammaturgiche del teatro
di prosa, soprattutto con l’opera di Henrik Ibsen, è
visibile non solo a livello strutturale e formale, ma anche nella
raffigurazione del personaggio femminile.
Prendendo in esame Casa di bambola la
protagonista, Nora, dopo aver sofferto per tutto il dramma ed aver
sopportato un soffocante senso di colpa per aver aiutato
economicamente il marito, alla fine riesce a prendere coscienza del
fatto che lei non è soltanto una moglie ed una madre, ma che
ha una possibilità di scegliere, di essere libera dai vincoli
imposti ad una donna all’interno della gerarchia sociale:
HELMER: Prima di tutto, tu sei una moglie ed una
madre.
NORA: Non lo credo più. Credo di essere prima di
tutto un essere umano… proprio quanto te… o ad ogni
modo cercherò di diventarlo. So benissimo che la maggior parte
della gente concorderà con te, Torvald, e tu ne troverai
conferma anche nei libri; ma non può più bastare ciò
che dice la gente, ciò che dicono i libri. Devo pensare da
sola alle cosa e cercare di capirle.[11]
Anche ne La donna del mare Ibsen rappresenta
una donna che riesce a prendere coscienza dei suoi desideri solo
quando è completamente libera e sciolta da ogni forma di
contratto sociale: Ellida infatti scopre di amare profondamente suo
marito e le sue figliastre solo dopo aver allontanato da
sola l’uomo che veniva dal mare. Lo straniero non ha
più alcun potere su di lei solo quando Wangel la affranca da
ogni tipo di legame e di riguardo nei suoi confronti:
WANGEL: I tuoi pensieri erravano per altre vie. Ma
ora… ora sei affrancata da ogni tipo di legame con me e con
la mia casa. E coi miei. Ora la tua vita, la tua vera vita …
potrà rientrare nella strada giusta. Ora potrai scegliere
liberamente. E in piena responsabilità, Ellida.
ELLIDA: Liberamente…e in piena
responsabilità! Responsabilità anche?
Perché…tutto è mutato.[12]
Charpentier invece fa sì che l’azione
compiuta da Louise non appaia come volontaria - è, infatti,
Parigi a dominare la scena-, dandole però l’illusione
della libera scelta. La protagonista, ebbra di Parigi, sceglie di
darsi a Julien, manifestando apertamente il suo passaggio da
fille a femme. Anche il piacere fisico diventa un
momento di liberazione dai rigidi schemi imposti dal nucleo
familiare, ed un modo per sottrarsi ad una scala di valori
prettamente borghesi: Louise infatti intreccia una relazione con
Julien non sancita dal matrimonio. Louise diventa l’Amante
éternelle, la donna idealizzata che sfiora la sfera del
sacro, come si vede nel coro che intona per lei l’invocazione
«Hosanna». La parte centrale del duetto del terzo atto,
scena prima, è occupata da una invocazione a Parigi, come
città d’amore, di forza e di luce, che protegge i due
amanti e che permette loro di perdere la loro identità
individuale, dando loro l’illusione di aprirsi la strada ad
una nuova vita. Questa però è soltanto una mera
illusione, perché in realtà Louise e Julien sono solo due
miseri ingranaggi di una immensa città-fabbrica che fagocita
tutto e tutti, regna sovrana e governa la vita dei suoi abitanti
spingendoli a compiere scelte determinate soltanto dal suo volere.
I personaggi si muovono alla stregua di burattini i cui fili sono
mossi da Parigi stessa.
Questa poetica rappresenta uno degli esiti della fase
di decadenza del Romanticismo, dopo quest’epoca non si
potrà più parlare in alcun modo di uno Zeitgeist
comune a tutte le arti (se mai se n’è potuto parlare).
Il realismo rappresenta una tra le molte risposte possibili ad una
crisi culturale diffusa, il cui punto di partenza per ogni tipo di
prospettiva realista è l’estetica del vero,
dell’arte come mezzo espressivo non di un bello
ideale, ma della realtà.
Sia che per modello si considerasse l’insieme
dei dati di fatto osservati e comunicabili senza parzialità,
oppure la personale e fugace materia del sentire, il centro delle
mire estetiche e filosofiche era sempre la realtà. Gran
parte della storiografia indica, a livello cronologico, una
frattura all’inizio degli anni ’90
dell’Ottocento, che era già stata largamente anticipata
durante i due decenni precedenti dalle arti visive e letterarie.
Quest’insieme d’influenze culturali lascerà una
traccia profonda in tutta la musica dal 1870 in avanti, da Bizet a
Mussorgskij, da Debussy a Schönberg e Strauss, fino a
Charpentier. Questi compositori esprimono musicalmente concetti o
intenti artistici ripresi da fonti letterarie o pittoriche coeve,
ma in una forma ontologicamente diversa, priva di un
autentico riferimento che potrebbe collegare tutti gli esiti
all’interno di una poetica comune. Che gli elementi di
realismo siano dati da particolari accorgimenti drammaturgici
piuttosto che da elementi del tessuto musicale, rimane il dato di
fatto che la realtà reclamava uno spazio non secondario
nell’estetica del periodo. I risultati sono eterogenei e non
si possono inquadrare entro un unico punto di vista. La
Louise di Charpentier rappresenta uno dei frutti di
quest’incertezza alla fine del secolo XIX. L’anarchico
Charpentier descrive la vita del popolo come in uno specchio
deformato, aspirando a fare della quotidianità un fatto
mitico, in cui si può realizzare l’incontro mistico tra
il Poeta-Julien e la sua Musa-Louise, nel segno della sua utopia
artistica.
La vicenda di Louise, ragazza operaia della Parigi
d’inizio secolo, presenta un soggetto contemporaneo al suo
autore e alla sua stessa messa in scena. Quest’ambientazione
permette a Charpentier di mostrare al pubblico
dell’Opéra Comique una riproduzione che sembra essere
fedele della realtà, ma che, al contrario, rappresenta una
trasfigurazione idealizzata del reale. Quello che si propone agli
spettatori è un ritratto della città come frutto di una
visione mitologica collettiva, coincidente con l’ideale
medio-borghese. Il processo di mimesi consente da un lato di
soddisfare le attese del pubblico, dall’altro di presentare
un certo tipo d’ambiente sociale e le problematiche che vi
sono connesse.
L’immagine di Parigi che emerge dalle pagine di
Charpentier si può ricollegare, idealmente, al primitivo
progetto per la mise en scène di Traviata di
Verdi (1853),[13] anch’essa
ambientata in epoca contemporanea all’autore. L’effetto
cui mirano entrambi gli autori è quello di straniare il
pubblico, mostrandogli la sua stessa immagine. Ma nell’opera
di Verdi, nel progetto e nella resa drammatica,
quest’immagine rimane convenzionale, non si svincola dalle
leggi che regolano la prassi teatrale dell’epoca, se non per
il soggetto. In Louise la deformazione della realtà
passa attraverso un doppio filtro, che opera a livello drammatico e
musicale: quello della convenzionalità operistica e quello
della volontà propagandistica insita nell’opera di
massa. In questo senso, l’aspirazione di Louise al
realismo si realizza non mediante l’eliminazione dei filtri
delle convenzioni, bensì mediante la loro sovrapposizione. Da
un lato, infatti, abbiamo l’inevitabile filtro della
convenzione operistica, che mette in scena la vita utilizzando il
canto al posto del dialogo parlato, dall’altro un filtro
ideologico e pubblicistico rispetto agli intenti politici e sociali
di Charpentier.
L’introspezione psicologica dei personaggi
è ridotta al minimo e la loro interazione ha senso solo in
quanto parte di un ambiente: Parigi, che sovrasta con la sua
inesauribile presenza tutta l’opera. Parigi come fulcro e
orizzonte dei destini dei personaggi, come brulicante intreccio di
vite troppo piccole in un contenitore troppo grande, Parigi
spietata ed innamorata, Parigi montmartroise e operaia, ecco
il punto focale dell’intreccio di Louise.
Nell’opera anche i personaggi perdono la propria
caratterizzazione individuale, sono ruoli, che esistono in
quanto parte di un organismo più grande (Le Chiffonnier, La
Laitière, Le Bricoleur, fino a Le Chansonnier, Le Philosophe e
Le Poète). Solo all’eroina eponima e al suo amato Julien
spetta l’onore di avere un nome, di emergere, seppure per un
attimo, dall’anonima massa cittadina. La famiglia stessa,
cardine dell’ordinata società borghese, diventa una
struttura vuota di significato, nido di felicità mediocre per
un rassegnato Père ed un’isterica Mère, di fronte
allo strapotere di Parigi. La rappresentazione delle scene e dei
personaggi diventa quindi allegorica, impiegando mezzi e fini
realistici. Quello che ne risulta è una stereotipizzazione dei
caratteri, dove ognuno non rappresenta niente, se non la caricatura
o la forzatura di se stesso, attraverso uno specchio deformato.
Il contatto di Louise con le nuove
tendenze del teatro di prosa, in particolare con l’esperienza
del Thèâtre Libre di Antoine e dei Meininger del duca
Georg II di Meiningen,[14] si fa evidente
nell’uso massiccio di scene corali. Mancano totalmente le
arie solistiche, predominano i duetti e le scene
d’ensemble, che danno la caratterizzazione del mondo
dentro il quale i personaggi si muovono.
Una concessione alla pura espansione lirica
è inserita solo nel punto cardine dell’opera: il lungo
duetto del terzo atto «Depuis le jour», che riesce a
conciliare il regno delle favole («la petite Montmartroise au
coeur dormant») con affermazioni che ricordano molto da vicino
il teatro ibseniano. Ma anche questo numero sottintende la presenza
tacita di un terzo personaggio continuamente citato: Parigi. La
Ville Eternelle è invocata per tre volte verso la fine del
duetto,[15] enfatizzando la sua funzione spirituale
di protezione dei due amanti. E la città risponde, col
roboante coro che riprende le parole «Libres! Libres!» e
schiude al poeta ed alla sua giovane musa le porte
dell’amore.
La presenza sulla scena di un complesso di
personaggi che definiscono un ambiente dimostra la volontà di
Charpentier di fare di quest’elemento il nucleo generatore
del dramma, mostrando la logica evoluzione di un «tipo
umano» nella sua società. Da questo punto di vista
l’uso, a livello drammaturgico, del popolo minuto non è
molto dissimile da quello effettuato da Modest Mussorgskij nel
Boris Godunov.[16] Da una parte,
infatti, abbiamo il nazionalismo del russo, dall’altra il
socialismo ecumenico di matrice anarchica di Charpentier. Ma vi
sono altre differenze, più profonde. Il popolo, ritratto con
la maggiore fedeltà possibile anche nella costruzione
musicale, è il vero protagonista del dramma, nel Boris
Godunov; mentre nella Louise rimane sempre funzionale
all’evoluzione della storia dei due protagonisti. A livello
di strutture drammatiche, se nell’opera di Mussorgskij il
popolo è antagonista predestinato di Boris, strumentalizzato
dai suoi nemici, nel dramma di Charpentier le masse popolari hanno
sempre la funzione di coadiuvare i due fidanzati a legittimare il
loro amore. Anche la funzione dell’opera per i due
compositori è sostanzialmente diversa, non si tratta più
di cercare la musica del popolo, ma di creare la nuova musica che
educhi le masse al Bello, all’ideale artistico di un
compositore con intenti poco meno che messianici.
Per rendere l’opera più fruibile ad un
pubblico ampio, Charpentier utilizza diversi mezzi:
l’orecchiabilità dei motivi, la scansione ritmica spesso
improntata su tempi di marcia, l’impianto scenografico
grandioso e pensato nei minimi dettagli, che contribuirono ancor di
più ad un successo popolare già annunciato. Il risultato
è duplice e teatralmente perfetto: permetteva di abbassare il
livello della ricezione e di inserire all’interno
dell’opera alcuni momenti di stacco rispetto
all’intreccio amoroso principale.
Ispirata alle Scènes de la vie de
Bohème di Henri Murger, la Bohème di Giacomo
Puccini presenta la giustapposizione paratattica di quattro quadri
che forniscono uno spaccato di vita parigina di giovani artisti
bohémiens e delle loro «avventure». I luoghi
deputati alla scena sono: la soffitta, il Quartiere Latino, la
barriera d’Enfer, per poi concludere l’azione
nuovamente in soffitta, secondo uno schema circolare che si ritrova
in Louise, che inizia e si conclude in un ambiente chiuso,
la casa dei genitori della protagonista. Puccini accosta varie
immagini di Parigi facendo in modo che ogni quadro sia fortemente
legato all’altro, fornendo uno spaccato di vita di giovani
bohémiens.[17]
La struttura in quadri ha una funzione
rappresentativo-allegorica, in cui l’ambiente è il vero
protagonista dell’opera, delineando perfettamente i
personaggi, tanto in Bohème quanto in
Louise.
Dal punto di vista meramente rappresentativo il
mondo parigino offerto da Charpentier e quello presentato da
Puccini differiscono sostanzialmente dal punto di vista ideologico:
il primo analizza la vie de Bohème sotto
un profilo sociale, mentre l’autore lucchese rappresenta
Montmartre con tutti i suoi più triti attributi, privilegiando
ancora l’idea ottocentesca dell’artista romantico
bohémien.[18] L’intento con
cui vengono portate avanti queste due posizioni permette così
di avere, a distanza di quattro anni, due visioni contrapposte
dello stesso modello. Puccini e Charpentier sono espressione di due
esigenze culturali e politiche profondamente diverse: da un lato il
Quartiere Latino viene visto con gli occhi di un italiano che la
osserva dall’esterno e che proietta in quell’ambiente
la sua personale esperienza milanese e torrelaghese,
dall’altro invece è un parigino che analizza la sua
realtà dall’interno e la descrive con intento polemico.
Anche Charpentier inserisce componenti autobiografiche
nell’opera, poiché, durante gli studi conservatoriali,
ha vissuto a Montmartre in un ambiente bohémien e
filoanarchico.
Il realismo, se così lo possiamo definire, delle
due opere avviene a livelli diversi: in Bohème
c’è maggior attenzione ai particolari della vita
quotidiana degli artisti, come il pagamento dell’affitto o
procurarsi il pranzo, ed una maggior caratterizzazione dei
personaggi. Charpentier fornisce invece una immagine più
alienata della vita parigina, che conferisce maggior importanza
alle dinamiche sociali ed ai conflitti che si generano da esse:
Julien è lo stereotipo dell’artista maudit e
Louise la figlia adorata che dovrebbe rispettare il volere dei
genitori secondo le leggi di una onesta famiglia
«borghese» di operai, e che invece rompe le regole
sociali rendendosi libera ed andando incontro al suo destino.
È molto comune l’uso della tecnica
leitmotivica, all’interno di un’opera dal taglio
naturalista. Se può apparire contraddittoria la differenza tra
costruzione mitologico-musicale e livello sociale dei personaggi,
come già notava Laloy,[19] in realtà si
può percepire come i motivi siano un veicolo per la
descrizione dei caratteri e per la loro evoluzione. Il Leitmotiv
che Charpentier attribuisce ad una situazione o ad un personaggio
può essere visto come codice genetico, come contenitore
primigenio delle successive trasformazioni che ne daranno
l’evoluzione in musica. Ecco ora riapparire un tema caro al
Naturalismo zoliano: l’ereditarietà. Ed ecco la sua
applicazione in musica, che fa del trattamento sinfonico dei temi
uno strumento narrativo potente e, ma non del tutto, obiettivo. Un
esempio evidente è dato dal tema che fa da base al preludio
del primo atto, catalogato da Manfred Kelkel come «tema
d’amore, del desiderio»,[20] e riappare
continuamente all’interno dell’ordito musicale, subendo
elaborazioni a livello di registro, ritmo, profilo melodico e
valore armonico, costituendo uno dei veri e propri motivi
conduttori dell’opera.
Charpentier ammirava moltissimo il concetto
stesso di teatro in musica come creazione totale, comprendente
tutte le fasi della sua lavorazione, dal libretto alle
scene.[21] Ancora una volta, riaffiorano in questa
sede i germi del primo teatro di regia, come concezione di uno
spettacolo interamente pensato da un’unica intelligenza
drammatica. Ma, se nell’opera di Wagner la musica ha
essenzialmente una funzione autoreferenziale, come parte integrante
del mito che sta narrando, nell’opera di Charpentier essa
rimanda ad una dimensione al di fuori dell’arte, in
un’ottica allegorica dove ogni nota rappresenta un
riferimento a qualcosa di altro da sé, ad un frammento di
realtà.
Notevole, accanto a questi processi di elaborazione
drammatico–musicale, la presenza di frequenti inserti
realistici all’interno di Louise. Questi appaiono sia
a livello di vere e proprie musiche di scena, sia a livello di
dettagli sonori. Tra le musiche di scena si segnalano l’aria
del Noctambule (atto II, 1, «Malice du destin»), la
canzone dei bohémiens riuniti intorno a Julien (atto
II, 1, «C’est ici?»), la serenata di Julien fuori
dell’atelier (atto II, 2, «Dans la cité
lointaine») e l’intero Couronnement de la Muse (atto
III, 2, «Régalez-vous mesdam’s, voilà
l’plaisir»). Tra gli elementi sonori realistici: il
suono della pendola alla fine del primo atto, mentre Louise in
lacrime legge i titoli del giornale al padre, l’intera scena
del mercato, che utilizza come base i cris de la rue
così familiari al montmartrois Charpentier e la scena
dell’atelier, dove rapide terzine di percussioni danno
l’effetto acustico dei telai in azione all’interno
della fabbrica e costruiscono l’impianto ritmico della scena.
Si osserva quindi, all’interno di Louise, una
commistione di fattori solo apparentemente contraddittori, in
realtà tutti funzionali, per qualche verso, al programma
artistico dell’autore: il romanzo musicale naturalista.
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[*] Questo articolo è
frutto di riflessioni maturate in un seminario tenuto dagli
scriventi nel corso di Storia del
teatro 1999/2000 del prof. Michele Girardi, presso
la Scuola di Paleografia e
Filologia Musicale dell’Università di Pavia a
Cremona. Gli autori ringraziano per i preziosi consigli Virgilio
Bernardoni, Steven Huebner, Marco Mangani e Dieter Schickling.
[1] Per capire il fenomeno
dell’improvvisa polarizzazione degli intellettuali ed il loro
successivo smarrimento nell’ambito dell’Affaire
Dreyfus, si veda ROGER MARTIN DU GARD, Jean Barois, Paris,
1913 (trad. it. a cura di Francesco Francavilla, Firenze, Parenti,
1956).
[2] «Ai vari fattori
che contribuirono alla mia conversione – disgusto per i
parlamentari degenerati, disgusto per l’arte borghese –
si aggiungevano una gran simpatia per i Comunardi sconfitti…
ed infine un’avversione per la grande azione livellatrice del
socialismo…Noi eravamo anarchici per moda, perché era
romantico, una condizione che s’inscriveva nel nostro status
di scrittori caduti dalla Grazia e un’etichetta per tutte le
nostre ragioni d’insoddisfazione…» (CAMILLE
MAUCLAIR, Servitude et grandeur litteraires, Paris, 1922:
cit. da STEVEN HUEBNER, Between Anarchism and the Box-Office:
Gustave Charpentier’s Louise, «19th Century
Music», XIX/2, 1995, pp.136-160).
[3] Alfred Bruneau
(1857-1934), allievo di Jules Massenet e vincitore del Prix de Rome
nel 1881, esercitò un’intensa attività di critico e
compositore. Tra le sue opere: Le Rêve (1891),
L’attaque du moulin (1893), Messidor
(1897).
[4] Cfr. ALFRED BRUNEAU,
La musique française: rapport sur la musique en France du
XIIIe au XXe siècle. La Musique a Paris en 1900 au
thèâtre, au concert, à l’Exposition,
Paris, 1901.
[5] Manifestazione degli
artisti bohémiens di sinistra ed anarchici, dai toni
satirici e provocatori, che si opponeva al tradizionale Festival
du Montmartre, borghese.
[6] PETER SZONDI,
Theorie des modernen Dramas, Frankfurt am Main, Suhrkamp
Verlag, 1956, trad it. Teoria del dramma moderno 1880-1950,
Torino, Einaudi, 1962, p. 10-11.
[7] GYORGY LUKÁCS,
Die Theorie des Romans, Berlin, 1920, p. 127, trad. it.
Teoria del romanzo, Milano, 1962, p.174 (La citazione è
tratta da PETER SZONDI, Teoria del dramma moderno, cit., p.
21).
[8] Le
Rêve è stato trasformato poi in testo teatrale da
Zola stesso e musicato da Alfred Bruneau nel 1891, come avvenne per
molti episodi dei Rougon-Macquart. Ebbe una notevole risonanza
nell’ambiente musicale parigino contemporaneo a
Louise.
[9] Louise, roman
musical en quatre acte et cinq tableaux. Paroles et musique de
Gustave Charpentier. Prima italiana: Milano, Teatro Lirico, 14
aprile 1901. Per la stesura di questo articolo si fa riferimento
alla partitura: Louise de Gustave Charpentier, Heugel,
Paris, 1901?, 20.241 (versione francese); e a due spartiti:
Louise de Gustave Charpentier, Heugel, Paris, 1900, 19.659
(versione francese) e Louise de Gustave Charpentier, Heugel,
Paris, 1927, 23.457 (versione francese-inglese).
[10] CARL DAHLHAUS,
Musikalischer Realismus. Zur Musikgeschichte des 19.
Jahrunderts, München, Piper, 1982. (trad. it.: Il
realismo musicale, Bologna, Il Mulino, 1987, p. 378).
[11] HENRIK IBSEN,
Et dukkehjm, trad. it. Casa di bambola, a cura di
Nicoletta Dalla Casa Porta, Varese, Demetra, 1995, p. 117.
[12] HENRIK IBSEN,
Fruen fra havet, trad. it. La donna del mare, a cura
di Anita Rho, Torino, Einaudi, 1959, p. 96 (l’enfasi è
nostra).
[13] Cfr. JULIAN
BUDDEN, The Operas of Verdi, London, Cassell, 1973, 3 voll.
(trad. it.: Le opere di Verdi, vol. II, Torino, EDT, 1988,
p. 133-135).
[14] Gruppo teatrale
attivo alla fine dell’Ottocento, famoso per aver precorso il
teatro di regia moderno (Cfr. ROBERTO ALONGE, Teatro e
spettacolo, cit., pp. 79-83).
[15] A tale
proposito, notiamo una sostanziale omologia strutturale con le tre
entrate del coro, espressione che allude alla sfera della
ritualità, nel Duo finale tra Carmen e Don Josè in
Carmen di Georges Bizet ( IV atto, n. 27).
[16] Si veda in
proposito l’opinione di CARL DAHLHAUS, Musikalischer
Realismus. Zur Musikgeschichte des 19. Jahrunderts,
München, Piper, 1982. (trad. it.: Il realismo musicale,
Bologna, Il Mulino, 1987, cap. 9: Il romanzo come modello
formale, pp. 121-130).
[17] La
Bohème fu rappresentata per la prima volta al teatro Regio
di Torino il primo febbraio 1896, diretta da Arturo Toscanini. La
prima parigina ebbe luogo all’Opéra-Comique nel 1898,
con la mise en scène di Albert Carré, che
sarebbe stato anche il régisseur di Louise alla prima
assoluta. Sulla Bohème di Giacomo Puccini si veda
MICHELE GIRARDI, Giacomo Puccini, l’arte internazionale di
un musicista italiano, Venezia, Marsilio, 1995, p. 118 e segg.
e JÜRGEN MAEHDER, Immagini di Parigi, «Nuova
Rivista Musicale Italiana», XXIV/3-4, 1990, pp. 402-455.
[18] Questa
l’opinione in proposito di Jürgen Maehder:
«…Mentre le opere di Puccini e Leoncavallo eludono i
possibili spunti per una critica sociale militante
(nell’Italia umbertina una Mimì repubblicana non avrebbe
potuto diventare oggetto d’identificazione psicologica da
parte del pubblico operistico), Gustave Charpentier realizzò
con Louise (1900) un ‘opéra-Montmartre’,
sotto il segno del naturalismo francese. Non a caso il libretto di
Charpentier rappresenta uno dei primi esempi di libretti scritti in
prosa dallo stesso compositore.» (Immagini di Parigi,
cit., p. 434n).
[19] LOUIS LALOY,
Le drame musical moderne, «Le Mercure
musical», 84, Paris, 1905.
[20] MANFRED KELKEL,
Naturalisme, vérisme et réalisme dans
l’opéra, J. Vrin, Paris, 1984, p. 295.
[21] «Wagner,
lui, ne confie à personne ses ouvrages, depuis
l’idée encore à l’état d’embryon
jusq’au couronnement de l’œuvre, tout est de lui.
Les décors même» (lettera di Gustave Charpentier ai
genitori, 26 aprile 1882, in GUSTAVE CHARPENTIER, Lettres
inédites à ses parents, a cura di Françoise
Andrieux, J. Vrin, Paris, 1984, p.73).
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